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La Repubblica Rassegna Stampa
17.10.2022 In Iran le donne non sono più sole
Commento di Nava Ebrahimi

Testata: La Repubblica
Data: 17 ottobre 2022
Pagina: 25
Autore: Nava Ebrahimi
Titolo: «In Iran le donne non sono più sole»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 17/10/2022, a pag.25, con il titolo "In Iran le donne non sono più sole" il commento di Nava Ebrahimi.

Leggere a lume di candela.: Nava Ebrahimi, “Sedici parole” ed. 2020
Nava Ebrahimi

Cosa sta accadendo in Iran e perché la protesta delle donne riguarda tutti  - The Wom

Due giovani donne sono sedute in un bar a fare colazione, proprio come fanno ogni mattina le donne in tutte le grandi città del mondo. Una delle due si chiama Donya Rad. Donya si è fatta fotografare e ha condiviso la foto sui social media. Questa foto, a prima vista assolutamente poco spettacolare, si è diffusa a macchia d’olio. Come mai? Donya Rad è iraniana e la metropoli è quella di Teheran. Donya è seduta lì senza velo. E con questo atto di autodeterminazione secco, conciso, ha dato a milioni di persone, me compresa, la speranza di un futuro in cui ciò potesse essere normale. Donya Rad sta pagando un prezzo pesante per questo, e doveva esserne consapevole. Secondo i media, il regime dei Mullah l’ha tenuta incarcerata nella prigione di Evin per diversi giorni. Il solo nome “Evin” scatena un brivido di terrore tra le iraniane e gli iraniani. Potrei raccontare un certo numero di storie del genere, potrei nominare un certo numero di giovani che si sono opposti alle truppe di picchiatori, gli scagnozzi mandati dallo Stato e ora sono morti, molti dei quali uccisi a colpi d’arma da fuoco. Da quando le proteste sono iniziate settimane fa, innescate dalla morte della donna curda di 22 anni Mahsa Jina Amini, presumibilmente avvenuta durante la custodia della Gašt-e erš?d – la Polizia della Morale iraniana – , secondo l’organizzazione Iran HumanRights, più di 200 persone hanno perso la vita in modo violento. E si stima che migliaia siano state imprigionate. Queste non sono le prime proteste, non sono le prime morti, né i primi prigionieri in Iran. Non è la prima volta che persone come me in tutto il mondo sperano che le cose cambino. Che domani donne e uomini come me possano fare le valige e viaggiare in un Paese libero. Senza più paure, né vessazioni. Speravamo nel 1999, quando gli studenti scendevano per le strade. Speravamo nel 2009, quando la classe media urbana ha alzato la voce dopo la vittoria elettorale rubata da Mahmoud Ahmadinejad. Speravamo nel 2019, quando le fasce più povere della popolazione si sono ribellate agli aumenti dei prezzi dei carburanti. Ma ogni volta che ho sperato in passato, sospettavo già che non sarebbe bastato di nuovo. Questa volta è diverso. Questa volta, le donne iraniane hanno unito le forze, in tutti gli strati della società. E – soprattutto – questa volta gli uomini sono al loro fianco. Le donne iraniane si riversarono nelle piazze nel 1979 poco dopo la Rivoluzione Islamica che imponeva nuovamente il velo obbligatorio. Non è più questo il problema principale ora, hanno detto. Ora sanno che quando la politica, quando un governo, manifesta il suo potere estendendolo al corpo delle donne in qualsiasi forma, allora quello è il problema cruciale. Perché indica che qualcosa della politica, del governo, è gravemente malato. E questo vale in tutto il mondo e le donne di tutto il mondo lo sentono, o almeno lo percepiscono. E questo spiega la grande ondata di solidarietà che le donne iraniane stanno vivendo questa volta da parte di tutte le donne del mondo. Anche questa è diversa dalle precedenti proteste. In tutto il mondo, da Quito a Tokyo, da Perth a Smirne, le persone, soprattutto le donne, stanno manifestando per il diritto all’autodeterminazione. E sventolano l’immagine di Mahsa Jina Amini, una civile, non una personalità politica. Una donna, curda, iraniana che si ritiene sia morta perché alcuni uomini hanno ritenuto che una ciocca di capelli le spuntasse troppo dal velo.
 
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