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La Repubblica Rassegna Stampa
18.10.2021 Ecco chi è Eric Zemmour
Analisi di Ben Cohen, Bernard-Henri Lévy

Testata: La Repubblica
Data: 18 ottobre 2021
Pagina: 1
Autore: Ben Cohen - Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Eric Zemmour è il nuovo Bruno Kreisky? - L’oltraggio dell’ebreo populista che piace agli ultrà antisemiti»
Con il titolo "Eric Zemmour è il nuovo Bruno Kreisky?", pubblichiamo l'analisi di Ben Cohen; da REPUBBLICA, a pag. 1-17, con il titolo "L’oltraggio dell’ebreo populista che piace agli ultrà antisemiti", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.

A destra: Eric Zemmour

Ecco gli articoli:

Ben Cohen: "Eric Zemmour è il nuovo Bruno Kreisky?"

(traduzione di Yehudit Weisz)


Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate

Un politico che si identifichi pienamente come ebreo ed esprima simpatie filo-israeliane potrebbe mai essere eletto Capo di Stato in un Paese europeo? La domanda è ancora ipotetica. Nonostante il gran numero di politici orgogliosamente ebrei, eletti nei governi in Europa nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, insieme a coloro che hanno servito come ministri di gabinetto e giudici di spicco, nessuno di loro ha mai preso seriamente in considerazione la possibilità in un'elezione di vincere la carica di Presidente o di Primo Ministro. Questo invece non è stato il caso dei politici ebrei le cui famiglie avevano abbandonato l'ebraismo per un'altra religione, come Laurent Fabius, cresciuto come cattolico, che fu Primo Ministro francese negli anni '80, o, cosa molto più inquietante, come quegli ebrei che hanno stigmatizzato l'identità ebraica e lo Stato d'Israele mentre salivano la scala del potere.

Ne è un esempio lampante il defunto Cancelliere austriaco Bruno Kreisky, che, tra il 1970 e il 1983, ebbe il più lungo mandato come Cancelliere. Con le sue esternazioni antisemite e la sua ostentata amicizia con il leader dell'OLP Yasser Arafat, fu una vera piaga per le organizzazioni ebraiche e il governo israeliano dell'epoca; di Kreisky, morto nel 1990, non si parla molto oggi. Ma lui rappresenta il modello di un politico europeo che, proveniente da una famiglia ebrea, disprezza la propria comunità, la sua storia e le sue aspirazioni pur di ingraziarsi il pieno favore degli elettori.

L’eredità di Kreisky è ancora una volta rilevante a causa degli sviluppi in Francia, dove un opinionista televisivo di nome Eric Zemmour, proveniente anche lui da una famiglia ebrea, viene largamente sostenuto come candidato dell'estrema destra alle elezioni presidenziali francesi nel prossimo aprile 2022. E’ vero, Kreisky era un orgoglioso socialista, mentre Zemmour, un nome noto in Francia per la sua martellante posizione anti-immigrati, è un esplicito rappresentante della destra ultranazionalista; sotto altri importanti aspetti, tuttavia, le somiglianze politiche tra i due sono inquietanti. Prendete l'atteggiamento di entrambi nei confronti della Shoah, un evento determinante nella storia europea, che rimane ancora oggi un tema carico di discussioni politicamente ed emotivamente scottanti. Lo stesso Kreisky ha vissuto questo periodo, trascorrendo la maggior parte della guerra in Svezia, dove si era rifugiato in seguito all' annessione dell'Austria al Terzo Reich nazista nel 1934. Tuttavia, per ragioni che hanno lasciato perplessi psicologi e storici, sembra che la Shoah abbia reso Kreisky ancora più ostile nei confronti degli altri ebrei. Nel 1970 formò un governo di coalizione con il Partito della Libertà, di destra, il cui leader Friedrich Peter, aveva servito come alto ufficiale in un'unità delle SS responsabile delle fucilazioni di massa di ebrei, rom e altri durante l'occupazione nazista. Anche altri quattro membri del governo avevano un passato nazista. Quando Simon Wiesenthal, il famoso investigatore che perseguì attivamente i criminali di guerra nazisti, rivelò che nel governo di Kreisky c’erano degli ex nazisti, Kreisky reagì in modo brutale. Ha falsamente accusato Wiesenthal, un sopravvissuto alla Shoah, di essere stato un agente della Gestapo e l’ha accusato di fomentare l'antisemitismo in Austria.

A un certo punto della discussione, Kreisky ha chiarito che lui “non era più un ebreo”, un indizio, forse, del motivo per cui il continuo parlare dei suoi colleghi nazisti l’aveva reso così furioso. Se Kreisky era disposto a lustrare la reputazione dei nazisti ancora in vita, Eric Zemmour ha fatto lo stesso con quelli morti, in particolare con i collaboratori del regime di Vichy che governarono la Francia dopo l'invasione nazista nel 1940. Nei suoi numerosi bestseller pubblicati in Francia, Zemmour ha descritto le autorità di Vichy come coloro che fecero tutto il possibile per salvare gli ebrei di origine francese mentre sacrificarono ai tedeschi quelli nati all'estero. Questa affermazione si adatta perfettamente al revisionismo nazionalista di Zemmour, ma è palesemente falsa, come mostrano i nudi fatti. Ad esempio, dei 4.000 bambini tra gli oltre 13.000 ebrei deportati ad Auschwitz durante il famigerato rastrellamento del Vel d'Hiv del luglio 1942, l'80% erano nati in Francia. Inoltre, le leggi e i regolamenti antiebraici introdotti dal regime di Vichy dalla fine del 1940 in poi, si applicavano a tutti gli ebrei, non solo a quelli nati all'estero, che al loro apice non costituirono più del 13% dei 340.000 ebrei francesi di prima della guerra. Non contento di snaturare la Shoah in Francia, Zemmour ha anche attaccato la reputazione del capitano Alfred Dreyfus , l'ufficiale dell'esercito francese ingiustamente condannato per spionaggio nel 1894, in mezzo a un'ondata di antisemitismo che convinse Theodor Herzl, tra gli altri, della necessità di uno Stato ebraico sovrano. Secondo Zemmour, non sapremo mai se Dreyfus fosse una spia, ma l'esercito all'epoca aveva buone ragioni per sospettarlo a causa dei suoi presunti contatti tedeschi. Quando si tratta di battute antisemite e messaggi subliminali, le sovrapposizioni tra Kreisky e Zemmour sono di nuovo fin troppo evidenti. “Se gli ebrei sono un popolo, allora sono un brutto popolo”, ha osservato una volta Kreisky, mentre spesso denunciava Israele come uno Stato “semi-fascista”, “clericale” e, naturalmente, “di apartheid”. Zemmour, un esperto commentatore televisivo ed editorialista di giornali, non è così sfacciato, ma attinge bene dallo stesso pozzo.

La scorsa settimana, ha definito l'eminente intellettuale ebreo francese Bernard-Henri Lévy come un “traditore” e un “cosmopolita”, un linguaggio che, come ha sottolineato l'ex Primo Ministro francese Manuel Valls, riecheggia la retorica degli antisemiti francesi di anteguerra. A settembre inoltre, Zemmour aveva affermato che le vittime del massacro compiuto con armi da fuoco da un islamista in una scuola ebraica a Tolosa nel 2012 - il rabbino Jonathan Sandler; i suoi due figli piccoli, Arieh di 6 anni e Gabriel di 3 anni; e una bambina, Miriam Monsonégo di 8 anni - erano state sepolte in Israele perché non erano veramente francesi. “Erano innanzitutto stranieri e volevano rimanere tali anche oltre la morte”, ha detto. Zemmour non ha ancora annunciato la sua intenzione di candidarsi, ma il discorso sulla sua candidatura è stato rafforzato da un recente sondaggio che lo ha dato secondo alle elezioni. Marine Le Pen, l'altra candidata di estrema destra che è stata sonoramente sconfitta da Emmanuel Macron al secondo turno delle elezioni del 2017, sta osservando Zemmour nervosamente. Certamente il messaggio di Zemmour, che esalta i valori tradizionali francesi e cristiani, riecheggia sempre più in un Paese fortemente diviso sull'immigrazione, sulla risposta del governo alla pandemia di COVID-19, sull'Europa e molto altro ancora. Da una prospettiva ebraica, tuttavia, persiste la domanda sul perché gli ebrei europei che respingono le proprie comunità, possono nutrire la speranza delle più alte cariche politiche - con Kreisky che rappresenta il precedente - mentre di conseguenza coloro che le abbracciano devono misurare le loro aspettative. Se Eric Zemmour decidesse di voler essere il Presidente della Francia, strada facendo senza dubbio ci fornirà alcune risposte, per quanto sgradevoli possano essere.

Bernard-Henri Lévy: "L’oltraggio dell’ebreo populista che piace agli ultrà antisemiti"

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Bernard-Henri Lévy

Ci pensano tutti, ma nessuno sembra volersi decidere a parlarne apertamente: Zemmour è ebreo e, tra i vari interrogativi che solleva la sua candidatura, c’è anche quello che concerne il significato dell’essere ebreo in Francia. È un argomento delicato da affrontare, ma non vorrei che per questo ci astenessimo dal farci delle domande; domande che riguardano sia ciò che il fenomeno Zemmour rivela di un sistema politico ormai in assoluto affanno; sia la frantumazione che provocano i colpi di questo nuovo pugile della politica a ciò che resta del sistema; sia il remake che sembra gestarsi del famoso «appello dei 43», che nel 1974 risucchiò l’elettorato di Chaban-Delmas e che, nel 2021, permetterebbe di arraffare l’intero bottino di guerra dei Repubblicani; sia, infine, le idee che sta manipolando, le infamie che escono dalla sua bocca o la penosa immagine che proietta della Francia, quando afferma che al paese «non importa nulla » del destino delle donne afgane, o che non sapremo mai la verità sul caso Dreyfus, o ancora che sono biasimevoli quei poveri piccoli assassinati da Mohamed Merah, perché le loro famiglie hanno voluto dar loro sepoltura a Gerusalemme. Esprimerò un’opinione su ognuno di questi miserabili argomenti, nel caso si renda necessario farlo. Avendo io avuto occasione di discuterne quando lui non era nient’altro — come il Mussolini della prima ora — che un giornalista pieno di sé, conosco piuttosto bene i suoi trucchetti e posso tornarci su al momento opportuno, se questo pallone dovesse tardare a sgonfiarsi. Adesso c’è un’altra questione che mi preme e che voglio sottolineare, e riguarda il danno che Zemmour reca, consapevolmente o no, alla parola «ebreo». E invito tutti a rifletterci con calma, a mente fredda. A questo proposito notiamo innanzitutto — volendo essere ottimisti — che Zemmour ha iniziato a frantumare non tanto l’elettorato di Valérie Pecrese, quanto quello di Marine Le Pen; questo fatto, a quarant’anni dalla nascita del Front National, non è necessariamente negativo. Se avessimo voglia di riderci su, troveremmo divertente l’ironia — o l’astuzia; o la trappola — della Storia, che riesce a fare in modo che la vecchia estrema destra antisemita scelga di essere rappresentata da un uomo che un tempo non sarebbe stato certo di suo gradimento. Magari agli appassionati di storie degne di un romanzo dispiacerà che non ci sia più il Philip Roth di Operazione Shylock per scriverne, oppure il Roman Gary de La danza di Gengis Cohn , che immagina un vecchio nazista abitato dallo spirito di un piccolo ebreo sopravvissuto alla Shoah, da una specie di Dibuk che parla per bocca sua come un ventriloquo. Ci saranno però anche i pessimisti che, osservando quest’uomo cavalcare l’onda delle peggiori ossessioni dell’estrema destra, temeranno che una tale ossessione alimenti, come forma di contrappasso, un antisemitismo di estrema sinistra che magari non vedeva l’ora di emergere, e di cui anche Zemmour sarebbe vittima. E un giorno ci sarà senz’altro qualche storico in grado di scorgere, in questa dinamica, un esempio — portato all’estremo — dell’affermazione di Hannah Arendt secondo cui esistevano «israeliti» talmente sopraffatti dalla propria «francesità» da arrivare al punto di provare vergogna di sé, come il Bloch di Proust! O degli ebrei tedeschi che erano andati a ripescare dal fondo dell’armadio l’elmetto appuntito della guerra del 15-18 quando, nel 1933, i nazisti andarono a prenderli per condurli nei lager! Perché non dovrebbe essere così anche Zemmour, i cui genitori, esattamente come i miei, a causa della loro nazionalità furono immolati dalla Francia di Vichy, nonostante lui vada in televisione a dire che Pétain li ha protetti? Ma la domanda più scottante è un’altra ancora, si spinge oltre.

Osservo la rabbia con cui abbraccia la peggior retorica, il discorso più criminale di Barrés o di Maurras, come se volesse cavare gli occhi alla sinagoga per guardare solo alla facciata — martoriata dall’incendio — di Notre-Dame. Osservo quel suo modo di avventurarsi nella zona paludosa, fangosa, del fascismo francese, e sguazzarvi a suo agio, come un pesce nell’acqua; caracollarvi come un Bonaparte carnascialesco sul ponte di Arcole. Lo vedo calpestare tutto ciò che, del legato ebreo alla Francia, ha attinenza con la morale, con il senso di responsabilità nei confronti degli altri, o di quell’antico modo di essere, colmo di bellezza, che un tempo, sulla terra, simboleggiava le figure erranti, straniere, e che oggi dovrebbe ispirarci nell’intendere l’ospitalità ai migranti. Questo suo trasgredire rivela tratti che fanno gelare il sangue nelle vene. Lo dissi cinque anni fa agli ebrei tentati dal trumpismo: allearsi con un soggetto simile, sospendere la propria capacità di giudicare al cospetto di una simile volgarità, inchinarsi di fronte al cattivo pastore che ha rispetto solamente dei potenti, del denaro, degli stucchi dorati dei palazzi che possiede, equivaleva a un suicidio. Ripeto la stessa cosa agli ebrei francesi che abbiano la tentazione di identificarsi con il semplicismo funesto di Éric Zemmour: quella sua hybris nazionalista e razzista, la sua crudeltà, il rinunciare alla generosità ebrea, alla fragilità ebrea, all’umanità e all’essere erranti quasi per fisiologia; quella sua ignoranza, non delle schede di lettura di cui si è imbevuto, ma del vero sapere, scritto con il sangue nella memoria delle nostre famiglie, e che implica non perdere l’equilibrio quando la Storia curva bruscamente, e mantenerci saldi quando l’acido della persecuzione ci schizza addosso, ebbene, tutto ciò reca offesa alla parola «ebreo», di cui ogni ebreo è custode, a meno che non ne prenda pubblicamente le distanze. Éric Zemmour non è certo il primo a pensare che si possa essere ebrei e, al contempo, ultrapopulisti. Ci saranno sempre, per fortuna, altri ebrei disposti a fargli notare che non esiste alcun obbligo di scegliere tra Claudel e il Talmud; che Claudel l’imposizione di una simile scelta l’avrebbe rifiutata. Lo spettacolo di quest’uomo, di un vuoto così grande, dell’infatuazione di sé, del suo sinistro esultare non solo quando profana il proprio nome, ma in particolare quando si trasforma nello xiloforo di tutto ciò che, da millenni, la speranza ebrea combatte, è di un’oscenità insopportabile. All’orizzonte, un disastro politico. Ma è in pericolo anche la casa metafisica sotto il cui tetto ha finora trovato riparo, dalla notte dei tempi, una parte del senso di umanità della Francia.
Traduzione di Monica Rita Bedana

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