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La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2022 Dina Porat: 'La memoria della Shoah minacciata dall’ignoranza'
Commento di Gabriele Di Donfrancesco

Testata: La Repubblica
Data: 20 ottobre 2022
Pagina: 35
Autore: Gabriele Di Donfrancesco
Titolo: «'La memoria della Shoah minacciata dall’ignoranza'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 20/10/2022, a pag.35, con il titolo 'La memoria della Shoah minacciata dall’ignoranza' l'analisi di Gabriele Di Donfrancesco.

Dina Porat - Wikipedia
Dina Porat

La minaccia alla me moria dell’Olocausto non arriva più da chi nega la Shoah, ma da chi ne edulcora la storia, che sia per ricavarne una versione più digeribile o per includere se stessi tra le vittime. Di questo si è parlato ieri alla lectio della docente ed esperta internazionale Dina Porat, professoressa alla Tel Aviv University, ospite presso la Casina dei Vallati di Roma, con il patrocinio dall’ambasciata d’Israele in Italia e della Fondazione museo della Shoah. Tra i presenti, l’ambasciatore israeliano Alon Bar, ma anche i presidenti della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, e della Fondazione, Mario Venezia. «Abbiamo il dovere di trasmettere la memoria dell’Olocausto così come è accaduto», spiega Dina Porat. La sfidaadesso è evitare però che la Storia venga strumentalizzata o trasmessa in maniera equivoca. Come accade con l’estrema destra. «Oggi molti di loro, in Europa, dicono di essere a favore di Israele, e per convenienza parlano della Memoria». L’alterazione del ricordo della Shoah si verifica anche in America, ma per altri motivi. «Non si racconta la vera Storia — dice la studiosa — ma un "Olocausto light", più appetibile e facile da digerire » e lo vediamo in libri e film. La difesa della Memoria, però, non vuol dire che bisogna impedire la sua rielaborazione positiva. Le nuove generazioni in Israele celebrano e tramandano il ricordo con l’arte, il cinema, la letteratura. E persino suisocial network come Instagram e TikTok.

Scuola e memoria - Che cos'è la Shoah?

«Non importa dove o come, se il risultato è fatto bene e rispetta i fatti, allora va bene: è il contenuto che conta» commenta la studiosa. Bisogna però tenere conto che non tutte le nazioni hanno la medesima sensibilità. E spesso si verifica quel che viene definito «vittimismo competitivo ». Si verifica, per chiare ragioni storiche, con i cittadini arabi di Israele — «il conflitto in Palestina è certo un problema per la Memoria », ammette Porat. Ma accade anche nei Paesi dell’ex blocco sovietico. Sotto l’Urss, «l’ignoranza era rampante», l’Olocausto non veniva ricordato e l’insegnamento della Memoria è cosa recente. La tendenza, perciò, è di equiparare le sofferenze delle deportazioni alle crudeltà naziste e poi sovietiche subite dalle popolazioni locali. «Si chiedono: perché solo gli ebrei devono essere riconosciuti? », dice Porat. A guidare questo movimento in Europa sono le Repubbliche baltiche. Così facendo, però, si nasconde la storia di collusione dei cittadini che, all’epoca, aiutarono le autorità a identificare e uccidere i vicini ebrei. Questo accade in parte anche in Europa occidentale, come rigurgito di un percorso di riconciliazione nazionale che coinvolge figure dell’estrema destra o i collaborazionisti dei nazifascisti. «Le comunità locali combattono il riconoscimento di eroi che non sono tali, né presero parte alla Resistenza, e gli viene risposto che stanno disturbando il percorso di riconciliazione nazionale», ricorda la studiosa. Come in Francia, quando nel ’92 François Mitterrand portò i fiori sulla tomba del maresciallo Pétain, capo del regime collaborazionista di Vichy. Diversa, invece, la situazione in Africa, dove la storia della Shoah viene celebrata legandola al ricordo della schiavitù e dell’apartheid. Certo, si possono creare incomprensioni, ma non importa. Come in Rwanda, dove il percorso di creazione di una memoria del genocidio etnico trova una guida nelle domande e nell’esperienza della conservazione della Memoria della Shoah. «Se l’Olocausto può essere un punto di partenza per parlare dei diritti delle minoranze, perché no? Ma dobbiamo comunque capire come conservare la conoscenza di base dell’Olocausto, come evento storico unico», conclude Porat.

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