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La Repubblica Rassegna Stampa
21.07.2022 L’Italia vittima del populismo
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 21 luglio 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L’Aula vittima del populismo»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/07/2022, a pag. 1, con il titolo "L’Aula vittima del populismo", l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

A destra: Mario Draghi

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

La decisione di Movimento Cinquestelle, Lega e Forza Italia di far mancare in Aula al Senato i voti al premier Mario Draghi rende il nostro Paese più debole e vulnerabile. Porre fine al suo governo è una scelta politica miope che nuoce all’interesse nazionale e ci precipita in una tempesta perfetta. Evidenziando come la sfida contro il populismo non è ancora vinta. Far cadere Draghi nuoce all’interesse nazionale perché sui fronti delle tre emergenze indicate dal presidente Sergio Mattarella nel febbraio del 2021 — sanitaria, economica e sociale — il governo di quasi unità nazionale ha raggiunto risultati importanti. Ed aveva di fronte a sé gli ultimi mesi strategici di lavoro per consolidare la sconfitta del Covid e il rispetto degli impegni europei del Pnrr come per aggredire le diseguaglianze. Per non parlare della capacità che l’esecutivo ha dimostrato nell’affrontare l’emergenza energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina che ci ha portato a siglare accordi capaci di emanciparci dalle importazioni di gas da Mosca consegnandoci il potenziale ruolo di hub europeo per la distribuzione del gas naturale proveniente dalla costa meridionale del Mediterraneo. O del ruolo avuto dal governo Draghi nel rafforzare la costruzione europea, d’intesa in primo luogo con la Francia e con la Commissione Ue, nella realizzazione di scelte comuni sulla Sanità, nella nascita dello Strategic Compass sulla Difesa comune, nell’avviamento di una politica energetica dell’Unione e, più in generale, di una coesione euroatlantica che ha consentito all’Italia di essere protagonista degli aiuti militari all’Ucraina aggredita e, più in generale, della coesione delle democrazie di fronte alla sfida russa alla sicurezza collettiva del nostro continente.

Tali e tanti risultati non sono stati ottenuti solo da Mario Draghi ma dall’intera coalizione di forze politiche che — raccogliendo l’invito del Quirinale — lo hanno sostenuto, affiancato e accompagnato con ministri, deputati, senatori e più in generale un sentimento di unità nazionale che ci ha consentito di superare ostacoli temibili e raccogliere risultati strategici. Ma tre dei maggiori partner politici di questa coalizione anziché intestarsi questi risultati hanno scelto ieri di smentirli, indebolirli, delegittimarli e liquidarli. In nome di interessi tattici che non è difficile identificare: nel caso di ciò che resta dei Cinquestelle la rivalità personale e politica di Giuseppe Conte, predecessore di Draghi a Palazzo Chigi, si è unita alla convinzione che far cadere il governo consentirà al suo Movimento di recuperare la clamorosa perdita di favori nell’elettorato evidenziata dai sondaggi rispetto al 2018; nel caso di Lega e Forza Italia l’ambizione a sfruttare l’attuale legge elettorale per affermarsi alle prossime elezioni in maniera talmente netta — assieme a Fratelli d’Italia — da potersi assicurare con facilità la guida del nuovo governo. In entrambi i casi si tratta di interessi politici di bottega che si sono imposti su quelli del Paese intero, scegliendo di non ascoltare la voce di quella moltitudine di italiani che negli ultimi giorni hanno aderito, in più città e Regioni, ad appelli, manifestazioni ed iniziative che chiedevano l’esatto contrario ovvero non far cadere Draghi.

Il tradimento dell’interesse collettivo del Paese non potrebbe essere più lampante e fa riflettere che l’offensiva contro Draghi sia iniziata circa un mese fa — ben prima dei disaccordi sul dl Aiuti — con le convergenti richieste di Giuseppe Conte e Matteo Salvini di ridurre o addirittura interrompere le forniture di armi alla resistenza ucraina contro l’invasione ordinata da Vladimir Putin. In quanto è avvenuto ieri davanti ai nostri occhi c’è infatti un ritorno delle convergenze gialloverdi, fra populisti pentastellati e leghisti sovranisti, che uscirono premiate dalle urne del marzo 2018 generando il Conte I e trasformando il nostro Paese nel “grande malato d’Europa” che flirtava con chavisti venezuelani e gilet gialli francesi, aprendo crediti a Mosca e Pechino, e destando grandi inquietudini fra partner ed alleati. Quanto avvenuto da allora, con il tormentato passaggio dalla coalizione populista-sovranista al governo Draghi, è stato vissuto in molte nazioni europee come la dimostrazione che il sistema politico italiano aveva dentro di sé gli anticorpi per emanciparsi dal rifiuto della democrazia rappresentativa. La caduta di Draghi ci ricorda invece che la sfida con il fronte populista-sovranista è ancora ben lungi dall’esser vinta. È un’amara verità che ci precipita in una tempesta perfetta perché oggi la Bce, per la prima volta in dieci anni, aumenterà i tassi di interesse con conseguenze pesanti per il nostro debito e la nostra economia, che non potranno più fare affidamento sullo scudo garantito dalla credibilità politica di una nazione stabile guidata da Mario Draghi. Ecco perché la caduta del governo più pragmatico ed europeista degli ultimi anni desta l’apprensione delle grandi democrazie e anticipa il tema delle prossime elezioni: la sfida fra chi persegue gli interessi nazionali e chi invece li ostacola in nome di istanze populiste che contagiano anche chi, come Forza Italia, dovrebbe avere l’ambizione di raccogliere il voto moderato. Nulla da sorprendersi dunque se a brindare, oltre ai nostri populisti e sovranisti, sia l’inquilino del Cremlino il cui desiderio è lo scompiglio nei Paesi democratici al fine di imporre i propri interessi.

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