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La Repubblica Rassegna Stampa
08.02.2023 Se Erdogan è vulnerabile
Commento di Enrico Franceschini

Testata: La Repubblica
Data: 08 febbraio 2023
Pagina: 24
Autore: Enrico Franceschini
Titolo: «Se Erdogan è vulnerabile»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/02/2023, a pag. 24, il commento di Enrico Franceschini dal titolo "Se Erdogan è vulnerabile".

ENRICO FRANCESCHINI | Cristofariphoto
 Enrico Franceschini

Recep Tayyip Erdogan Fast Facts | CNN
Recep Tayyip Erdogan

Le prime proteste che serpeggiano in varie città per i ritardi nei soccorsi in Turchia, dopo il tremendo terremoto che ha sconvolto la regione, potrebbero diventare un imprevisto nella corsa del sultano verso la rielezione. Recep Tayyip Erdogan ha promesso una grande vittoria personale e del suo partito nelle presidenziali e parlamentari del 14 maggio prossimo. Un voto che rappresentava già un crocevia per stabilire il livello di popolarità di un leader al potere dal 2014 come capo dello Stato e in precedenza come primo ministro dal 2003 al 2014: in pratica un ventennio ininterrotto alla guida del Paese. Questa nazione musulmana di 85 milioni di abitanti si apprestava infatti ad andare alle urne in un momento di grave crisi economica, con un tasso di inflazione del 60 per cento che divora i salari. Adesso la tragedia del sisma può fare da catalizzatore per uno scontento nei confronti del presidente che riflette da un lato il devastante costo della vita, dall’altro il dissenso da parte dell’opposizione per la svolta autocratica e islamista imposta negli ultimi anni da Erdogan, simboleggiata dall’interdizione dall’attività politica e dalla condanna a due anni e mezzo di carcere del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, considerato fino a quel momento il suo potenziale sfidante alle elezioni. Il presidente non ha responsabilità per il peggiore evento tellurico della storia recente, ma le operazioni di immediato soccorso e la risposta da qui a maggio alle necessità create dalle scosse, oltre a possibili contestazioni dei preparativi che esistevano per affrontare una simile eventualità, rappresentano una nuova sfida per la sua leadership, già indebolita dai problemi dell’economia nazionale e dalla repressione del dissenso. Il fatto che tra le aree toccate dal sisma ci siano anche quelle in cui vive la minoranza curda aumenta il rischio che il terremoto soffi sul vento della protesta. Naturalmente è possibile che Erdogan cerchi di usare la situazione a suo favore, anziché esserne danneggiato: lo stato d’emergenza di tre mesi dichiarato nelle zone colpite ne accentuerà il pugno di ferro, le migliaia di vittime e ledevastazioni offriranno una probabile scusa per un altro genere di disastri, politici, economici e sociali, come un tappeto sotto cui nasconderli. Al tempo stesso, la solidarietà internazionale per il dramma di questi giorni avrà inevitabilmente la priorità, almeno per un po’, sulle critiche che Ankara riceve dall’estero per le limitazioni della democrazia. La terra che trema, tuttavia, fa spesso emergere crepe non immediatamente visibili, rivelando la natura del sistema, non soltanto la solidità degli edifici. E il sistema turco appare progressivamente sempre più instabile, quale conseguenza del capillare controllo sociale esercitato da Erdogan su pressoché ogni sfera pubblica. Come sottolineano vari osservatori stranieri, la Turchia è entrata in una delicata fase politica, evidenziata da un apparente calo dei consensi per il blocco dei partiti di governo: il 63 per cento degli interpellati in un recente sondaggio afferma che è “mal governata”. Un diffuso disagio che ora rischia di acuirsi. Il terremoto potrebbe dunque portare al pettine tutti i nodi di questa grande potenza mediterranea, cerniera tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud, membro cruciale della Nato, dal cui veto dipende l’allargamento a Finlandia e Svezia, con l’ambizione di mediare tra Mosca e Kiev nella guerra in Ucraina. Nel 1999 la Turchia ottenne lostatus di Paese candidato a entrare nell’Unione Europea, a cui è già legata attraverso l’Unione doganale. Come uno dei soli tre Paesi non arabi del Medio Oriente, insieme a Iran e Israele, ha un ruolo fondamentale da svolgere in quella parte di mondo e in senso più ampio verso l’Islam. Per tutte queste ragioni l’appannamento delle sue conquiste democratiche preoccupa le diplomazie occidentali. È presto per sapere se le scosse di questi giorni contribuiranno a fare traballare o addirittura cadere Erdogan alle elezioni di maggio. Come minimo rappresentano un fattore imprevisto nella campagna del sultano per governare fino alla fine del decennio e consolidare il proprio nome fra gli autocrati del pianeta.

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