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La Repubblica Rassegna Stampa
16.01.2022 Texas, attacco islamista alla sinagoga
Cronaca di Francesca Caferri

Testata: La Repubblica
Data: 16 gennaio 2022
Pagina: 13
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Texas, uomo con ostaggi in una sinagoga. Chiede il rilascio di 'Lady Al Qaeda'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 16/01/2022, a pag.13 con il titolo "Texas, uomo con ostaggi in una sinagoga. Chiede il rilascio di 'Lady Al Qaeda' ", la cronaca di Francesca Caferri.

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Francesca Caferri

ROTTURA: situazione di ostaggi a Colleyville, nella sinagoga del Texas --  SEMBRA ESSERE UN INCIDENTE TERRORISTICO - SWAT chiamato sulla scena ⋆ Green  Pass News
La sinagoga di
Colleyville

«Non la lasceremo morire in una cella in America». Così diceva dal Pakistan, dodici anni fa, la famiglia di Aafia Siddiqui. Sui motivi per cui la donna, madre di tre figli, laureata in neuroscienze in una delle più prestigiose università americane, il Massachussetts Institute of Technology (Mit), fosse in cella, solo silenzio: perché per i familiari né l’aver tentato di uccidere i soldati americani che erano andati ad interrogarla né l’aver tentato di trafugare sostanze chimiche per conto di Al Qaeda, erano reati. Piuttosto, contributi alla jihad globale proclamata da Osama bin Laden. Il fantasma di Aafia Siddiqui è tornato ad occupare gli incubi degli americani ieri pomeriggio, quando un uomo che si è identificato come il fratello della donna, ha fatto irruzione in una sinagoga di Colleyville, poco lontano da Forth Worth, in Texas, e preso in ostaggio il rabbino Charlie Cytron-Walker e almeno tre fra le persone in preghiera.

Al momento dell’irruzione la funzione dello Shabbat era trasmessa in livestreaming su Facebook: dagli audio, riferiscono i giornali del Texas, si è potuta ascoltare la prima parte della negoziazione fra l’uomo e la polizia. Parlava di Islam, di una sorella detenuta in un carcere americano e della certezza di dover morire presto: «Se entrate moriranno tutti». Poco dopo l’interruzione della trasmissione, Abc ha dato la notizia che il sospetto era stato identificato come Mohammed Siddiqui, fratello di Aafia, detenuta nel carcere di Cardwell, a poca distanza da Forth Worth, dove sconta una condanna a 86 anni.

Soprannominata Lady Al Qaeda, Siddiqui è stata la prima donna a unirsi alla jihad di Bin Laden e a diventare per questo nota in tutto il mondo: un esempio per generazioni di donne che hanno scelto di seguire il suo cammino. Dalla belgo- marocchina Malika el Aroud, la vedova nera della jihad, il cui marito fu uno degli uomini che uccisero il comandante Massud in Afghanistan alla vigilia dell’11 settembre 2001. Alle americane Colleen LaRose e Jamie Paulin-Ramirez, che presero parte al complotto per uccidere il vignettista svedese Lars Vilks. Alle centinaia di ragazzine occidentali che si sono unite allo Stato islamico in Siria negli anni della sua espansione. Siddiqui, madre di tre figli, è un’ex studentessa del prestigioso Mit con un dottorato in scienze neurologiche. Nel 2002, dopo gli attacchi alla Torri Gemelle, tornò in Pakistan: ma era già sotto la lente degli americani, che l’avevano interrogata per presunte attività di sostegno ad Al Qaeda. Nel Paese di origine divorziò e dopo sei mesi sposò un nipote di Khalid Sheikh Muhammad, considerato la mente dell’11 settembre. Subito dopo l’arresto dell’uomo, nel 2003, sparì: arrestata senza mandato dagli americani e portata — unica donna — nella base aerea di Bagram, dove fu detenuta, stuprata e torturata per cinque anni, denuncia la famiglia. Ma la sua vicenda non è mai stata chiara. Gli americani sostengono che, oltre al sostegno logistico, stesse cercando di procurarsi materiale chimico da fornire ad Al Qaeda: ma non l’hanno processata per questo, bensì “solo” per aver tentato di uccidere un soldato americano giunto ad interrogarla in Afghanistan nel 2008.

L’America ha sempre negato di averla tenuta prigioniera prima di quell’episodio. Forte è sempre stata la mobilitazione degli ambienti più estremisti del mondo dell’Islam per liberarla: l’Isis chiese la sua libertà in cambio della vita di James Foley, poi decapitato. A livello globale l’ultima campagna — virale su Twitter — a settembre, dopo che si era diffusa la notizia di un’aggressione in carcere.

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