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La Repubblica Rassegna Stampa
20.04.2021 Dov Alfon, nuovo direttore di Libération
Cronaca di Anais Ginori

Testata: La Repubblica
Data: 20 aprile 2021
Pagina: 37
Autore: Anais Ginori
Titolo: «Un'altra Libération è possibile»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/04/2021, a pag. 37, con il titolo  "Un'altra Libération è possibile", il commento di Anais Ginori.

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Anais Ginori

Libération - Actualité en direct, infos en France et dans le monde

Dov Alfon è stato accolto a Libération da un voto plebiscitario della redazione. «Una maggioranza maoista» scherza il nuovo direttore franco-israeliano che deve ridare slancio e identità allo storico quotidiano della gauche. «Se fosse un'impresa facile non avrei accettato» precisa nella sede del giornale, un anonimo palazzo a ovest di Parigi condiviso con la all news BfmTv. Le scrivanie sono quasi tutte vuote, si lavora da remoto. «È forse l'unica cosa che mi dispiace di questa fase» osserva Alfon. «Tanti mestieri si possono fare a distanza, non il nostro che è anche un concorso di talenti, con l'abitudine di parlarsi e scontrarsi, anche a muso duro, per far sbocciare idee e articoli». Sessant'anni appena compiuti, è arrivato a Libération dopo aver vissuto altre vite, non solo nel giornalismo. Si è insediato a settembre, chiamato dall'editore Denis Olivennes incaricato dal proprietario, il magnate delle telecomunicazioni Patrick Drahi, di organizzare una nuova governance per il quotidiano dentro a una fondazione indipendente. Sul tavolo ha una coppa di frutta e nella libreria le varie edizioni del suo thriller di spionaggio, Sarà una lunga notte.

Dov Alfon, nouveau directeur de
Dov Alfon

«È stato scritto in gran parte a Roma» confida Alfon, nonna italiana emigrata in Tunisia che gli ha insegnato tanti proverbi e in vecchiaia si esprimeva solo in dialetto livornese. Nel 2017 si è preso un anno sabbatico dopo quasi trenta passati dentro Haaretz, il grande giornale progressista israeliano. Da bambino trascorreva molte vacanze nel nostro paese. Un'estate, tornando dall'Italia, i suoi genitori decisero di lasciare la Francia. II padre, ispettore in una compagnia assicurativa, trovò delle svastiche disegnate sui muri dell'ufficio. «È stato uno shock terribile in particolare per mia madre che da piccola era stata costretta a indossare la stella gialla». Qualche giorno dopo la famiglia saliva su una nave in direzione di Israele. II piccolo Dov, 9 anni, arrivava in un paese di cui non conosceva la lingua, la cultura. Lui che sognava già di diventare scrittore si è convinto allora di voler essere giornalista. «La realtà sembrava improvvisamente più minacciosa dei romanzi di Jules Verne». Prima di Haaretz, ha fatto una lunga deviazione. A diciotto anni, per il servizio militare, è stato reclutato da un'unità tanto misteriosa che persino il nome non doveva essere mai pronunciato. Dopo l'addestramento nel deserto ha cominciato a lavorare in una base di cyberspionaggio dove c'erano dei grossi Ibm verdi e neri collegati alla rete militare di comunicazione Arpanet. Era il 1980 e nessuno parlava ancora di Internet. Alfon non rinnega niente di quell'esperienza, anzi ha continuato per anni a essere riservista dell'Unità 8200 fino a quando i suoi incarichi dentro Haaretz non sono diventati incompatibili con l'accesso a fonti coperte dal segreto di Stato. Un'ex spia alla direzione del quotidiano fondato da Jean-Paul Sartre. «Capisco che in Francia possa stupire ma nei giornali britannici o americani è più frequente di quel che si pensa» sottolinea Alfon che vede punti in comune tra i due mestieri. «Per scrivere i miei rapporti confidenziali da inviare a ministri o altri funzionari del governo — ricorda — dovevo fare una selezione in un mare di informazioni, dare un taglio giusto, scrivere in modo efficace. Cose richieste anche ai giornalisti». Essere stato tra i primi frequentatori di Arpanet gli ha dato un certo vantaggio. Non è un caso che sia stato lui a organizzare la transizione digitale di Haaretz, missione che ora deve portare avanti dentro Libé. Ha attraversato le varie tappe dello sbarco dei giornali su Internet. La fede nell'informazione gratuita all'inizio degli anni Duemila («non è stato un errore perché si trattava di agganciare un pubblico più giovane»), la speranza nella pubblicità («si è presto rivelata un'illusione») fino alla rincorsa sugli abbonamenti. «Ora sappiamo che questa strada è possibile» dice, annunciando che Libération ha più che raddoppiato i lettori digitali a pagamento nell'ultimo anno, da 20 a 53mila (85mila contando anche i lettori su carta). In pochi mesi Alfon ha rivitalizzato Libé con copertine polemiche e inchieste esclusive. È stato attaccato dal governo per aver pubblicato in prima pagina le testimonianze di elettori di sinistra non più disposti a votare per Emmanuel Macron, neanche in caso di duello contro Marine Le Pen. «La reazione dell'Eliseo mostra una preoccupante sconnessione dalla vita vera» commenta Alfon. «Per me lei rappresenta lo stesso pericolo di suo padre» dice, confermando il veto di Libé che finora non ha mai voluto pubblicare un'intervista domanda e risposta con i Le Pen.

«Libertario di sinistra», così definisce il quotidiano che compirà mezzo secolo nel 2023. Oggi la gauche non è mai arrivata così in basso nei sondaggi. Alfon vede nonostante tutto segni di vita. «II problema è che i responsabili politici dovrebbero confrontarsi da adulti». La sinistra invece si azzuffa su termini come "islamo-gauchisme" o "islamophobie". «L'essenziale è riconoscere che in Francia esistono derive fondamentaliste nell'Islam ma anche un razzismo contro i musulmani». È ancora più netto sull'antisemitismo. Esiste un odio contro gli ebrei che è antico, «franco-francese», osserva, ma anche uno più nuovo nelle banlieue, tra gli immigrati di seconda e terza generazione. «Gente che non ha mai visto un palestinese e si definisce antisionista anche se non conosce nulla del conflitto arabo-israeliano». Per molto tempo la gauche ha cercato di guardare altrove. «Ci può essere stata la tentazione a Libé, come in altre testate di sinistra, di liquidare in poche righe fatti scomodi. Ma penso che sia finalmente in corso una presa di coscienza».

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