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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica Rassegna Stampa
15.01.2023 Populismo e violenza
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 15 gennaio 2023
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Populismo e violenza»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/01/2023, a pag. 1, con il titolo "Populismo e violenza" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

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Donald Trump con Jair Bolsonaro

L’assalto alle istituzioni di Brasilia da parte dei seguaci dell’ex presidente Jair Bolsonaro e la lacerazione del partito repubblicano americano sull’elezione di Kevin McCarthy a presidente della Camera dei Rappresentanti Usa dimostrano che nei due giganti dell’Emisfero Occidentale il populismo resta una minaccia contro i principi democratici nonostante la chiara sconfitta politica dei suoi leader più carismatici. A Brasilia, la sconfitta di Bolsonaro nelle elezioni presidenziali di ottobre, con una differenza di oltre due milioni di voti a vantaggio di Luiz Inacio Lula da Silva, non ha impedito a centinaia di sostenitori del deposto leader di attaccare il Parlamento, la Corte Suprema ed il Palazzo presidenziale con un assalto vandalico che ha incluso azioni violente contro la polizia e, secondo le indagini in corso, si proponeva una sorta di colpo di stato. A Washington, la sconfitta dei candidati dell’ex presidente Donald Trump nelle elezioni di novembre per il rinnovo parziale del Congresso di Washington non ha impedito ad una ventina di suoi irriducibili deputati di tenere in ostaggio per ben quindici votazioni l’elezione del repubblicano McCarthy alla presidenza della Camera in sostituzione della democratica Nancy Pelosi. Fra i primi a tracciare un legame fra i due episodi — avvenuti quasi negli stessi giorni — è stato Stephen Bannon, l’ex ideologo di Trump nella campagna per la Casa Bianca del 2016 divenuto consigliere di Bolsonaro subito dopo la sconfitta elettorale a favore di Lula. «I sostenitori di Bolsonaro come di Trump sono dei combattenti per la libertà — ha detto Bannon — e dimostrano che il populismo è più forte dei suoi leader». È la stessa tesi che Bannon sostenne quando venne cacciato dalla Casa Bianca, ammonendo che lui sarebbe riuscito a «far eleggere chiunque presidente» e dunque Trump era stato solo «casualmente» il candidato dell’onda populista negli Stati Uniti. Dietro il pensiero di Bannon c’è la visione della protesta populista-sovranista come una rivoluzione contro la globalizzazione, per far rinascere le nazioni, destinata a stravolgere gli attuali sistemi democratici “dominati dalle élite” in un orizzonte nel quale singoli leader come Trump e Bolsonaro vanno e vengono, rappresentando solo occasionali tappe politiche.

Ciò che colpisce in quanto avvenuto nella “Piazza dei Tre Poteri” di Brasilia e nell’aula di Capitol Hill è come azioni e dichiarazioni dei protagonisti dei blitz populisti-sovranisti coincidano con il pensiero di Bannon e le sue molteplici dichiarazioni. Ad esempio, i seguaci di Bolsonaro hanno distrutto scranni e vetrate affermando che le elezioni presidenziali erano state “truccate”, proprio come i fedelissimi di Trump ancora oggi affermano in merito alla sconfitta subita da Joe Biden nel novembre del 2020. Il “negazionismo” politico davanti a risultati elettorali certificati e inoppugnabili da un punto di vista legale, diventa uno strumento di mobilitazione di massa portando alle estreme conseguenze la sfida alle istituzioni democratiche, ovvero all’uso della violenza. Era avvenuto a Washington il 6 gennaio 2021 quando i “trumpisti” volevano impedire l’insediamento di Biden e si è ripetuto a Brasilia l’8 gennaio 2023 quando i “bolsonaristi” volevano impedire a Lula di esercitare la presidenza. In entrambi i casi le forze di sicurezza hanno scongiurato il peggio e garantito la difesa della legalità democratica ma il campanello d’allarme è indiscutibile: ci troviamo davanti a movimenti populisti-sovranisti che hanno superato la linea rossa del ricorso alla violenza, creando il più pericoloso dei precedenti. Ma non è tutto perché ascoltando gli interventi dei deputati “trumpisti” che hanno ostacolato l’elezione di McCarthy appare evidente come a guidarli sia il “complottismo” ovvero l’idea che siano gli unici a “difendere il popolo” da una coalizione di poteri forti, banche, industriali, media, partiti politici, sindacati e istituzioni il cui unico fine è “approfittarsi del prossimo”. Sono le teorie divulgate da “QAnon”, il gruppo di estrema destra americano — sostenitore di Trump e Bolsonaro — del quale l’Europa ha scoperto la pericolosità a inizio dicembre quando la polizia tedesca ha arrestato oltre 25 nostalgici del Reich che si proponevano di rovesciare il governo di Berlino. La rete scoperta dagli inquirenti tedeschi invocava un “Reichburger”, si estendeva in 11 lander, e pianificava l’attacco diretto al Bundestag — con una evidente similitudine con quanto avvenuto a Brasilia e Washington — per dare vita al colpo di Stato che avrebbe dovuto instaurare alla guida della Germania l’ex deputato dell’estrema destra a Francoforte, Heinrich Reuss, con il titolo di principe Enrico XIII, al fine di imporre a Berlino un sistema di governo modellato sul Reich del 1871, che avrebbe mandato in pezzi l’Europa come oggi la conosciamo. Poiché il legame fra “QAnon” e Bannon non è un mistero per nessuno, è legittimo chiedersi se la stagione politica populista — iniziata in Occidente con la vittoria di Brexit in Gran Bretagna nel 2016 — abbia generato in più Paesi un sentimento di avversione per le istituzioni democratiche che si moltiplica anche a dispetto delle sconfitte elettorali, arrivando fino a progettare dei colpi di Stato. Leggendo assieme quanto avvenuto nell’ultimo mese fra Francoforte, Brasilia e Washington è difficile non arrivare alla conclusione che il fronte populista-sovranista è riuscito a sopravvivere alle sconfitte politiche subite negli ultimi anni, è diventato più violento e minaccia ancor più la sicurezza delle nostre democrazie. Non solo nelle Americhe ma anche in Europa.

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