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La Repubblica Rassegna Stampa
06.12.2021 Il vaccino serve, ma non basta
Analisi di Luca Ricolfi

Testata: La Repubblica
Data: 06 dicembre 2021
Pagina: 30
Autore: Luca Ricolfi
Titolo: «Il vaccino serve, ma non basta»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/12/2021, a pag. 30, con il titolo "Il vaccino serve, ma non basta", l'analisi di Luca Ricolfi.


Luca Ricolfi

Virus e Spillover - CDI Centro Diagnostico Italiano

Come va l’epidemia nelle società avanzate? Dipende dalla direzione in cui guardiamo. Il dato più drammatico è il tasso di mortalità (e di occupazione delle terapie intensive) nei Paesi dell’Est Europa, che è quasi 14 volte quello dell’Italia. È verosimile che la ragione di questo squilibrio stia essenzialmente nella vaccinazione, che è in clamoroso ritardo nei Paesi ex comunisti. Ed è possibile che, alla radice di tale bassissima propensione a vaccinarsi, vi sia anche, se non soprattutto, la diffidenza dei cittadini di quei Paesi verso lo Stato centrale, una diffidenza maturata in 70 anni di dittatura e di invasione della vita privata. Ma nelle altre società avanzate, occidentali e orientali, come vanno le cose? Qui ci sono due sorprese, o meglio due dati, che contraddicono la narrazione oggi prevalente in Italia. Il primo dato è che l’Italia non è affatto un’isola relativamente felice, e tantomeno un modello per gli altri Paesi. Se guardiamo alla mortalità dell’ultimo mese, ci sono 13 Paesi che stanno meglio di noi e 12 che stanno peggio (vedi il grafico). In breve: siamo a metà classifica. Lo stesso accade se, anziché guardare ai morti per milione di abitanti, guardiamo al valore di Rt: metà dei Paesi ci precede e metà ci segue. Il secondo dato è che, nella stragrande maggioranza dei Paesi, il valore di Rt è maggiore di 1. Ossia: l’epidemia galoppa quasi ovunque. Ma soprattutto, e qui sta il lato sorprendete, galoppa indipendentemente dalla copertura vaccinale. Anche nei Paesi che, come Portogallo e Spagna, hanno vaccinato quasi il 100% della popolazione vaccinabile, il valore di Rt è ampiamente sopra 1, e analogo a quello dell’Italia. A giudicare dai dati disponibili, la vaccinazione riduce drasticamente la mortalità, ma non ha alcun impatto apprezzabile sulla diffusione del contagio. Dunque vaccinare è necessario, ma non sufficiente. Sulle ragioni che fanno sì che il pieno successo della campagna vaccinale non basti a fermare l’epidemia si può discutere a lungo, perché nessuno ha dati sufficienti a fornire una risposta incontrovertibile. Al momento la spiegazione che più mi convince, anche in quanto supportata da analisi statistiche su dati americani, è che la capacità dei vaccinati di trasmettere l’infezione sia stata sottovalutata. Detto in altre parole: si confonde la capacità dei vaccini di proteggere dalla morte e dalla malattia grave (che è indubbia e molto elevata) con la loro capacità di rallentare la trasmissione. Da questo punto di vista la strategia di “premiare i vaccinati”, lasciando loro la libertà di fare quasi tutto, o la scelta di rimandare la quarantena nelle classi scolastiche fino a quando non vi sia un focolaio di almeno tre studenti positivi, appare quantomeno imprudente. L’idea che la colpa sia (quasi) tutta dei non vaccinati, e che vaccinando (quasi) tutti le cose tornerebbero a posto, è incompatibile con i dati: se fosse corretta, non assisteremmo a una preoccupante espansione dei casi in Spagna, Portogallo, Irlanda, Danimarca, Malta, Islanda, tutti Paesi che hanno vaccinato moltissimo. Che fare, dunque? Prima di tutto, prendere atto che non siamo i primi della classe. E poi avere il coraggio di farci la domanda cruciale: siamo sicuri che la ricetta italiana, fatta di vaccini + restrizioni, sia la strada giusta per tenere sotto controllo l’epidemia? Io penso che non lo sia, e che anche l’Europa dovrebbe cominciare a riflettere sul problema. L’esperienza di due stagioni fredde e due stagioni calde dovrebbe averci insegnato che l’illusione di domare il virus prende forma e si consolida in estate, ma svanisce con l’autunno. Puntare tutte le carte su vaccini e restrizioni significa tenere permanentemente sotto pressione il sistema sanitario (100 o 150 milioni di vaccinazioni all’anno non sono uno scherzo, come ha fatto notare il professor Crisanti), con conseguente drammatica riduzione delle cure ordinarie, e chiamare periodicamente i cittadini (compresi i vaccinati) ad accettare pesanti restrizioni alla loro libertà, ogni qualvolta il generale inverno subentra al generale estate. Possibile che non vi siano alternative? Possibile che, al di là della vaccinazione perpetua che ci si prospetta, quasi tutto l’onere dell’aggiustamento ricada sui cittadini? In realtà le alternative diverse dalla diade vaccinazioni + sacrifici esistono, e sono state più volte indicate, non solo dagli studiosi. Non le ricorderò tutte, ma vorrei almeno ricordarne due: il tracciamento elettronico (abbandonato dopo il fallimento dell’app Immuni) e la messa in sicurezza degli ambienti chiusi, a partire da scuole, uffici, metropolitane, con filtri e ventilazione meccanica controllata (ne ha parlato pochi giorni fa l’ingegner Buonanno su questo giornale). L’elemento comune di tali interventi, snobbati non solo in Italia ma in buona parte d’Europa, è che non impattano né sul sistema sanitario (a differenza della vaccinazione di massa), né sulla nostra libertà (a differenza delle restrizioni). E, nel caso dell’approccio ingegneristico al controllo della qualità dell’aria negli ambienti chiusi, ci regalano una realistica speranza: quella di affrontare meno indifesi la stagione fredda, che è il vero tallone di Achille della lotta al virus.

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