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La Repubblica Rassegna Stampa
12.05.2021 Pioggia di fuoco su Israele, è guerra
Cronaca e intervista al terrorista Tareq Al Salmi di Sharon Nizza, commento di Enrico Franceschini

Testata: La Repubblica
Data: 12 maggio 2021
Pagina: 2
Autore: Sharon Nizza - Enrico Franceschini
Titolo: «I razzi colpiscono Tel Aviv, con Hamas è guerra totale. Morti e feriti tra i civili - 'Un diluvio di fuoco sul nemico sionista per liberare Gerusalemme' - Hamas e l’ombra di Erdogan»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/05/2021, a pag. 2-3, due servizi di Sharon Nizza dai titoli "I razzi colpiscono Tel Aviv, con Hamas è guerra totale. Morti e feriti tra i civili",'Un diluvio di fuoco sul nemico sionista per liberare Gerusalemme'; a pag. 29, il dommento di Enrico Franceschini dal titolo "Hamas e l’ombra di Erdogan".

Ecco gli articoli:

Striscia di Gaza, pioggia di razzi di Hamas su Israele: due morti - la  Repubblica

"I razzi colpiscono Tel Aviv, con Hamas è guerra totale. Morti e feriti tra i civili"

Per tutta la giornata, nelle cittadine israeliane al confine con la Striscia di Gaza si entra ed esce dai rifugi. Mentre visitiamo ad Ashkelon, 20 km a nord della Striscia, una delle case colpite da un missile nella notte, le sirene che danno trenta secondi di tempo per trovare riparo non smettono di suonare. Hamas rivendica 137 lanci in cinque minuti. Poco dopo scopriamo che le prime due vittime dalla parte israeliana, tra loro una badante indiana, sono state colpite in abitazioni poco distanti. L’escalation si propaga verso il nord del Paese nel corso della giornata: prima Ashdod, fino ad arrivare a 130 missili in pochi minuti lanciati verso il cuore d’Israele: Holon, Tel Aviv, Ramat Gan, Rishon Letzion, e qui c’è una nuova vittima. L’esercito dà istruzione a tutti i cittadini dal sud del Paese fino al nord di Tel Aviv di rimanere adiacenti ai rifugi. Il traffico aereo per l’aeroporto Ben Gurion è deviato verso Cipro. Ad Ashkelon colpito anche un oleodotto. È durissima la risposta di Israele agli oltre 500 missili che in poco più di 24 ore hanno colpito buona parte del Paese: 80 aerei israeliani, tra cui gli invisibili F35, bombardano simultaneamente la Striscia, obiettivi militari, rampe di lancio, un tunnel che ambiva a penetrare il confine. Sono stati eliminati almeno quindici operativi delle organizzazioni terroristiche tra cui alcune figure chiave come il capo dell’unità dei missili anticarro di Hamas. «C’è una lunga lista di target che si aggiorna in ogni momento», dice il portavoce dell’esercito. Un palazzo di 13 piani a Gaza City, obiettivo legato a Hamas, crolla e diventa un enorme cumulo di macerie. Il direttore dell’UNRWA a Gaza conferma che i residenti del complesso erano stati allertati e si sono evacuati. Nel pomeriggio l’esercito aveva inviato un messaggio alla popolazione di Gaza: state lontani da siti identificati con Hamas perché "è in arrivo un’ampia ed eccezionale ondata di attacchi". L’ultimo bollettino del ministero della Salute palestinese riferisce di 28 palestinesi uccisi, tra cui 10 bambini. Secondo alcune fonti, una parte delle vittime civili potrebbero essere state colpita da un razzo esploso all’interno della Striscia. Un rapporto diffuso dalla Ong Palestinian Centre for Human Rights indica che 7 persone sono rimaste uccise da un razzo a Jabalia alle 18:05 di lunedì — ossia in concomitanza con il primo lancio di missili verso Gerusalemme e il sud del Paese — e che «le circostanze di questo incidente sono ancora in corso di indagine ». Netanyahu ha annunciato «il rafforzamento della potenza e del ritmo degli attacchi ». Ancora più esplicito il ministro della Sicurezza Gantz: «Per ogni giorno di spari sui cittadini israeliani, rispediremo le organizzazioni terroristiche anni indietro. Non ci fermeremo fino a che non tornerà il silenzio». Israele ha richiamato 5.000 riservisti — prevalentemente in unità di logistica del Comando delle Retrovie — e dispiegato forze nel Sud del Paese. In un briefing con i giornalisti, il portavoce dell’esercito conferma che «le violenze si intensificheranno » e rispetto a un ingresso delle truppe via terra dà risposte vaghe: «Non siamo ancora lì. Ma tutti gli scenari sono aperti». Una delegazione egiziana è in arrivo a Gaza per cercare di raggiungere una tregua. Anche il Qatar è tra i mediatori. Il presidente turco Erdogan annuncia la mobilitazione «per esprimere una ferma posizione delle nazioni musulmane per fermare l’uso della forza da parte d’Israele contro i palestinesi». «La Turchia sarà sempre un sostenitore in prima linea dei palestinesi e lavorerà per proteggere la dignità e l’integrità di Gerusalemme », è il messaggio che il leader turco parlando ha fatto arrivare al presidente palestinese Abu Mazen e al leader di Hamas Ismail Hanyieh. Erdogan vede un’occasione per espandere la sua influenza su quanto sta accadendo a Gerusalemme e presentarsi come la potenza regionale che protegge i luoghi santi dell’Islam.Non a caso per Israele "Guardiani delle mura", per Hamas "La spada di Gerusalemme": sono i nomi dell’operazione in corso, che forse a breve diventerà guerra, perché tutto nasce e finisce intorno alla Città santa.

'Un diluvio di fuoco sul nemico sionista per liberare Gerusalemme'

«Questa escalation è iniziata per sostenere i palestinesi di Gerusalemme e per fermare le politiche di apartheid praticate dall’occupazione israeliana, in particolare ciò che sta accadendo nella moschea di Al Aqsa e nel quartiere di Sheikh Jarrah». A parlare al telefono da Gaza City è Tareq Al Salmi, portavoce della Jihad islamica palestinese (Pij), che come Hamas si oppone agli Accordi di Oslo e al riconoscimento di Israele, ed è definita organizzazione terroristica da Ue e Usa. Considerata la fazione palestinese più vicina all’Iran, molto meno popolare di Hamas - che dal 2007 governa la Striscia di Gaza dopo la rottura con Fatah nell’escalation attuale sta avendo un ruolo di primo piano, rivendicando centinaia di lanci di missili e perdendo già diversi comandanti.

La questione di Sheikh Jarrah va avanti da 30 anni, perché riesplode ora? L’equazione Gaza-Gerusalemme rischia di essere deleteria per Gaza. «Riteniamo Israele responsabile. Divoreremo il nemico con un diluvio di fuoco. La nostra resistenza durerà fino a quando il regime sionista non fermerà i crimini a Gerusalemme: è una linea rossa per tutti i palestinesi e non resteremo a guardare mentre è attaccata. Gaza oggi combatte per liberare Gerusalemme».

Siete coordinati con Hamas? «Tutti le fazioni palestinesi sono unite in questa escalation sotto l’ombrello del comando operativo congiunto per la resistenza palestinese. Abbiamo pianificato insieme come combattere Israele. Siamo uniti quando si tratta dei diritti dei palestinesi e di Gerusalemme».

Che cosa dite rispetto alla decisione di Fatah di rinviare le legislative del 22 maggio? «Questo non è il momento opportuno per affrontare la questione».

In 24 ore Israele ha eliminato tre vostri comandanti importanti: che cosa succederà ora? «Le brigate Al Quds (l’ala militare ndr) sono pronte a rispondere alla recente uccisione di massimi comandanti della Jihad islamica e Israele ne pagherà le conseguenze. Non ci sconfiggerà nemmeno prendendo di mira i nostri leader. Continueremo a fare della resistenza il nostro modo di difendere la Palestina e Gerusalemme».

Qual è il suo messaggio alla comunità internazionale? «Siamo disillusi dall’esperienza del passato, non contiamo sulla comunità internazionale per salvare i palestinesi, ma sì le chiediamo di costringere Israele a fermare gli attacchi ad Al Aqsa, di condannare i crimini israeliani contro i palestinesi. È assurdo parlare di democrazia e diritti umani sostenendo allo stesso tempo crimini disumani contro il nostro popolo. La comunità internazionale durante la pandemia non ha fornito le assistenze mediche necessarie per la Striscia e abbiamo affrontato il Covid con capacità e strutture mediche limitate. Siamo di fronte a una politica della morte lenta che mira a indebolire i palestinesi. I palestinesi non hanno altra scelta che sfidare Israele».

Conferma le voci su mediazioni in corso tramite Paesi musulmani? «Dal primo momento di questa escalation ci sono stati molti tentativi di raggiungere una mediazione attraverso l’Egitto e il Qatar, ma finora senza successo».

Enrico Franceschini: "Hamas e l’ombra di Erdogan"

Una pioggia di razzi senza precedenti, lanciati da Gaza su Gerusalemme e Tel Aviv: nella storia del lungo conflitto israeliano-palestinese non si era mai vista un’offensiva del genere, per numero di missili, centinaia al giorno, raggio d’azione, fino a 100 chilometri dalla striscia, e potenza. La prova di forza di Hamas, che sottrae il duello ad Abu Mazen, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese con il cui beneplacito era probabilmente iniziato, ne fa una sfida frontale tra i fondamentalisti islamici della striscia e Israele. La nuova scossa che fa tremare il Medio Oriente rischia di diventare così l’inizio di un’altra grande rivolta: il "Big One" pronosticato e temuto da vent’anni, come lo chiama con linguaggio da terremoto Thomas Friedman, columnist premio Pulitzer del New York Times. La terza Intifada. Le sirene che suonano per avvertire che Tel Aviv è sotto un attacco di queste dimensioni si erano sentite soltanto durante la guerra del Golfo, quando Saddam Hussein rispose all’invasione americana bombardando lo Stato ebraico con i suoi missili Scud. A Gerusalemme è la prima volta: la città santa delle tre religioni, dunque anche dell’Islam, era stata risparmiata perfino dal raìs iracheno. «Hanno superato ogni linea rossa», afferma Benjamin Netanyahu. La reazione israeliana, già cominciata con i raid aerei su Gaza, non sarà da meno. La miccia dell’incendio è annidata in una serie di coincidenze: il minacciato sfratto di quattro famiglie palestinesi da Gerusalemme est, le celebrazioni israeliane per l’unificazione della città nella guerra dei Sei Giorni del ’67, la chiusura dell’accesso alla porta di Damasco nell’imminenza della fine del Ramadan. Dietro l’insurrezione spontanea che ne è risultata, tuttavia, si intravede una mossa d’azzardo per rilanciare la diplomazia. Come riconoscono il quotidiano israeliano Haaretz e numerosi commentatori arabi, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, dalla sua enclave in Cisgiordania, ha incoraggiato la guerriglia nei vicoli della Città Vecchia nel tentativo di attirare l’attenzione di Joe Biden, per spingere il presidente americano a riprendere i negoziati di pace sospesi da Barack Obama e definitivamente abbandonati da Donald Trump. Ma a parte che Biden non sembra intenzionato a farsi distrarre dal suo obiettivo principale nell’area, il ripristino dell’accordo nucleare con l’Iran, Abu Mazen è stato preso in contropiede da Hamas. Chiuso nella striscia di terra che governa dal 2006, il gruppo fondamentalista è improvvisamente intervenuto alzando il livello dello scontro. I rudimentali missili lanciati in passato erano più sporadici e con gittata più breve: ora i palestinesi di Gaza dimostrano una capacità di fuoco molto più potente. Finora hanno perso la vita tre israeliani e una trentina di palestinesi, incluso un comandante di Hamas e uno della Jihad islamica, l’altro gruppo fondamentalista locale. Il confronto che Abu Mazen desiderava ingaggiare con Netanyahu è già diventato una battaglia tra Hamas e il premier israeliano. Gaza strappa l’iniziativa all’Autorità Palestinese. Una fiammata di disordini può fare comodo ad Abu Mazen per giustificare la decisione di rinviare le elezioni, promesse da quindici anni e cancellate perché l’anziano successore di Arafat, al potere dal 2008, teme di perderle. Ma una terza Intifada sarebbe più utile ad Hamas, per reclamare un ruolo centrale nella lotta per l’indipendenza. Paradossalmente gioverebbe anche a Netanyahu: non si cambia premier nel mezzo di una guerra, può dire Bibi dopo l’ennesimo voto inconcludente. Sullo sfondo, come sempre nel Grande Gioco mediorientale, si muovono varie forze: la Turchia di Erdogan, che sostiene Hamas aspirando alla parte di sultano d’Oriente, leader del mondo musulmano e autentico difensore dei movimenti islamici, in contrapposizione con gli Emirati, l’Arabia Saudita e l’Egitto, a suo giudizio entrati nell’orbita israeliana; l’Iran, che appoggia la Jihad palestinese; gli Emirati Arabi e gli altri Paesi che hanno firmato gli accordi di Abramo con Israele (inclusi i sauditi che non li hanno firmati ma potrebbero farlo), più interessati agli affari con Gerusalemme che a un conflitto; l’amministrazione Biden, che ha già abbastanza problemi con Cina e Russia; e l’Unione Europea, che considera entrambi i gruppi palestinesi islamici come organizzazioni terroristiche e non sembra avere soluzioni da proporre. Una cosa è certa: gli storici accordi di Abramo hanno contribuito a stabilizzare la regione, aprendo prospettive inedite, ma la questione palestinese non è scomparsa. La prima Intifada fu quella delle pietre. La seconda viene ricordata per gli attentati suicidi. La terza, il "Big One", verrebbe combattuta con i missili, quelli dei lanciarazzi di Gaza e dei caccia israeliani.

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