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La Repubblica Rassegna Stampa
05.05.2023 Iran, più forte delle torture
Analisi di Pegah Moshir Pour

Testata: La Repubblica
Data: 05 maggio 2023
Pagina: 15
Autore: Pegah Moshir Pour
Titolo: «Più forte delle torture la resistenza di Ronaghi nell’Iran che reprime»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/05/2023, a pag. 15, con il titolo "Più forte delle torture la resistenza di Ronaghi nell’Iran che reprime" l'analisi di Pegah Moshir Pour.

ilcoraggioèdonna. Intervista alla testimonial Pegah Moshir Pour, attivista  per i diritti umani – Ondanews.it
Pegah Moshir Pour

Iran, è giallo su Ronaghi: trasferito in ospedale dal carcere, ma per la  famiglia è sparito
Hossein Ronaghi

Questa è la storia di una persona che sta lasciando un segno indelebile in Iran. Hossein Ronaghi è un nome che, purtroppo, non tutti conoscono, ma la sua è una storia di coraggio, di speranza, come anche di sofferenza e oppressione. Nelle foto che circolano di lui guarda dritto nell’obiettivo, sicuro e deciso, negli occhi di milioni di persone nel mondo ma soprattutto del regime teocratico iraniano. Hossein Ronaghi è un attivista per i diritti umani che ha speso gran parte della sua vita combattendo il regime oppressivo della Repubblica islamica. La sua vita recente è stata caratterizzata da continui arresti, detenzioni arbitrarie, torture e brutalità poliziesche, ma nonostante tutto ciò, Ronaghi ha continuato a lottare per la democrazia e i diritti umani nel suo Paese. Hossein Ronaghi, noto anche come Babak Khorramdin, è un iraniano che dal 2009 ha passato gran parte della sua vita lottando per i diritti umani e la libertà d’espressione nel suo Paese. E il suo attivismo lo ha portato ad essere imprigionato più volte dal regime iraniano, subendo anche brutali torture. Perché la sua foto oggi è per una moltitudine di iraniani un’icona del coraggio? Perché lo scorso 22 settembre, mentre il Paese era scosso dalle proteste contro la morte di Mahsa Jina Amini, Hossein in diretta su un canale londinese parlava senza veli delle rivolte in corso. Ma nel bel mezzo dell’intervista, le forze di sicurezza sono entrate nel suo appartamento, gridando: «Sembra che siano qui». Qualche ora dopo Ronaghi scrisse sui social «sono riuscito a sfuggire a un tentativo di rapimento da parte delle forze di sicurezza che volevano portarmi via con un’ambulanza». Il 24 settembre, con grande coraggio si è presentato alle porte del tribunale di Evin con i suoi avvocati, come aveva preannunciato. Ma prima ancora di entrare in tribunale, le forze di sicurezza l’hanno brutalmente aggredito, lo aspettavano lì. Lui lo sapeva, il video del suo arresto è così diventato virale sui social network mentre gridava «voglio andare nell’ufficio del procuratore». Alcune persone cercavano di farlo salire con la forza su un’auto. Da quel momento è cresciuta senza sosta la rabbia nel Paese, trasformandosi in sostegno per lui. Giorni dopo i genitori hanno fatto sapere che «gli ufficiali giudiziari gli hanno rotto entrambe le gambe, slogato un dito e continuano a minacciarci per non farci divulgare la notizia ». Ecco perché questa famiglia è diventata per molti iraniani sinonimo di coraggio. Nonostante tutto, hanno svelato al mondo intero le vere condizioni di salute del figlio, in nome della libertà. Dopo 40 giorni di isolamento, Ronaghi è stato trasferito nella sezione generale della prigione di Evin. E il 3novembre dall’ospedale è arrivato un «il suo rene ha perso il 40% della sua funzionalità, la sua vita è in pericolo ». La prigione dove è detenuto ammette il peggioramento delle condizioni di salute e il presidente del tribunale di Evin lo ha minacciato «andrai in contro ad un destino nero». Ma lui non ha mollato. Le immagini strazianti dei genitori che dalla mattina alla sera sono davanti alla prigione di Evin per avere notizie del figlio vengono rimbalzate da un social all’altro. Ronaghi versa in gravi condizioni fisiche a causa dello sciopero della fame e della sete, e obbliga così le autorità del regime a decidere il suo trasferimento all’ospedale. Tutti sono lì ad aspettarlo, a vederlo mentre esce dalla prigione, ma il fratello lancia l’allarme: «Mio fratello non è qui, è stato rapito e portato in un luogo sconosciuto». L’indignazione e la rabbia a quel punto scoppiano, centinaia di persone si sono così radunate davanti all’ospedale e hanno intonato il canto “Morte al dittatore”. Iin risposta gli agenti hannosparato gas lacrimogeni per disperderli. Ma niente, la gente resiste e persevera, restano lì uniti, la “call to action” globale spopola sui social media e sono centinaia le persone che chiedono “Dov’è Hossein Ronaghi”?. Sono ore di tensione, di grida di aiuto, ore di resistenza grazie all’hashtag #HosseinRonaghi che supera 1.800.000 tweet. Il regime però continua con la sua narrazione, i disordini sono tanti e ovunque quasi incontrollabile e il “Judiciary Media Center” del regime pubblica una foto di Hossein Ronaghi con la madre presente vicino al letto d’ospedale, dicendo anche che le sue condizioni fisiche sono in realtà “buone”. Poco dopo arriva l’intervista del padre: «Pura menzogna, il regime si è arreso davanti alla forza di Hossein Ronaghi ».È grazie all’intervento degli hackivisti di “Black Reward”, riusciti ad entrare nel sistema interno dell’agenzia di stampa Fars ,che è stato reso pubblico il file audio dell’incontro tra Ghasem Ghoreyshi, il vice comandante dei Basij, e i responsabili dei media vicini ai Guardiani della Rivoluzione. Affermano di essere preoccupati: «Non possiamo permetterci il ripetersi del caso di Mahsa Jina Amini». Ronaghi è infatti un azero, una delle più grandi minoranze etniche nell’Iran degli ayatollah. Nello stesso file audio si sente mentre dicono: «Gli abbiamo spezzato le gambe, il suo peso è ridotto, ha un problema cardiaco, rischia l’ictus ». Ghoreyshi afferma: «Pubblichiamo una foto che mostri che è sano, seduto e che è in famiglia». Per questo il 26 novembre viene temporaneamente rilasciato su cauzione dalla prigione di Evin e trasferito in ospedale. E lui cosa ha fatto? Il 6 dicembre scorso, Ronaghi ha postato sui suoi account dei social network una foto con la localizzazione della sua città e l’inno della rivoluzione Baraye : «Per Donna, vita, libertà.. Continuiamo a scrivere che siamo rimasti ancora qui, come l’albero che resta, come la fame che resta qui e come rimangono le pietre.. Scriverò e resterò per sempre in Iran e con il popolo iraniano». Da qui la potenza della sua foto perché Hossein Ronaghi rappresenta l’incarnazione della lotta per la libertà e i diritti umani in Iran. La sua determinazione, perseveranza, resistenza e il suo impegno sono un esempio per tutti coloro che cercano la giustizia e la libertà. Con questo articolo l’autrice inizia la sua collaborazione con Repubblica.

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