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La Repubblica Rassegna Stampa
13.09.2022 Conte, Orsini e gli altri. Ecco gli 'spiazzati' dell’offensiva ucraina
Commento di Stefano Cappellini

Testata: La Repubblica
Data: 13 settembre 2022
Pagina: 11
Autore: Stefano Cappellini
Titolo: «Conte, Orsini e gli altri. Ecco gli 'spiazzati' dell’offensiva ucraina»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/09/2022, a pag. 11, con il titolo "Conte, Orsini e gli altri. Ecco gli 'spiazzati' dell’offensiva ucraina", il commento di Stefano Cappellini.

Putin: Russia's great propagandist | Financial Times

Li chiameremo: gli spiazzati. Sono giorni difficili, quelli dei successi militari ucraini, per i “complessisti”. Quel fronte di politici, storici, professori e ospiti tv, in alcuni casi le qualifiche coincidono, che dal giorno dell’invasione dell’Ucraina si è speso per parificare le responsabilità delle parti in conflitto, per contestare la strategia degli aiuti militari a Kiev e soprattutto per negare che la condizione basilare della pace fosse il ritorno alla situazione del 23 febbraio, cioè il ritiro della Russia. Gli articoli del generale Fabio Mini, una delle personalità che più si è distinta in quest’opera, sono sempre stati grande fonte di ristoro per l’ambasciata russa in Italia. L’ufficio stampa dell’ambasciatore Sergej Razov deve aver apprezzato anche l’interpretazione orale che Mini, ospite l’altroieri della festa del Fatto quotidiano, ha dato dell’avanzata delle truppe di Kiev: «Quello che è successo in questi ultimi giorni non la vedo come la vittoria di una controffensiva ucraina. La Russia non ha subito una débâcle, ha lasciato dietro qualcosa e le forze ucraine sono riuscite ad andare avanti». Una specie di principio di Archimede applicato alla guerra. Il 6 aprile scorso Mini scriveva sul Fatto: “Nessun aiuto può far vincere Kiev”. Il 30 maggio, in prima pagina, era quasi definitivo: “Perché l’Ucraina sta perdendo e le nostre armi aiutano Putin”. Il 21 giugno toglieva il quasi: “Le armi non servono né a fare pressione sulla Russia né a invertire il rapporto di forza sul campo”. Deve essere alla luce di queste riflessioni che a Mini è parso opportuno trasformare la disfatta russa in “ritirata”. Ma è certo anche sulle analisi di esperti come il generale che alcuni leader politici si sono appoggiati per chiedere di interrompere il flusso delle forniture a Kiev. Giuseppe Conte, per esempio. In primavera il capo del Movimento 5 Stelle si spese per introdurre la distinzione tra armi offensive e difensive (“Non voteremo – disse – per l’invio di armi che travalichino il diritto alla legittima difesa”), poi è la realtà del terreno bellico ad aver travalicato la posizione dell’avvocato, costretto a esibirsi in un numero spericolatissimo. A distanza di poche ore nello stesso giorno, Conte ha prima confermato che bisogna interrompere gli aiuti militari a Kiev (“Non ci sono più le condizioni economiche”) e si è quindi detto orgoglioso dei risultati raggiunti dall’esercito ucraino, intestandosi cioè il merito di aver appoggiato la strategia da cui dissente. Più lineare, in apparenza, la svolta di Matteo Salvini che nelle settimane successive all’invasione russa scoprì una improvvisa repulsione per le armi («Ne non ne parlo mai volentieri», disse il leader leghista piùvolte fotografato imbracciando mitra e fucili nonché favorevole a giustiziare sul posto i topi d’appartamento, non nel senso dei ratti). Salvini, forse dopo le ultime notizie da Kharkiv, non è più sulla posizione dello stop agli aiuti militari: «Il governo di centrodestra – ha detto ieri – continuerà a inviare le armi». Prima dell’estate la linea era ben diversa: «All’inizio – disse Salvini – come la stragrande maggioranza degli italiani ho detto sì all’invio di aiuti economici e militari. Sono passati due mesi, è servito? A chi vanno queste armi?».

Ogni “complessista” ha reagito a modo suo. Spiazzatissimo lo storico Angelo D’Orsi – impegnato con Unione popolare, era anche al comizio romano di Jean Luc Mélenchon – che il 22 febbraio, alla vigilia dell’invasione, si augurava che l’esercito russo desse “una bella lezione”, testuale, al governo ucraino. Si attende la performance del professor Alessandro Orsini, che in tv ha sempre insistito sulla teoria che “la Russia può sventrare l’Ucraina quando vuole” e che il 7 giugno sul Fatto scriveva: “La strategia del governo Draghi è fallita sul campo, è il Lukashenko di Biden”. Solo una delle sue numerose previsioni da martire del libero pensiero, molto libero, da ricordare insieme al pilastro del suo personale piano di pace, la fondazione nel Nord Italia dell’ospedale Gesù di Mariupol. Una serie di pronostici sballati che rende inquietante quello formulato in aprile: “Ecco perché in Ucraina l’atomica è improbabile”. Il fotoreporter Giorgio Bianchi, candidato con la lista rossobruna dell’ex rifondarolo Marco Rizzo, è così scosso dai successi militari di Kiev da minacciare di smentire Orsini sull’atomica: «Ora Mosca può far tornare l’Ucraina all’età della pietra». La professoressa Donatella Di Cesare, dopo aver provato a spiegare che l’Ucraina è come il Molise, non esiste, e che dunque è cosa buona smembrarla in nome del superamento dei confini nazionali (“Migliaia immolano la propria vita per una vecchia e indifendibile idea di patria. Da qui bisogna ripartire mettendo in discussione sovranità e integrità territoriale”), non ha bisogno di ricollocarsi. Resta valido quanto scrisse il 16 aprile, sempre sul Fatto: “Incompetenti e stupidi devono poter parlare di guerra”.

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