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La Repubblica Rassegna Stampa
08.08.2022 Dietro la Serbia c'è Putin
Intervista di Fabio Tonacci

Testata: La Repubblica
Data: 08 agosto 2022
Pagina: 15
Autore: Fabio Tonacci
Titolo: «Il premier del Kosovo: 'Rischiamo la guerra dietro la Serbia c’è Putin'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/08/2022, a pag. 15, con il titolo "Il premier del Kosovo: 'Rischiamo la guerra dietro la Serbia c’è Putin' ", l'intervista di Fabio Tonacci.


Fabio Tonacci

Kosova'da Albin Kurti dönemi: Hükumet güvenoyu aldı
Albin Kurti

«Il rischio che scoppi un nuovo conflitto tra Kosovo e Serbia è alto. Sarei un irresponsabile se dicessi il contrario, soprattutto dopo che il mondo ha visto cosa ha fatto la Russia con l’Ucraina ». Il premier kosovaro Albin Kurti, 47 anni, leader dei socialdemocratici, ha il pregio di non nascondersi dietro a discorsi di maniera. Sul tavolo del suo studio, nel palazzo più alto di Pristina, ha un dossier che documenta la longa manus di Mosca su Belgrado e, dunque, sui serbi del nord del Kosovo. La linea di imposizione della reciprocità di trattamento tra serbi e albanesi, a partire dalle procedure per il passaggio di frontiera tra i due Paesi, sta portando frutti: nelle elezioni di febbraio Vetevendosje! ha preso il 50,2 per cento dei voti, divenendo il partito più votato della storia del Kosovo indipendente. Successo giustificato anche dagli indicatori economici positivi dell’ultimo anno: Pil +10,53 per cento, export +83 per cento, investimenti stranieri +22 per cento.

Quanto è alto, il rischio di un nuovo conflitto? «Non voglio dire altissimo, anche perché qui abbiamo il contingente Nato, ma sicuramente alto. Siamo una democrazia che confina con un’autocrazia, del resto. Prima dell’invasione dell’Ucraina le possibilità erano poche, ora la situazione è cambiata. Il primo episodio, conseguenza dell’idea fascista di panslavismo che il Cremlino ha, è stato l’Ucraina. Se avremo un secondo episodio, ad esempio in Transnistria, allora le probabilità che una terza guerra si sviluppi nei Balcani occidentali, e in Kosovo in particolare, saranno altissime».

Quali elementi ha per dire che Mosca comanda Belgrado nel rapporto col Kosovo? «Il 25 novembre scorso il premier serbo Vucic era a Sochi: era il diciannovesimo incontro con Putin in dieci anni, in media si vedono due volte all’anno. Non è normale per dei leader di governo. In quell’occasione Vucic ha poi detto: “Abbiamo parlato di doppi standard e delle ipocrisie nelle relazioni internazionali. Putin ne è consapevole. Io gli ho mostrato il Nord del Kosovo sulla mappa”».

Che la Serbia sia nell’orbita russa non è una novità. Cos’è cambiato? «Nel settembre 2021 nell’ottica della reciprocità ho deciso di introdurre targhe temporanee per i serbi che entrano in Kosovo, loro hanno risposto facendo volare i Mig29 lungo il confine, dove si è precipitato l’ambasciatore russo e il ministro della difesa serbo. Aggiungo: il Centro umanitario Russia-Serbia costruito nel 2012 si trova ad appena 160 chilometri di distanza dallo studio in cui io e lei stiamo parlando. E 151 membri del Parlamento serbo su 250 fannoparte del gruppo di amicizia con la Russia».

Dal punto di vista militare avete notato movimenti che vi preoccupano? «Lo scorso anno hanno pianificato 91 esercitazioni militari congiunte e ne hanno fatte 104. Le due più importanti si chiamano Scudo Slavo e Fratellanza Slava. Dall’agosto del 2001 la Serbia ha installato attorno al Kosovo 48 basi operative avanzate, 28 dell’esercito e 20 della gendarmeria. I veterani serbi sono diventati tutti pro-Russia. Come dire: il pericolo c’è e lo avvertiamo».

Lei ha posticipato al primosettembre l’entrata in vigore dei provvedimenti — su documenti e targhe kosovare — che hanno provocato le proteste nel nord del Kosovo a maggioranza serba. Li cambierà o li manterrà uguali? «Nella terza settimana di agosto ci sarà un incontro a Bruxelles tra noi e i serbi su aspetti generali delle relazioni Kosovo-Serbia, spero che contribuisca a ridurre la tensione».

A giudicare dalle dichiarazioni degli esponenti di Lista Serba, rimarranno contrari. La riforma entrerà lo stesso in vigore? «Convertire le targhe introdotte da Milosevic è una decisione del mio governo. Hanno due mesi di tempo. Lo stesso vale per i documenti: domenica, per le poche ore in cui è stata in vigore, nei valichi di confine rimasti aperti ne sono stati dati 2.679 senza incidenti. Ecco perché hanno dovuto chiamare qualcuno per le barricate: la protesta non si è generata spontaneamente dal basso, è stata organizzata da Belgrado e supportata dalla Russia».

In strada, domenica, c’erano degli uomini incappucciati. Vi siete fatti un’idea più precisa? «Il procuratore sta visionando i filmati pubblicati sui social. Era gente a libro paga di Belgrado, che lavora nelle strutture illegali nel Nord del Kosovo. Alcuni erano proprio criminali, dallo scorso anno finiti sulla lista nera del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Mi riferisco a Radoicic e Veselinovic. È stato un deja vu: quel metodo era usato dai serbi già nei primi anni Novanta durante la disgregazione della Jugoslavia. Ma il Kosovo oggi è un Paese democratico, possono fare molto poco. Sono frustrati perché la nostra economia, nonostante non ci riconoscano come Stato, sta fiorendo».

Non crede che entrare nella Nato, vostro obiettivo dichiarato, potrà generare altre tensioni con la Serbia? «È vero il contrario. La nostra partnership con il Programma di Pace e l’ingresso nella Nato contribuiranno a mantenere una pace duratura. Il nostro orientamento è trasparente. Ed è basato su valori euroatlantici».

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