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La Repubblica Rassegna Stampa
08.06.2021 La vita di Saman
Commento di Natalia Aspesi, cronaca di Giuseppe Baldessarro

Testata: La Repubblica
Data: 08 giugno 2021
Pagina: 25
Autore: Natalia Aspesi - Giuseppe Baldessarro
Titolo: «Siamo tutte Saman - Saman uccisa in 13 minuti. 'Lo zio l’ha strangolata. Dopo mio padre piangeva'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/06/2021, a pag.25 con il titolo "Siamo tutte Saman" il commento di Natalia Aspesi; a pag. 17, con il titolo "Saman uccisa in 13 minuti. 'Lo zio l’ha strangolata. Dopo mio padre piangeva' ", la cronaca di Giuseppe Baldessarro.

Ecco gli articoli:

Saman Abbas aveva un fidanzato «segreto»- Corriere.it
Saman Abbas

Natalia Aspesi: "Siamo tutte Saman"

Immagine correlata
Natalia Aspesi

La vita di una ragazza non vale nulla, quella di una figlia ancora meno, se rifiuta il ruolo di merce che serve a uno scambio vantaggioso, non per lei certo che non ne ha diritto, ma per i suoi genitori, o meglio per suo padre, il padre padrone (anche gli italiani sino a cent’anni fa) per la grande famiglia lontana distribuita nel loro Paese, per mantenere una tradizione patriarcale che nessuno, donna ma anche uomo, riesce a infrangere, per rafforzare l’Islam, per non scomparire cancellati da una cultura per loro esecrabile. Tante nel tempo, le cose-donna come Saman, che disubbidendo alla legge del Padre perdono il diritto di vivere, qui nel Paese dove le hanno portate per trovare loro, i padri, lavoro e vita, ma non per lei, che resta rinchiusa nella prigione dentro cui è arrivata, sotto gli occhi feroci dei guardiani della fede, il padre e la madre, suddita anche lei, quindi impossibilitata a difendere la figlia come non può difendere se stessa. Quali pensieri aveva Saman, quanta paura e rassegnazione e orrore e disperazione e odio e impossibile speranza aveva mentre la conducevano al patibolo, alla lapidazione delle sue leggi, a una morte certa? Ma anche mi chiedo cosa succede nella testa di un padre, non un padre pazzo, ma un padre nel suo diritto tribale, che dopo il misfatto per lui irrinunciabile non avrà più gli sguardi e le carezze e i sorrisi di quella ragazza senza colpa se non quella di essere giovane e di volere una cosa inaudita, essere felice. Sperando che gli assassini vengano rintracciati, perché non può essere altrimenti, arrestati, processati e duramente condannati, che ricordi avranno quel padre, quella madre, della loro figliolina arrivata in Italia adolescente, in Pakistan già in età da marito, piena di curiosità, affascinata dal nuovo, dai modi amichevoli dei compagni di scuola, dall’italiano da imparare in fretta per studiare e fare amicizia? Non ne sentiranno la mancanza, si sentiranno senza colpa, soddisfatti di aver compiuto il loro dovere o forse capiterà talvolta di sentire il peso della sentenza criminale, l’orrore di quella esecuzione? Immagino che ci siano differenze culturali e di vita tra i Paesi islamici e il Pakistan è tra i più popolosi e poveri e oscurantisti: buona parte dell’economia è retta dalle rimesse dall’estero, e in Italia i suoi migranti sono almeno 150 mila. Shabbar, il padre di Saman, è arrivato qui 15 anni fa, lei 5 anni fa. Io non ne so niente di tutte queste vite che non vediamo, di cui non sappiamo nulla, che lavorano per noi restando stranieri in tutto, che difendono l’esclusione con i loro miti, la loro cucina, le loro usanze, usando questo Paese che li usa, incapaci o contrari a cambiare, ad accettare regole per loro inaccettabili, per non perdere il legame con ciò che noi chiameremmo patria e loro non so, forse terra, forse Islam, forse legge, forse vita vera. Ma i giovani, soprattutto credo le giovani con la loro innocenza, sottomissione e velo che entrano bambine nelle nostre scuole, diverse in tutto e ansiose di capire, non so se di integrarsi, come possono continuare a portare con sé un Pakistan che qui non c’è, dove ogni gesto è diverso, dentro altre inferriate, quelle della disobbedienza, dei generi, dei padri e delle madri molto fragili? Mi faccio due domande a cui non so rispondere: perché queste famiglie che arrivano in Europa per lavorare non si rendono conto che qui il mondo è altro, anche se non nemico, che non possono isolarsi nelle loro tradizioni, che le leggi sono diverse e anche i rapporti tra persone? Perché pretendono che la giovinezza del loro Paese non abbia altre strade a contatto di un mondo allettante con tutti i suoi errori, che la libertà è di tutti anche di una figlia e di un figlio educati all’Islam, anche se difficile per tutti, compresi gli italiani? La seconda domanda la rivolgerei ai nostri amministratori, che pure nel caso di Saman hanno cercato in ogni modo di difenderla. Forse maggiori controlli, forse davvero imporre una diversità di regole, se no via. Qui i padri non ammazzano le figlie disobbedienti (in passato sì, per la minigonna per esempio) anche se i compagni non hanno ancora smesso di far fuori la compagna, per la ragione di sempre, la libertà che non è implicita nella vita di una donna. Le ragazzine che a 12-13 anni andranno a scuola con il velo, volendolo oppure no, forse hanno bisogno di una assistenza particolare, di rispetto, di affetto, di cura da parte nostra. Una mattina nell’atrio di un ospedale mi sono seduta vicino a una bambina bellissima che stava accanto al padre, in attesa di un referto. Le ho rivolto la parola e lei mi ha subito risposto: 11 anni, ha raggiunto a Milano il padre, assieme alla mamma e alla sorella, l’anno scorso. In un anno ha imparato un italiano perfetto, adora studiare, le piace la scuola, legge molto: la mamma è già in attesa di un fratellino, al babbo che pure è qui da anni, lei fa da interprete. È una bambina davvero speciale, mi sento in colpa per non averla seguita, potrebbe diventare, credo, qualsiasi cosa, se i suoi l’ameranno davvero: sperando che un lontano cugino non la chieda in moglie e suo padre acconsenta privandola del suo avvenire che potrebbe essere interessante anche per noi.

Giuseppe Baldessarro: "Saman uccisa in 13 minuti. 'Lo zio l’ha strangolata. Dopo mio padre piangeva' "

Tredici minuti: tanto ci è voluto per uccidere Saman Abbas. Dalle 00.09 del 1° maggio, quando le telecamere la inquadrano che esce di casa con lo zainetto in spalla, seguita dai genitori, alle 00.22, quando il padre rientra in casa solo, con lo stesso zainetto in mano. Tredici lunghissimi minuti che sono bastati a stroncare l’ultimo tentativo di fuga della 18enne pachistana, che viveva con la famiglia a Novellara. E sono stati, secondo gli inquirenti, anche gli ultimi della sua vita. È quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del padre di Saman, Shabbar Abbas, di sua madre, Nazia Shaheen, dello zio Danish Hasnain e dei cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, tutti accusati di omicidio premeditato.

"Quella notte stava scappando"
Il primo video, 9 minuti dopo mezzanotte, mostra la ragazza che esce di casa con lo zaino di scuola. Dietro di lei ci sono la madre e il padre, che ha in mano il telefonino. I genitori restano nell’inquadratura, Saman no. Discutono animatamente. Il secondo filmato, tre minuti dopo, mostra i genitori che rientrano in casa; la ragazza non c’è, lo zaino neppure. Alle 00.15, il padre esce di nuovo: è solo e a mani vuote. Rientra alle 00.22 portando con sé lo zainetto di Saman. La ricostruzione offerta dalle telecamere dell’azienda agricola in cui Abbas e i suoi lavoravano coincide con la testimonianza del fratello minore di Saman. Quella sera, ha raccontato, sua sorella stava scappando. Aveva radunato le sue cose in uno zainetto e litigato con i genitori: «Datemi i documenti», avrebbe gridato. Secondo il fratello, a quel punto «lui (il padre, ndr ) le ha chiesto se voleva sposare qualcuno, lei ha detto che voleva solo andare via, non sposare qualcuno. Poi ha preso le sue cose ed è fuggita». Poco prima, alle 23.57, il padre aveva chiamato zio Danish, avvertendolo della fuga di Saman. Poi i famosi 13 minuti dei filmati; Shabbar viene raggiunto quasi subito dal fratello, che per gli investigatori è l’esecutore materiale del delitto: «È tutto sistemato».

"Andate in casa, ci penso io"
«Secondo me — ha detto il fratello della ragazza — lo zio l’ha uccisa strangolandola, anche perché quando è venuto a casa non aveva nulla in mano». Ha ricordato che, dopo, Danish ha «pianto molto, e diceva a me di non piangere». Anche il padre «si è sentito male e ha iniziato a piangere, stava quasi per svenire per mia sorella». Lo zio, quella notte, avrebbe detto ai genitori: «Andate in casa, ora ci penso io». Dove fosse il corpo, spiega il ragazzo, «gliel’ho chiesto io perché volevo abbracciarla per l’ultima volta. Lui mi ha risposto di non potermelo dire». Poi le minacce: «Non dire niente ai carabinieri, o ammazzo anche te».

Un assassinio premeditato
Saman era tornata a casa l’11 aprile per recuperare i documenti. Da novembre era stata accolta in una comunità protetta. Non riuscendo a farsi restituire il passaporto, il 22 aprile si era rivolta di nuovo ai carabinieri per denunciare i genitori, che volevano costringerla a un matrimonio combinato in Pakistan. Secondo la gip di Reggio Emilia, Luca Ramponi, la ragazza è stata uccisa dallo zio, che poi ha nascosto il cadavere con l’aiuto dei cugini. Non un omicidio d’impeto come potrebbe sembrare, ma programmato a tavolino, come dimostrano le immagini dei giorni precedenti, in cui si vedono i tre che vanno nei campi con pale e altri attrezzi usati, secondo la procuratrice Isabella Chiesi, per scavare una buca. Lo zio, ricercato, sarebbe l’esecutore materiale, ma i genitori di Saman erano assolutamente consapevoli. Scrive la giudice: «È certo che avessero programmato anche di ucciderla per punirla dell’allontanamento dai precetti dell’Islam e per la ribellione alla volontà familiare, nonché per le continue fughe di casa». Rivolgendosi allo zio, sapevano che era un violento e hanno «accettato il rischio che la uccidesse ». Saman è morta «in ragione di convinzioni etiche e religiose».

"Fatta dormire sul marciapiede"
Shabbar aveva impedito a Saman di andare alle superiori, «spesso la chiudeva fuori casa obbligandola a dormire sul marciapiede» e, «in ultimo, voleva costringerla tornare in Pakistan per sposare un cugino». Lei, invece, aveva un fidanzato in Italia, un connazionale, cui aveva parlato delle sue paure. Gli aveva raccontato di aver sentito la madre dire: «Non c’è niente da fare», e di temere per la sua vita. Gli aveva chiesto di «dire tutto ai carabinieri» se lei fosse sparita. Il padre era arrivato a minacciare la famiglia del fidanzato, che vive in Pakistan.

La fuga premeditata
Gli Abbas avevano già comprato, il 26 aprile, i biglietti del volo con cui, il 1° maggio, sono rientrati in Pakistan. Lo zio è fuggito pochi giorni dopo, raggiungendo il confine con i cugini e il fratello della ragazza. I quattro sono stati controllati il 10 maggio nell’Imperiese. Solo il ragazzo è stato fermato e affidato a una comunità. Gli altri tre hanno proseguito verso la Francia. Ijaz è stato poi fermato dalla polizia francese su un autobus tra Parigi e Barcellona. Gli altri due sono ricercati in tutta Europa. Quanto ai genitori, Shabbar aveva raccontato a un giornalista che la figlia era in Belgio e stava bene. «Falso — dice ora la procura — abbiamo cntrollato e Saman non c’è». Intanto, a Novellara, il suo corpo si cerca ancora.

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