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La Repubblica Rassegna Stampa
03.07.2022 Il summit Nato di Madrid, la sicurezza nel Mediterraneo allargato
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 03 luglio 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La sicurezza nel Mediterraneo allargato»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/07/2022, a pag. 1, con il titolo "La sicurezza nel Mediterraneo allargato", l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

NATO - Topic: Collective defence - Article 5

Con l’approvazione del nuovo concetto strategico in cui parla di “minaccia russa alla sicurezza” e “sfide cinesi” il summit della Nato di Madrid ha posto le premesse non solo per un rafforzamento a Est e Nord, lungo i confini con la Russia, ma per un maggiore impegno sul “fianco Sud”. Si tratta dell’area del “Mediterraneo allargato” dove, dal Sahel al Golfo Persico, dallo Stretto di Bab el-Mandeb al Mar Nero, le mosse di Mosca e Pechino stanno generando seri rischi per la comunità euro-atlantica. Per avere idea di cosa stiamo parlando bisogna guardare alla mappa di questa regione che si estende su tre Continenti. Le principali preoccupazioni investono l’Africa perché la Brigata Wagner, composta di mercenari che operano in sintonia con gli interessi del Cremlino, in Libia è determinante per la stabilità del generale Khalifa Haftar a Bengasi; in Mali ha preso il posto dei contingenti francesi ritirati da Parigi; in Sudan lavora alla creazione di una base russa sul Mar Rosso grazie agli ingenti aiuti economici russi a Khartum; e nella Repubblica Centroafricana difende le locali miniere di oro e diamanti da cui dipendono le casse nazionali e da cui si originano ogni sorta di traffici. L’estensione del network militare russo nel Sahel, cuore strategico di molti gruppi jihadisti come anche della tratta di esseri umani verso l’Europa, è tale da far affermare a Ben Wallace, ministro della Difesa britannico, che «Putin potrebbe ripetere qui quanto nel 2021 ha dimostrato di saper fare in Bielorussia, concentrando una moltitudine di migranti al fine di premere sulla Polonia per mettere in difficoltà l’Europa». Anche José Albares, ministro degli Esteri spagnolo, ritiene che «la Brigata Wagner nel Sahel consentea Mosca di avere uno strumento per generare instabilità contro l’Europa» e vede un ulteriore segnale nella recente visita del collega russo, Sergei Lavrov, ad Algeri per sostenere il governo locale nella contrapposizione con il Marocco sulla contesa del Sahara Occidentale. Il recente assalto di migranti nordafricani all’enclave spagnola di Melilla - con un bilancio pesante di vittime - viene letto da Madrid come un’avvisaglia delle “minacce ibride” che possono scaricarsi sull’Europa a seguito della scelta di Mosca di soffiare sulle crisi del Maghreb. «Anche la crisi alimentare generata dalla carenza di grano dovuta alla guerra in Ucraina può trasformarsi in un’arma nelle mani di Mosca» aggiunge un alto diplomatico europeo parlando da Bruxelles, ricordando in proposito l’anomalia della recente partecipazione al forum economico di San Pietroburgo del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che in teoria è uno stretto alleato dell’Occidente ma in pratica dipende per il grano quasi completamente da Russia e Ucraina. «È stato il successo dell’intervento russo in Siria - assicura l’ex Segretario della Nato, Javier Solana - a far percepire a Mosca la possibilità di insediarsi con successo lungo il fianco sud della Nato» e questa scelta strategica continua nonostante la necessità del Cremlino di ritirare alcuni contingenti di truppe per inviarle in Ucraina. A questo scenario ed alle implicazioni per l’Italia – che dal 2017 ospita a Napoli l’hub Antiterrorismo - è dedicata l’intervista che pubblichiamo oggi al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nella quale fa sapere che «è l’Africa a cui guardiamo con maggiore attenzione». Ma non è tutto, perché oltre alla “minaccia russa” anche le “sfide cinesi” si affacciano sullo stesso scacchiere. Per comprendere di cosa si tratta bisogna ascoltare il generale americano Stephen Townsend, capo del “Comando Africa” del Pentagono, secondo il quale Pechino sta tentando di costruire una propria base navale militare sulla costa atlantica dell’Africa e,in particolare, nella Guinea Equatoriale, una dittatura con un territorio assai limitato ma ricco di petrolio ed in una posizione strategica. Per Townsend, i generali cinesi vogliono realizzare nell’ex colonia spagnola una base militare molto simile a quella di cui già dispongono a Gibuti, in Africa Orientale, nel quadro degli sforzi per «creare un network regionale di installazioni militari, anche minori» sulla scia degli ingenti investimenti economici che Pechino sta - da molti anni - realizzando in Africa. La decisione della Nato di invitare a Madrid il ministro degli Esteri della Mauritania - confinante con Algeria, Mali, Senegal e Sahara Occidentale - si lega proprio alla scelta di essere più presenti in Sahel dove, secondo il presidente francese Emmanuel Macron, dovrebbe essere «la Natoa inviare un contingente in Mali» per scongiurare il successo dell’insediamento strategico della Russia. In Libia, teatro nelle ultime ore di gravi disordini, la questione è ancor più complessa perché Haftar, che garantisce ai russi in Cirenaica basi aeree e navali, è appoggiato da Egitto, Emirati e Arabia Saudita mentre sul fronte opposto Tripoli è sostenuta - con armi e intelligence - da Ankara con Usa e Ue che continuano ad avere difficoltà nell’individuare partner locali per accompagnare il Paese alle elezioni nazionali, al fine di mantenerlo unificato. C’è dunque un’incognita turca in Libia che è la copia della situazione in Siria: il presidente Recep Tayyip Erdogan sfrutterà le nuove relazioni con l’America di Joe Biden - dopo il sì all’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato in cambio di una fornitura di F16 e dell’espulsione di dozzine di militanti curdi - per far entrare tanto Libia che Siria sotto la sua sfera di influenza oppure continuerà in maniera assai spregiudicata a trattare, magari anche con Mosca, per tentare di strappare condizioni ancora migliori nel Mediterraneo a unico vantaggio del proprio progetto neo-ottomano di leadership sulle maggiori risorse locali? Ultimo, ma non per importanza, il fattore-Iran. Un recente studio della Heritage Foundation di Washington, ricorda che “Teheran sull’Ucraina si è schierata con Mosca contro le sanzioni dell’Occidente” ipotizzando il rischio che “il suo ingente arsenale balistico possa essere adoperato per minacciare basi di Paesi Nato”. Anche di questo si è parlato nella riunione segreta - senza precedenti - svoltasi a marzo a Sharm el-Sheik sul “pericolo nucleare iraniano” fra i comandanti militari di Egitto, Israele, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti alla presenza del generale Usa Frank McKenzie, capo del Comando Centrale responsabile per le operazioni in Medio Oriente. L’ipotesi che fra Paesi arabi e Israele possa nascere una stretta collaborazione militare è un’altra opzione sul tavolo della Nato, interessata ad avere partner regionali con cui costruire un’architettura di sicurezza comune per contenere russi e cinesi nel “Mediterraneo allargato”.

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