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La Repubblica Rassegna Stampa
01.04.2022 Joseph Stiglitz: 'Pagheremo cara la dipendenza da Putin'
Intervista di Eugenio Occorsio

Testata: La Repubblica
Data: 01 aprile 2022
Pagina: 15
Autore: Eugenio Occorsio
Titolo: «Stiglitz: 'Pagheremo cara la dipendenza da Putin'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/04/2022, a pag. 15, con il titolo "Stiglitz: 'Pagheremo cara la dipendenza da Putin' ", l'intervista di Eugenio Occorsio.

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Eugenio Occorsio

Joseph Stiglitz, Nobel per l'Economía. BCC Speakers
Joseph Stiglitz

Purtroppo quello che sta accadendo conferma che la Russia non pub essere un partner affidabile, che non ha senso trascinarla in un ambito di globalizzazione corretta, produttiva per tutti, basata su semplici ma basilari regole di lealtà e cooperazione». Joseph Stiglitz, classe 1943, attualmente docente di economia alla Columbia University di New York, in passato capo economista della Banca Mondiale e presidente del gruppo di consiglieri economici di Bill Clinton alla Casa Bianca, vinse il premio Nobel nel 2001 per i suoi studi sulle "informazioni asimmetriche" che arrivano sui mercati. Altro che "asimmetrie": sui mercati oggi arrivano notizie non più, non solo, di tassi d'interesse e politiche monetarie, ma di bombardamenti, morte e distruzione provocate da un Paese che, più e più volte si era tentato dopo il crollo del Muro di Berlino, di accogliere da pari a pari nel G-8 e nella comunità internazionale. «Ormai, comunque vada a finire, questo non sarà più passibile per molte generazioni. Non vorrei autocitarmi troppo, ma queste considerazioni sulla Russia le avevo scritte molti anni fa nei miei libri sulla globalizzazione, i suoi eccessi e i suoi guasti».

Come finirà, professore, non solo per la povera Ucraina ma per tutta la comunità internazionale compresa la stessa popolazione russa? L'economia, che stava appena riprendendosi dopo la pandemia, verrà ricacciata in recessione con tutte le conseguenze? «I problemi saranno enormi per tutti, pero in questo momento il mio primo pensiero va alla moltitudine di Paesi in via di sviluppo che dipendono per la loro sopravvivenza dalle forniture innanzitutto alimentari e poi anche di altre materie prime, dalla Russia e dall'Ucraina. Chi gli manderà il grano, il mais, anche il petrolio che viene a mancare? Vede, l'America e l'Europa hanno spalle forti e, diciamo in sei mesi, possono riorganizzarsi per le forniture di qualsiasi bene e diversificare le fonti di approvvigionamento. Ma per i Paesi poveri, legati a un unico fornitore, questo difficilissimo, diventa davvero questione di vita e di morte».

Anche per altri Paesi, in condizioni assai meno precarie, smarcarsi dal fornitore russo però sarà difficile: ha seguito quello che sta succedendo in Italia con il gas? «Certo, e anche in Germania dove sono addirittura partiti i piani per il razionamento. È dura ma francamente ci si poteva pensare prima di legarsi manie piedi a un unico fornitore, perdi più di provata inaffidabilità. All'università lo insegniamo ai ragazzi del primo annodi economia: mai dipendere da nessuno».

Come dobbiamo guardare al futuro? Reggerà la rinsaldata amicizia fra Europa e America? E l'incognita della Cina? «A meno che non torni un altro Trump alla Casa Bianca, la cooperazione transatlantica si sta rivelando forte e costruttiva. la speranza è costruire un mondo in cui le parole tornino a contare, il dialogo anziché la contrapposizione. L'incognita cinese? Non credo che sia loro interesse creare un blocco con la Russia e appoggiarla militarmente, i cinesi non sono così ingenui. In futuro la Russia avrà bisogno della Cina come forte spalla e come mercato sicuro, la Cina molto meno della Russia perché il suo mercato è il mondo, e non pub permettersi scontri totali né di finire all'angolo con un partner scomodo e pericoloso».

Però la "nuova guerra fredda" con la Cina non era già in atto? «Sì, cerchiamo appunto di tenerla "fredda". Purtroppo l’ideologia gioca la sua parte. Chi ha votato a favore di Mosca o si è astenuto all'Onu quando si sono discusse le risoluzioni contro l'attacco? Tutti i Paesi totalitari: Siria, Iran, Bielorussia, Corea del Nord, e via dicendo fino appunto alla Cina. Ecco, se Guerra fredda deve esserci, la vedo come una contrapposizione fra Paesi autocratici e democrazie. Fra dittature e mondo libero. Questa realtà, questo scontro possibilmente non fisico, mi sembra inevitabile. Non solo, ma sarà più difficile interpretare le mosse dei protagonisti perché almeno nella vecchia Guerra fredda era chiaro: da una parte i comunisti e dall'alba i capitalisti, diciamo i liberali.Ora è tutto più confuso».

Non ci ha ancora detto se I' Europa finirò in recessione a causa della guerra. «Non ne sono sicuro ma la guerra non è ancora finita. Di sicuro la crescita perderà molti punti e saranno necessari grossi sacrifici per un lungo periodo di aggiustamento.II tutto è complicato dagli strascichi della pandemia e dall'inflazione che della lunga uscita dalla pandemia era un effetto e ora è drammaticamente amplificata dalla guerra. Spero che la Banca centrale europea non ripeta gli errori della crisi finanziaria dell'inizio dello scorso decennio e non alzi i tassi d'interesse con il pretesto dell'inflazione ma l'unico risultato di deprimere ulteriormente la crescita. L'unico modo per reggere alla crisi che sta arrivando sarà tenere viva in qualche modo la domanda e favorire anziché scoraggiare gli investimenti necessari alla nuova ripresa».

E la transizione ecologica die fine farà? «Purtroppo ci saranno delle scelte da fare, spostando gli investimenti da un settore all'altro. Anche se questo è sgradevole, viviamo un'emergenza troppo drammatica».

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