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La Repubblica Rassegna Stampa
08.05.2023 L’Italia esca dalla Via della Seta
Analisi di Gianni Vernetti

Testata: La Repubblica
Data: 08 maggio 2023
Pagina: 25
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «L’Italia esca dalla Via della Seta»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 08/05/2023, a pag.25, con il titolo "L’Italia esca dalla Via della Seta" l'analisi di Gianni Vernetti.

27 November | Italy On This Day
Gianni Vernetti

Nuova via della seta: perché Pechino la vuole - Panorama

Durante l’incontro bilaterale Italia-Cina del 23 marzo 2019, il governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte fece aderire l’Italia al gruppo dei Paesi partner del progetto della “Belt and Road Initiative”, la cosiddetta Nuova Via della Seta. La firma del Memorandum of Understanding fu considerata un fatto storico da entrambi gli interlocutori. Per Xi Jinping il progetto della Nuova Via della Seta era il regalo della “saggezza cinese allo sviluppo mondiale”, per il premier Conte e il suo vice Luigi Di Maio, la firma rappresentava una vittoria del “made in Italy”, che avrebbe spronato l’interscambio commerciale e le relazioni economiche, creando illimitate opportunità per le nostre imprese in estremo oriente. I fatti di questi anni raccontano però una storia molto differente. La firma del memorandum realizzava un inedito scostamento dell’Italia dai pilastri storici della propria politica estera: l’Europa e gli Usa. L’adesione al più importante progetto geo-politico della potenza cinese da parte di Paese membro del G-7 e fondatore dell’Unione Europea produsse allora un terremoto nelle relazioni fra Italia e Occidente e una caduta della credibilità e dell’affidabilità del nostro Paese. Pochi giorni prima della firma del memorandum, l’Unione Europea aveva approvato le linee strategiche delle relazioni con la Cina nelle quali per la prima volta Pechino veniva definito un “rivale sistemico” e sempre in quei giorni Bruxelles era impegnata nella definizione delle strategie per la protezione delle reti 5G minacciate dalle tecnologie cinesi. Il tentativo cinese, poi, di dividere l’Europa con il progetto 17+1, la piattaforma di cooperazione formata da dodici Paesi dell’europa orientale, più gli Stati dei Balcani, per coordinare gli investimenti infrastrutturali nel quadro della nuova Via della Seta, iniziava a perdere i primi colpi di fronte a progetti sempre più insostenibili da un punto di vista finanziario, ambientale e geopolitico (Il Montenegro per citarne uno fra tutti). Da allora ad oggi il progetto della Via della Seta di Pechino ha rivelato dunque al mondo la sua vera natura: l’essere uno strumento di conquista e di ampliamento dello spazio geo-economico e geopolitico di un regime che non rispetta il sistema globale di regole condivise, fondato sullo Stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani fondamentali. Quel «capitalismo senza democrazia», incurante dei vincoli ambientali, avverso al rispetto dei diritti fondamentali, insostenibile da un punto di vista finanziario, spesso legato a progetti non verificabili da autorità indipendenti e segnato da una corruzione estremamente diffusa. Il progetto Build Back Better World promosso dall’amministrazione Biden e condiviso dai partner del G-7 e il Global Gateway dell’Unione Europea, sono oggi la risposta coerente dell’Occidente a quel modello. L’Italia ha oggi l’opportunità di riparare a quell’errore geo-politico, uscendo in modo formale dall’accordo con Pechino sulla Via della Seta e la premier Giorgia Meloni potrebbe annunciarlo ad Hiroshima durante il prossimo vertice dei G-7, prima di raccogliere la staffetta della prossima presidenza dell’organizzazione, senza preoccuparsi delle ritorsioni di Pechino. Le azioni di coercizione economiche messe in atto dalla Cina contro la Lituania, (quando Vilnius incrementò i rapporti con Taiwan), e contro l’Australia (quando Canberra chiese una commissione indipendente sulle origini del Covid), se replicate, avrebbero un impatto minimo nei confronti del nostro Paese. Se guardiamo i dati dell’interscambio economico Italia-Cina del 2022, comprendiamo come il memorandum sulla Via della Seta non abbia prodotto particolari benefici alla nostra economia: l’export è fermo a 16,4 miliardi di euro (la metà delle esportazioni italiane verso la Svizzera e l’1% del totale dell’esportazione italiano verso l’estero), mentre l’import dalla Cina è più del triplo con 57,5 miliardi di dollari. La scelta italiana di uscita dalla Via della Seta potrà dunque avere diverse ricadute positive rafforzando la coesione del G-7 nei confronti della Cina, migliorando la postura euro-atlantica nei confronti di Pechino ed aumentando infine la credibilità italiana nella propria proiezione del sempre più cruciale scacchiere dell’indo-pacifico.

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