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La Repubblica Rassegna Stampa
19.08.2021 Afghanistan 1: identikit dei talebani
Commento di Lorenzo Vidino

Testata: La Repubblica
Data: 19 agosto 2021
Pagina: 27
Autore: Lorenzo Vidino
Titolo: «La biografia dei nuovi talebani»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/08/2021, a pag.27, con il titolo "La biografia dei nuovi talebani" l'analisi di Lorenzo Vidino.

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Lorenzo Vidino

https://static.latribune.fr/full_width/1752027/afghanistan-les-taliban-s-emparent-d-une-huitieme-capitale-provinciale-en-six-jours.jpg

Appena il tempo di metabolizzare che la pressoché incontrastata blitzkrieg talebana ha riportato il gruppo al potere ed è necessario chiedersi come sarà il loro auto-dichiarato Emirato islamico dell’Afghanistan. I talebani governarono il Paese dal 1996, quando emersero vincitori della guerra civile che aveva seguito la ritirata sovietica, fino alla fine del 2001, quando l’attacco americano post 11 settembre li fece capitolare. In quei cinque anni il governo talebano divenne sinonimo di brutalità medievale, implementando una rigidissima interpretazione della legge islamica e privando gli afghani ( in primis le donne) di diritti fondamentali, perseguitando minoranze (in primis gli hazara) e ospitando Al Qaeda, che dal territorio afghano architettò gli attacchi contro l’America. La domanda fondamentale è quindi una: i talebani di oggi sono gli stessi di allora? Il loro zelo è stato temperato dalle lezioni imparate negli ultimi venti anni, portandoli ad adottare posizioni più moderate allorché giudicate utili a perseguire i fini del gruppo? La ricerca di un equilibrio tra ortodossia ideologica e la necessità di adottare compromessi è il nodo gordiano dell’islamismo contemporaneo, che si manifesta in tutti quei casi in cui i suoi esponenti sono passati dalla facile posizione di rivoluzionari duri e puri che condannavano regimi corrotti con slogan accattivanti a quella ben più difficile di dover far funzionare un’economia, pulire le strade e collocarsi nel sistema diplomatico internazionale. Il problema affligge gli strateghi sia di gruppi islamisti (relativamente) moderati che hanno raggiunto il potere con le elezioni — come la Fratellanza in Egitto, al Nahda in Tunisia o perfino Hamas a Gaza — che di formazioni jihadiste che lo hanno ottenuto con le armi — come la costola siriana di Al Qaeda, Hayat Tahrir al-Sham, che oggi controlla Idlib, o perfino l’Isis quando costituì il califfato. Il movimento islamista globale non è né statico né cieco: le esperienze di ogni gruppo vengono studiate dagli altri, che cercano di evitare gli errori e replicare i successi nei propri contesti. Il tutto ingenera dibattiti e, non di rado, attriti tra vari gruppi e in seno agli stessi. Ciò vale anche per i talebani, all’interno dei quali si discutono da anni questioni di governance e dove sussistono ali più o meno pragmatiche. Sui diritti umani, le dichiarazioni moderate su educazione delle donne e rispetto di minoranze hanno zero credibilità. Se i talebani adotteranno posizioni più soft (il tutto è relativo, chiaramente) sarà perché avranno valutato, come altri gruppi islamisti hanno fatto altrove, che le posizioni oltranziste degli anni ’90 non sono condivise dalla maggioranza della popolazione afghana, del cui supporto il gruppo ha bisogno. Le prime notizie che arrivano dalla Kabul talebana sono tutt’altro che incoraggianti. Potenzialmente simile è la dinamica relativa alla questione che più preoccupa i governi occidentali: il terrorismo. I talebani non hanno mai rotto il rapporto con Al Qaeda — un vincolo religioso/ideologico e legami personali li legano. Alla notizia della caduta di Kabul, a Idlib miliziani legati ad Al Qaeda distribuivano dolci alla popolazione. E già a giugno le Nazioni Unite ammonivano che Al Qaeda era presente in 15 province afghane dove i talebani avevano il controllo. Detto ciò, i talebani sanno bene che fornire rifugio a gruppi che conducono attacchi in Occidente è l’unica cosa da non fare se si vuole consolidare il proprio potere nel Paese, evitando l’intervento di una altrimenti cinicamente disinteressata comunità internazionale. I talebani lo sanno per esperienza diretta — non fu certo il trattamento delle donne a portare gli americani in Afghanistan nel 2001. Ma la dinamica è chiara a tutto il movimento jihadista globale, che si adatta di conseguenza. L’Isis fu pressoché ignorato dall’Occidente quando conquistò mezza Siria e Iraq, ma fu attaccato da una coalizione globale allorché iniziò a decapitare occidentali e a compiere attentati in Europa. Gruppi come Hayat Tahrir al-Sham, che con l’Isis condividono storia e ideologia, hanno preso nota e ben si guardano dal commettere gli stessi errori, concentrandosi invece sul consolidarsi sul territorio che controllano in Siria. Difficile prevedere come si comporteranno i talebani. È prematuro dare per certo che tramuteranno l’Afghanistan in un centro del jihadismo globale come fecero la prima volta. Ma è ingenuo pensare che la vena di pragmatismo acquisita dai talebani negli ultimi anni andrà necessariamente a prevalere sull’affinità ideologica con Al Qaeda ed il jihadismo globale.

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