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Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 03/08/2021, a pag.15, con il titolo " 'Ennahda ha fallito'. A Tunisi tramonta l’Islam di governo", l'analisi di Giampaolo Cadalanu.
Giampaolo Cadalanu Proteste in Tunisia Davanti alla moschea Al Fath, vicino all’ingresso, Majid ha pochi clienti. Ha allineato sul tavolino le boccette con estratti di fiori rigorosamente Halal, l’aspetto è del tutto ortodosso, barba lunga e baffi rasati, ma a comprare non c’è nessuno. Il luogo di culto è chiuso. Il giardino dell’edificio religioso sulla Rue de Paris, dove normalmente i fedeli lasciano le scarpe per andare a pregare, ha il pavimento coperto di foglie di ficus e piccole bacche. «Niente preghiera, nemmeno il venerdì », spiega il venditore di profumi naturali: «La pandemia costringe a rinunciare al rito collettivo, ognuno si rivolge a Dio per conto suo. Si condivide solo il richiamo del muezzin». Niente preghiera di gruppo, e niente riflessioni politiche guidate dagli imam. Potrebbe essere stato questo fattore, o il limite agli spostamenti imposto per evitare i contagi, a rendere più debole la risposta del partito islamico Ennahda dopo la decisione del presidente tunisino Kais Saied di ricorrere all’articolo 80, chiudendo il Parlamento, liquidando il premier e facendo fuori diversi ministri: e ieri a saltare sono stati quelli delle Finanze e delle Comunicazioni. Erano in pochi davanti all’Assemblea dei rappresentanti, ai cancelli del Bardo, a chiedere di entrare. C’è da chiedersi, dicono gli analisti, se sia l’inizio del tramonto per Ennahda e per la sua "casa madre", i Fratelli musulmani. Il leader del partito e presidente del Parlamento, Rached Ghannouchi, aveva gridato al golpe, contestando la legittimità delle azioni di Saied e chiamando alla rivolta.
Kais Saied Ma ora fra i ficus striscioni di protesta non se ne vedono. Se i tradizionali alleati, Qatar e Turchia, sono stati molto prudenti se non persino silenziosi di fronte alle scelte di Saied, una fetta di mondo arabo ha brindato all’idea della crisi di Ennahda: "È la rivolta contro i Fratelli musulmani", titolava il giornale semiufficiale saudita Okaz , mentre l’egiziano Al Ahram parlava di sconfitta nell’ultima roccaforte della Fratellanza. «Sui social network c’è una campagna di sauditi ed emiratini contro l’islam politico, che ci fa domandare quanto Riyadh e Dubai siano coinvolti nelle vicende tunisine», avverte in un’intervista Marc Owen Jones, professore all’università Hamad Bin Khalifa di Doha. Anche Rached Ghannouchi ha denunciato sulla tv turca le influenze emiratine sulla manovra presidenziale. Ma all’interno del Paese l’ottantenne capo di Ennahda ha perso tutta la sua autorevolezza: secondo i sondaggi, è l’uomo più odiato dell’intera Tunisia. Fra delusione della piazza e critiche interne, ha accusato un malore ed è finito in ospedale per accertamenti. Il partito è sull’orlo della spaccatura: 130 giovani esponenti, fra cui cinque deputati, hanno inviato una lettera al leader, che definisce inefficaci «le scelte politiche, economiche e sociali, e il modo in cui Ennahda gestisce le alleanze ». È indispensabile «premettere l’interesse nazionale, prendere le misure necessarie per la Tunisia e garantire il ritorno del Parlamento all’attività normale». Niente appelli alla piazza, niente prove di forza con possibili escalation rischiosissime. «Ricorrere alla violenza e mettere in pericolo la vita dei tunisini, confrontandosi con le forze di sicurezza, vuol dire superare una linea rossa», precisa Samir Dilou, ex ministro e membro della direzione. Secondo i critici, la leadership deve prendersi «la piena responsabilità per il mancato raggiungimento delle richieste popolari». In altre parole, deve andarsene. Per Hamadi Redissi, docente universitario e autore di " L’exception islamique ", è tutto l’islam politico che sta declinando. «A lungo si è creduto che i partiti di ispirazione musulmana, accettando il meccanismo democratico, abbiano realizzato una sorta di svolta protestante dell’islam. Ma era un’illusione. Arrivati al potere, hanno messo in atto una strategia reazionaria, cercando di reprimere gli spazi di laicismo e di libertà. In Egitto sono stati fermati dall’Esercito, qui dalla società civile, perché i politici di Ennahda hanno solo cercato i privilegi personali. Altro che etica».
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