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La Repubblica Rassegna Stampa
22.02.2023 Walzer: “Il leader russo si dimostra debole ma gli Usa accelerino sui caccia all’Ucraina”
Intervista di Anna Lombardi

Testata: La Repubblica
Data: 22 febbraio 2023
Pagina: 4
Autore: Anna Lombardi
Titolo: «“Il leader russo si dimostra debole ma gli Usa accelerino sui caccia all’Ucraina”»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 22/02/2023, a pag.4 con il titolo “Il leader russo si dimostra debole ma gli Usa accelerino sui caccia all’Ucraina”, l'intervista di Anna Lombardi.

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Anna Lombardi

Michael Walzer:
Michael Walzer

«I discorsi contrapposti di Vladimir Putin da Mosca a dipingere l’Occidente come guerrafondaio, decadente e addirittura nazista e Joe Biden a rispondergli con forza da Varsavia accusandolo di crimini contro l’umanità, rivendicando allo stesso tempo l’unità degli alleati e la volontà di non abbandonare l’Ucraina, mi sono sembrati lo specchio di quanto accade sul terreno. E pure il paradigma dei concetti di guerra ingiusta e giusta. Ho visto un Putin debole, impegnato a far minacce sopra le righe ma nella realtà impantanato in una guerra convenzionale dove sta mandando al macello un’intera generazione di giovani russi. E un Biden solido, almeno nei propositi unitari. Anche se personalmente preferirei che desse un seguito più veloce alla richiesta di aerei avanzata da Kiev».

Il filosofo Michael Walzer, professore emerito di Princeton e figura di riferimento della sinistra liberal Usa, è il politologo autore, fra i suoi tanti saggi, di quel Just and Unjust Wars scritto nel 1977 dove rifletteva appunto sul senso della “guerra giusta” basata su valori morali e sulla difesa dei diritti umani, slegata dal pacifismo a priori. Lo Start era ormai l’ultimo trattato in vigore fra Russia e Stati Uniti. La sospensione annunciata ieri da Putin la spaventa? «Uscire da un trattato non vuol dire scatenare l’Apocalisse subito dopo. Semmai, mi sembra il segno più eloquente della debolezza di Putin. Da mesi fa minacce di un possibile uso di armi tattiche nucleari. Non dico sia un bluff, ma nemmeno che siamo sul punto di una reale escalation nucleare. Il presidente russo sa bene che è una strada senza ritorno. La usa per evocare fantasmi atroci sperando di spingere la gente a far pressione sui propri governi affinché ritirino il loro sostegno a Kiev: cosa che per altro non sta accadendo. L’ennesimo gonfiare i muscoli per spingerci a cedere alle sue condizioni. Ciò che mi preoccupa è altro: siamo nel bel mezzo di una guerra in Europa e dopo un anno non se ne vede la fine».

Qual è la conclusione plausibile? «La guerra in Ucraina finirà con una soluzione negoziata, ma oggi è impossibile dire quando. Bisognerà aspettare che la Russia si decida ad ammettere le sempre più pesanti sconfitte sul campo e i terribili danni all’economia. Proprio ciò che ieri Putin ha continuato a negare. Non dobbiamo dimenticare che arriveremo a quei negoziati solo se continueremo a dare agli ucraini il sostegno di cui hanno bisogno. Solo se Kiev manterrà la posizione in Donbass e saprà lanciare una efficace offensiva nel Sud i negoziati diventeranno possibili. E allora i benefici riguarderanno tutti. L’Europa e anche gli Stati Uniti saranno più sicuri. Anche per questo, al di là delle sue parole di ieri, ho molto apprezzato il viaggio di Biden a Kiev».

Cosa ha significato? «Si è trattato di un viaggio difficile, non scontato per un uomo della sua età, fatto per dare al mondo un importante messaggio di forza, amicizia e soprattutto libertà: nulla e nessuno può impedirmi di essere qui, era il senso. Anche se la sua presenza a Kiev dopo aver informato Mosca è segnale che ad alti livelli americani e russi si parlano. Di sicuro, con la sua presenza Biden ha fatto un gesto di sostegno concreto che va al di là delle parole. Ho comunque apprezzato il discorso da Varsavia: ha denunciato la viltà brutale del governo russo e ribadito l’unità della Nato. Mi piace il modo in cui tiene l’Alleanza insieme. Ma mi piacerebbe anche vedere una Europa più forte, vero partner alla pari degli Stati Uniti e non sempre al seguito».

Lei riconduce il sostegno occidentale all’Ucraina al concetto di “guerra giusta”. Perché? «Lo dico dal primo giorno, con l’invasione la Russia ha compiuto un atto d’aggressione criminale. Lo dimostra la resistenza degli ucraini, e il consolidamento nel corso di questo anno della loro identità di popolo. Chi paragona l’invasione russa a quella americana dell’Iraq del 2003 sbaglia: è un rimprovero che faccio anche alla sinistra più estrema. Quello non fu un atto d’aggressione, l’80 per cento della popolazione irachena era a favore: semmai, volevano che ce ne andassimo dopo aver rovesciato Saddam. Gli ucraini sono stati ostili alla presenza russa al 100 per cento dall’inizio. Quella in casa loro è una guerra nel senso peggiore: Putin non risparmia i civili e manda al massacro la gioventù russa. Va fermato».

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