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La Repubblica Rassegna Stampa
18.04.2021 Il cuore nero della Polonia
Reportage di Carlo Bonini, Tonia Mastrobuoni

Testata: La Repubblica
Data: 18 aprile 2021
Pagina: 19
Autore: Carlo Bonini, Tonia Mastrobuoni
Titolo: «Il cuore nero della Polonia»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/04/2021, a pag.19, con il titolo "Il cuore nero della Polonia" il reportage di Carlo Bonini, Tonia Mastrobuoni.

A due ore e dieci di volo dall'Italia, al centro dell'Europa continentale, un Paese di 38 milioni e mezzo di abitanti, membro dell'Unione Europea, della Nato e dell'OA nu, si è rapidamente trasformato nel più avanzato laboratorio di "democratura" occidentale. Nell'impotenza di Bruxelles, la Polonia governata da Mateusz Morawiecki e presieduta da Andrzej Duda, entrambi esponenti del partito della ultradestra clericale "Diritto e Giustizia" (fondato nel 2001 dai gemelli Lech e Jaroslaw Kaczynski), ha sistematicamente svuotato le fondamenta di questa repubblica semipresidenziale dei suoi diritti fondamentali, fmo a renderli dei simulacri. Dalla messa al bando del diritto di aborto, alla discriminazione sistematica delle donne, della comunità Lgbt+, al controllo sistematico dei mezzi di informazione, fino alla subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo, non c'è spazio o anche solo interstizio della società polacca immune dalla cura sovranista. Siamo andati a Varsavia per raccogliere le voci e le testimonianze di chi, con coraggio, continua a richiamare l'attenzione dell'Ue su questa catastrofe del modello di democrazia e, per questo, continua a pagare un prezzo altissimo.

Un volto imbrattato di sangue L'ultima mail, la più spaventosa, è arrivata il 26 marzo. Sconosciuto il mittente. In allegato, una foto del viso di Zofia imbrattato di sangue. E la minaccia di far saltare in aria il suo ufficio: «Se continuate a organizzare manifestazioni pro-aborto vi terrorizzeremo con una bomba. Proteggeremo la Chiesa ad ogni costo. Siamo in tanti». Zofia, la chiameremo così per proteggerne la sua identità, non ha ancora avuto il privilegio di parlare con un poliziotto, nonostante decine di telefonate al commissariato, nonostante i ripetuti tentativi di denunciare il crescendo di minacce. E un'attivista polacca e lavora per "Federa", un'organizzazione che si batte contro la violenza domestica e difende i diritti delle donne, che in Polonia vengono ormai sistematicamente calpestati. Ha paura di andare in ufficio. E non si sente più protetta neanche dalla polizia. Dal 18 febbraio al 26 marzo, ci racconta al telefono da Varsavia, ha ricevuto nove mail. Il 5 marzo, a lei e ad altri colleghi dell'organizzazione, è arrivata la prima, con una sua foto scaricata dal web. Titolo: "L'aborto è un crimine". Svolgimento: "Devi morire. Hai cmque giorni, poi ti ammazziamo". Il 12 marzo, dopo le manifestazioni e gli arresti e la repressione della polizia nella Giornata internazionale delle donne dell'8 marzo, una seconda. Ancora più violenta ed esplicita: «Vi spazzeremo via con una bomba». Nel testo si legge: «Puttana di merda, forse non hai capito: continueremo a terrorizzare te e il tuo ufficio finché non ritirerete il vostro sostegno all'aborto. Forse pensate che sia uno scherzo. Un giorno, quando abbasserete la guardia, vi faremo saltare in aria. Nessuno vi ha chiesto di ammazzare i bambini». Zofia non è un'eccezione. Anzi, per chi in Polonia si batte contro la sentenza della Corte costituzionale che a ottobre del 2020 ha di fatto cancellato l'aborto, per i diritti sistematicamente violati delle persone Lgbt+ o la Convenzione di Istanbul, che il governo polacco minaccia apertamente di abbandonare, il terrorismo e la persecuzione sono diventati pane quotidiano. Secondo il più recente rapporto di Human Rights Watch, Ippf-En e Civicus, almeno sette Ong (Federa, Abortion Dream Team, Feminoteka, FundaciaFor, Helsinki Foundation for Human Rights, Women's Right's Center e All-Poland Women Strike) sono finite tra febbraio e marzo sotto attacco da parte di ignoti fanatici ultracattolici che difendono le leggi liberticide del governo di "Diritto e Giustizia" e minacciano dinamite e sangue.

"Froci raus" Neanche i parlamentari dell'opposizione sono risparmiati dalla persecuzione dei fondamentalisti cattolici. Incontriamo la deputata liberale di Nowoczesnej, Monika Rosa, nel suo ufficio di Varsavia. Ci sediamo accanto al manifesto con la cartina dell'Europa che tiene accanto all'ingresso. Un suo emendamento alla legge anti-Covid è stata una delle rarissime lucidi questi anni bui, perché consente alle donne di cacciare di casa i mariti e i compagni violenti. Ma anche lei ha ricevuto minacce di morte. E la bandiera arcobaleno davanti al suo ufficio di Katowice è stata imbrattata con la scritta Faggots raus, "Froci raus", un termine tedesco che evoca le campagne naziste contro gli ebrei: "Juden raus". «Non c'è democrazia senza diritti delle minoranze», dice Rosa, ricordando le crociate del governo polacco anche contro i profughi, quando l'Europa tentava disperatamente di trovare una soluzione europea alla crisi dei migranti del 2015. Ma la deputata puntualizza che l'offensiva del governo Morawiecki è a tutto campo, anche contro le minoranze slesiane come la sua. «Il partito di governo, "Diritto e Giustizia", odia le minoranze, anche quelle etniche. Vuole un'omologazione dei polacchi anche in quel senso». Tuttavia, Rosa è convinta anche che la crescente stretta anti-Lgbt+ e contro i diritti delle donne sia «un modo per distrarre dalla disastrosa gestione della pandemia, da parte del governo. E da sondaggi che lo danno in forte calo». Le donne, in Polonia, «sono diventate il più grande gruppo discriminato del Paese».

La prima prigioniera politica post-Muro di Berlino Il 20 marzo, un collettivo di artisti ha affittato una serie di appartamenti non lontani dalla casa di Jaroslav Kaczynski, vicepremier e fondatore di "Diritto e Giustizia", il padre padrone della Polonia neo-fondamentalista. Volevano organizzare una performance, un balletto intitolato "La Regina dei Ghiacci", per "scongelare i cuori" e manifestare a favore delle donne. Un paio di ore prima dell'evento, Marta Lempart, fondatrice dello "Sciopero delle donne" che ha trascinato in piazza in questi anni centinaia di migliaia di polacchi che protestano contro le leggi anti-aborto, ha ricevuto una mail: c'è una bomba nell'edificio della performance. Consapevole che una sua eventuale denuncia non avrebbe ottenuto nulla - Lempart è ormai il volto principale dell'opposizione di piazza — ha chiamato un amico, che ha avvertito la polizia. La bomba non c'era. Ma nel frattempo anche Lempart ha ricevuto una mail con un fotomontaggio del suo viso ricoperto di sangue. E il foro di una pallottola in fronte. Quando l'abbiamo incontrata nella sede di Varsavia dello "Sciopero delle donne", blindata da telecamere e un paio di agenti di sicurezza, Marta ci ha raccontato che ovviamente anche lì e arrivato un allarme bomba e che lei si è ritrovata gli striscioni con le minacce di morte persino davanti a casa. Due volte. Soprattutto Lempart è sepolta da denunce ridicole, per aver parlato al megafono "disturbando la quiete pubblica", per aver "offeso" un poliziotto, per aver organizzato le proteste in piazza. Ora rischia otto anni di galera. E candidata ad essere la prima prigioniera politica dell'era post-muro di Berlino. Un sintomo della notte che sta avvolgendo lentamente, inesorabilmente la Polonia.

Il Minotauro Dietro questa deriva antidemocratica c'è una trama, una regia oscura. Lo abbiamo scoperto correndo da un allarme bomba all'altro, da un attivista massacrato da minacce ad un altro. Il nome che ricorre nei colloqui con gli attivisti è sempre lo stesso. Tirando il filo di Arianna delle persecuzioni contro le donne e degli abusi dei giudici, percorrendo il labirinto di leggi sempre più liberticide che la Polonia sta adottando da sei anni a questa parte, si arriva presto a questa sorta di grande Minotauro al centro del labirinto del neo oscurantismo polacco. "Ordo Iuris", questo il nome. Ordo Iuris è una fondazione ultracattolica. Nata ufficialmente a Varsavia nel 2013. Ma appena "Diritto e Giustizia" ha vinto le elezioni parlamentari nel 2015, gli avvocati e i giuristi della fondazione, fedelissimi del partito di Kaczynski, sono diventati i crociati che hanno occupato ogni spazio della vita pubblica e stanno accompagnando la deriva del Paese verso un autoritarismo cattolico sempre più radicale. Come segnala lo European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights, Ordo Iuris «è un'organizzazione potente che ha infiltrato i gangli dell'apparato di Stato». I suoi rappresentanti «occupano posizioni importanti nei ministeri, nell'accademia, nel sistema giudiziario». E «consigliano il presidente della Repubblica», Andrej Duda ("Diritto e Giustizia"). Il vicepresidente di Ordo Iuris, Tymoteusz Zych, è stato mandato dal governo Morawiecki nel Comitato europeo economico e sociale, l'organismo europeo che si occupa di eguaglianza e diritti Lgbt+ — che è un po' come mandare una volpe in un pollaio. E il fondatore di Ordo Iuris, Aleksander Stepkowski, è stato nominato giudice della Corte suprema polacco. Di recente, è stato anche uno dei tre candidati di Varsavia alla Corte europea dei diritti umani. Per fortuna, tutti e tre i nomi proposti dal governo Morawiecki sono stati rifiutati dal comitato europeo incaricato di eleggere i giudici. Gli avvocati di Ordo Iuris hanno scritto la legge del 2016 che per prima ha tentato di abolire del tutto il diritto all'aborto, ma che è stata sconfitta dalle prime, grandi manifestazioni di piazza delle "Marce nere". Il 22 ottobre del 2020 una sentenza che ha quasi bandito l'interruzione di gravidanza è stata emessa dalla Corte costituzionale, poi fatta propria dal Parlamento a gennaio del 2021. Ormai, quasi ogni forma di aborto, a eccezione dei casi di stupro o incesto, è illegale. Ma la fondazione ha avanzato anche la proposta, accolta, di cancellare l'educazione sessuale dalle scuole e ha scritto una legge che introduce una stretta per la fecondazione in vitro. L'anno scorso ha formulato una delle risoluzioni — adottate ormai da un terzo del Paese secondo la mappa degli attivisti Atlas of Hate — che ha spinto un centinaio di municipalità a dichiararsi "Lgbt-free". Sono state bocciate in parte dall'Ombudsman, ma in quelle città è diventato ormai pericoloso girare, se si è gay, lesbiche, trans. Neonazisti e fanatici religiosi perseguitano la comunità Lgbt+ apertamente. Infine — e non è un dettaglio — gli avvocati di Ordo Iuris consigliano, avviano e assistono molte cause intentante negli ultimi anni contro attivisti e difensori dei diritti civili. Sono diventati anche il cane da guardia del sistema, oltre ad averlo profondamente infiltrato. È notizia di queste settimane che Varsavia ha minacciato, dopo la Turchia, di abbandonare la Convenzione di Istanbul che protegge le donne dalle violenze domestiche. Un'ondata di indignazione ha attraversato l'Unione europea, ma il governo Morawiecki tira dritto. Secondo il portale Balkan Insight, la Convenzione di Istanbul sarà sostituita da un trattato che si ispira alla "Convenzione internazionale dei diritti della famiglia" di Ordo Iuris. E punterà non soltanto a cancellare ogni protezione per le donne minacciate dalla violenza, ma a offrire «sostegno particolare» alla «tutela della vita di un bambino concepito» e a introdurre «il concetto di matrimonio come istituto riservato esclusivamente alla relazione tra un uomo e una donna». La Polonia, dopo aver abolito il 98% delle interruzioni di gravidanza con la sentenza della Corte costituzionale dell'autunno scorso, dopo anni di proteste delle femministe, torna dunque alla carica Con il contributo prezioso di Ordo Iuris, punta di nuovo al bando totale dell'aborto e del matrimonio gay, ma anche a limitare i divorzi. Insieme all'ex parlamentare ultracattolico Marek Jurek, la fondazione ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per sganciare la Polonia dalla Convenzione di Istanbul che ha raccolto 150mila fume ed è già approdata in Parlamento. Ma alla fine del 2019 Ordo Iuris aveva anche annunciato di voler formulare una legge per «combattere l'alto numero di divorzi». Come per incanto, nell'anno successivo, l'anno della pandemia, nel Paese sono comparsi ovunque, misteriosamente, degli enormi cartelloni che recitano "mamma e papà si vogliono bene" o che mostrano un feto a forma di cuore.

Al centro del labirinto All'ottavo piano di un elegante palazzo del centro di Varsavia, gli uffici di Ordo Iuris sono foderati di una tappezzeria in azzurrino su cui fanno mostra librerie in legno. Nikodem Bernaciak è un ragazzo biondo, sbarbato, "cattolico romano", si presenta, con un sorriso diffidente. Ordo Iuris ha disposizione 1,39 milioni di euro all'anno che vengono da donatori segreti. E una delle fondazioni più ricche della Polonia Quando chiediamo perché si batta così ferocemente contro l'aborto, Bernaciak comincia a scuotere lentamente la testa. «Il codice Dna individuale è una prova sufficiente che il feto, appena concepito, è un essere umano». Bernaciak non perde la calma neanche quando gli ricordiamo che Ordo Iuris ha ispirato una legge che costringe le donne a mettere al mondo un figlio anche sapendo che il feto è malato, o condannato a venire al mondo con una ridotta aspettativa di vita «Tra i diritti umani ci sono i diritti delle donne ma anche quelli dei bambini non ancora nati». Bernaciak si schiarisce la gola, lievemente irritato. «E in Polonia abbiamo degli ospedali prenatali dove una madre può andare ed essere psicologicamente preparata a dire addio al suo bambino». Le statistiche sono implacabili. Ormai, sono almeno 100mila le donne costrette ad andare all'estero per abortire. Non è ipocrita, chiediamo a Bernaciak, vietare qualcosa che spinge le donne verso le mammane, quando non hanno i soldi per abortire a Berlino o Dresda? «Lei cita dati falsi messi in giro dalla propaganda. E questa legge deve essere anzitutto educativa». Trasciniamo Bernaciak su un altro argomento. In Polonia, è in atto una discriminazione sistematica della comunità Lgbt+; la diffamazione degli omosessuali paragonati nelle tv e nei discorsi pubblici ai pedofili è quotidiana. E le circa cento municipalità che hanno adottato la risoluzione di Ordo Iuris, puntano a diventare "Lgbt-free". Per screditarli, la destra cattolica usa il randello dell'"ideologia gender". Non significa disumanizzare le persone, come facevano i nazisti con gli ebrei? «Oh no, non credo proprio», replica Bernaciak. «Tu puoi essere omosessuale, quello che vuoi. E il tuo stile di vita. Ma quando vai in Parlamento o in una Corte e dici che dobbiamo istituzionalizzare il matrimonio omosessuale, diventa una cosa politica. È come quando vai a scuola e pretendi che ad ogni bambino in Polonia debba essere insegnato che ci sono decine di posizioni sessuali. Perciò ci siamo battuti per abolire l'educazione sessuale». Un'ultima domanda prima di andarcene. Bernaciak, che cosa pensa di Papa Francesco? Il giurista di Ordo Iuris ha un foglietto pronto. Se l'aspettava, la domanda su Bergoglio, sull'apertura agli omosessuali. La bocca si allarga a un ghigno. «Ha letto le ultime dalla Congregazione della Dottrina della Fede? Papa Francesco ha detto definitivamente che la Chiesa non può benedire le unioni omosessuali, mai». Sì, ma ha anche detto: chi sono io per giudicare, obiettiamo. Bernaciak fa spallucce. «Come cattolico, l'omosessuale ovvio che è mio fratello. Ma quella degli omosessuali è come una mafia. E Dio ama ogni essere umano e ogni mafioso. Non significa che la Chiesa debba benedire il matrimonio omosessuale o le strutture mafiose».

La ragnatela globale dell'oscurantismo Torniamo in strada e dopo un respiro profondo ci incamminiamo verso la colorata e sgangherata sede di "Sciopero delle donne". Troviamo la vulcanica Marta Lempart che si aggira come una belva in gabbia, con il telefono incollato all'orecchio. Bussiamo alla porta di Klementyna Suchanow, una delle scrittrici investigative più famose del Paese. Insieme, Marta e Klementyna organizzano da anni le manifestazioni a difesa delle donne. Il più autorevole quotidiano polacco, Gazeta Wyborcza, le chiama "le madri della rivoluzione". Quando entriamo nel suo ufficio Klementyna Suchanow sta lavorando al computer su una poltrona. E una donna minuta, dal viso affilato, che irradia una calma sorprendente. Ci vuole un piccolo sforzo di fantasia per immaginarla mente tira uova sulle macchine blindate che lasciano il Palazzo presidenziale. Un episodio che le costò un'irruzione in casa dei Servizi segreti. E Klementyna che ci aiuta a capire ancora meglio da dove viene Ordo Imis. «Fa parte di una rete globale. Il mio Paese è diventato ormai il laboratorio più importante del loro progetto di distruzione dei diritti fondamentali. D'un lato è l'emanazione di "Tradizione, Famiglia e Proprietà", un'organizzazione ultrareligiosa, nata in Brasile e ormai diffusa in tutto il mondo e con delle filiali importanti in Europa. In Francia, l'Assemblea nazionale l'ha accusata di essere una setta. Dall'altro lato, esiste una rete internazionale di ultradestra che si è raccolta nel "Congresso mondiale delle Famiglie", fondato negli Anni '90 da americani e russi. Ha come obiettivo statutario quello di «difendere la posizione della famiglia tradizionale in un momento di erosione della vita familiare». Ad un certo punto, questi fanatici cristiani approdano oltre Atlantico con la "Agenda Europe"». "Agenda Europe" è una rete paneuropea radicale cristiana fondata nel 2013. Raduna una volta all'anno, in segreto, circa 150 rappresentanti di organizzazioni ultracattoliche, omofobe e antiabortiste. Il manifesto per il "Ripristino dell'Ordine Naturale" è la base dell'azione politica della sua ragnatela di adepti. E Ordo Iuris sta cercando di imporla alla lettera, e con successo, in Polonia. Il manifesto invita a proibire del tutto l'aborto, la contraccezione e il divorzio ed punta a escludere da ogni genere di diritti la comunità Lgbt+.

Il ramo italiano In Italia un lobbista eccellente di "Agenda Europe" è Luca Volontè, l'ex cofondatore dell'Udc finito nei guai per aver incassato 2,39 milioni di euro dall'Azerbaigian e condannato a quattro anni per riciclaggio. Volontè è stato fino al 2019 a capo del think tank fondamentalista cattolico Dignitas Humanae Institute — orgoglioso dei suoi legami con Steve Bannon — ed è ai vertici dell'antiabortista Fondazione Novae Terrae. Per Suchanova è chiara la missione di Volontè e "Agenda Europe": «Vietare aborto, contraccezione, divorzio e annullare ogni diritto delle persone Lgbt+». L'Italia è stata una snodo importante della ragnatela globale dell'ultradestra cattolica. Nel 2019, Verona ha ospitato il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie, balzato alle cronache per il patrocinio ricevuto dall'allora Presidente del Consiglio Conte e per la partecipazione di esponenti dell'allora governo giallo-verde e della destra: da Matteo Salvini a Lorenzo Fontana, insieme all'immancabile pasdaran Simone Pillon e la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. Presente al convegno, tra neofascisti e ultrà cattolici, l'immarcescibile leader di Forza Nuova, Roberto Fiore.

La lezione di Kafka «La storia si ripete». Sembra la maledizione di una stirpe, come nelle tragedie greche. In marzo, il giornalista Maciej Mizejewski riceve tre telefonate dall'Agencja Bezpieczenstwa Wewnetrznego, i servizi segreti polacchi. L'ultima risale al 24 del mese. E per il giornalista il senso è chiaro. Qualche giorno prima anche la Procura lo ha convocato per un colloquio. Ma non hanno voluto dire né a lui né al suo avvocato il motivo. Per Mizejewski i servizi segreti stanno cercando di incontrarlo prima dei magistrati, di usare lo spauracchio di una possibile incriminazione per assoldarlo. Come — osserva — i nazisti tentarono di fare con suo nonno. Da un mese, il giornalista di Cracovia si sta tormentando per capire di cosa è accusato. Un dilemma kafkiano. Riesce a pensare solo a un paio di articoli che raccontano la deriva antidemocratica della Polonia. Che Mizejewski ha scritto con asciuttezza accademica, imbottendoli di note e riferimenti giuridici, per un paio di riviste italiane. Articoli che in un Paese democratico nessuno si sognerebbe mai di contestare. «La logica, temo, è che se dirò di no alla collaborazione con i servizi segreti, i magistrati avanzeranno accuse penali per compromettermi», ci racconta angosciato al telefono. Mizejevski teme che i magistrati useranno la minaccia di un processo per spingerlo a una carriera da delatore. Un metodo per assoldare spie antico quanto il mondo. E che viene dritto dritto da un'epoca buia — e non solo perla Polonia. «Mio nonno, Józef Mizejewski, fu contattato durante la guerra dagli agenti nazisti dei servizi di sicurezza del Sd (Sicherheitsdienst). Volevano che gli fornisse informazioni sui nemici di Hitler, lo arrestarono per spaventarlo. Ma lui disse di no e fu deportato prima ad Auschwitz, poi a Neuengamme». In questi giorni di inizio primavera, Mizejewski gira per ore in bicicletta per i vicoli di Cracovia per distrarsi, per scaricare la tensione. «Ho molta paura», confessa. Alla morsa del regime che si sta stringendo sudi lui, si aggiungono le preoccupazioni per il suo futuro da giornalista. Per vent'anni Mizejewski ha lavorato perla televisione pubblica polacca. S'è licenziato, ha lasciato un posto sicuro, uno stipendio fisso per difendere la dignità del suo lavoro. «Quando ho visto che la tv pubblica, dal 2015 sotto ferreo controllo dei partiti di governo, fa solo propaganda, me ne sono andato. Per me la televisione deve parlare di politica, non fare politica». La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta di un servizio da Cracovia sulla riforma del sistema giudiziario. «Volevano che mettessi solo voci entusiaste e che tralasciassi quelle critiche. Siamo tornati al comunismo: la tv deve servire solo il potere. E il mestiere del giornalista sta morendo».

Il giudice e il suo boia Dal 2015, subito dopo aver vinto le elezioni, "Diritto e giustizia" ha cominciato a smantellare lo Stato di diritto. Ha riempito di giudici fidati o la Corte costituzionale. Il Consiglio Giudiziario, che nominai giudici, è stato posto sotto ferreo controllo della politica. Poi, con la scusa dell'abbassamento dell'età pensionabile, il governo si è messo sotto i tacchi anche la Corte suprema. E ha creato due Camere di controllo: la prima può sanzionare i giudici ed è diventata l'Inquisizione dei togati. L'altra controlla i risultati elettorali. Finora, la Corte di Giustizia europea e la Commissione Ue sono riuscite a rallentare la deriva. Ma non è abbastanza. E chiaro che Varsavia sta testando i limiti della stessa Unione Europea, di Angela Merkel, Emmanuel Macron, Mario Draghi e degli altri capi di governo che continuano a voltare le spalle alla deriva autoritaria della Polonia. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: processi-farsa agli attivisti, accuse penali per violazioni minime, un regime persecutorio che odia ufficialmente il comunismo ma ne riproduce gli aspetti caratteristici e che si è scatenato anche contro i giudici non allineati. A Beata Morawiec, togata critica contro le riforme della giustizia del governo Morawiecki, è stata negata a ottobre del 2020 l'immunità dopo un accusa grottesca di corruzione. Sono accuse «assurde», protesta. «E chiaro che qui si sta tentando di intimidire un giudice». In sua difesa è intervenuta la Corte di Giustizia Ue, che ha chiesto il suo reintegro e quello di un altro giudice inviso al regime, Igor Tuleya. Ormai si moltiplicano anche i casi di togati ansiosi di dimostrare il loro zelo omofobo. Ad aprile, la giudice della Corte Costituzionale Krystyna Pawlovicz, è stata costretta a cancellare un tweet in cui aveva insultato una bambina trans di una scuola nei pressi di Varsavia. La togata è un ex parlamentare di "Diritto e Giustizia". Da Bruxelles, Irene Donadio si dice «profondamente angosciata» dagli sviluppi in Polonia. La sua organizzazione, l'Ippf En sta per inviare insieme ad altre importanti Ong un appello urgente ai governi europei perché «avanzino con la procedura dell'articolo 7», minacciata dalla Ue da anni contro la sistematica violazione dello Stato di diritto in Polonia. Quella che a Bruxelles viene definita «l'opzione nucleare», se portata fino in fondo, priverebbe la Polonia del diritto di voto. Ma Varsavia ha alleati nel Consiglio Ue, a partire dall'Ungheria di Viktor Orbán, ed è difficile immaginare che riesca a passare. Il bavaglio al giornalismo Come insegna la storia, un'autocrazia non sarebbe tale senza il ferreo controllo dell'informazione. E nel 2015 il partito di Kaczynski, appena conquistato il potere, ha dato l'assalto alla tv e alla radio pubblica. Già nel primo anno di governo, "Diritto e Giustizia" ha varato una riforma dei media che dà ai ministri il potere di licenziare ed assumere i direttori delle emittenti pubbliche. Con l'avvio della lottizzazione e del controllo totale della tv e radio pubblica, il governo Morawiecki si è garantito un fondamentale strumento di creazione del consenso, anche nelle sue crociate oltranziste. Ma non si è fermato qui. A dicembre del 2020, ha completato l'opera. Attraverso l'azienda energetica Orlen, in mano pubblica, si è assicurata il controllo di 20 giornali regionali, 120 settimanali e centinaia di portali di informazione online. «L'altro giorno un servizio della tv pubblica raccontava che a Bruxelles c'è un mercato dove le coppie gay si vanno a comprare i bambini», racconta Milosz Hodun, politologo del think tank liberale Projekt:Polska. Abbiamo appuntamento con lui in una casetta in legno scuro immersa in un parco del centro di Varsavia. E una ex colonia finlandese costruita in tutta fretta sulle macerie del 1945 per ovviare alla carenza abitativa, sopravvissuta persino alle ruspe dell'architettura socialista. Nel suo ufficio, scaldato da una piccola stufa, Hodun, di fronte a un caffè, dice: «Senza il controllo assoluto dei media, "Diritto e Giustizia" non avrebbe rivinto le elezioni. Lei deve sapere che il 30% delle persone in questo Paese, soprattutto nelle campagne, ha solo accesso alla tv gratuita, che è quella pubblica. E che 24 ore su 24 trasmette propaganda filogovemativa. A partire da servizi che edulcorano la crisi da coronavirus e nascondo che la gestione della pandemia è una vera catastrofe». Di più: «Ci sono fiumi di denaro pubblico che vanno ai media di ultra destra. Ed è da lì, peraltro, che provengono gli attuali principali quattro commentatori della tv di Stato». Tra i mezzi di informazione dalle casse piene quelli di Tadeusz Rydzyk, proprietario della più famosa radio polacca di propaganda ultracattolica, Radio Maria. «Ma Rydzyk ha anche una tv, un giornale e un'università privata. Il governo lo ricopre d'oro». Quando "Diritto e Giustizia" ha completato l'opera, l'inverno scorso, comprandosi attraverso Orlen un'enorme rete di media locali, in parte da un editore tedesco, lo ha fatto ufficialmente per proteggerli da presunte conquiste straniere. «I media devono essere polacchi», ha tuonato Kaczynski. Nella classifica sulla libertà di stampa di "Reporter senza frontiere" la Polonia è precipitata dalla 18esima posizione che deteneva appena sei anni fa, prima dell'arrivo al potere del governo Morawiecki, alla 62esima. Sono pochissimi ormai i media indipendenti. Come il glorioso quotidiano Gazeta Wyborcza. Ma anche per loro sopravvivere diventa sempre più difficile. L'ultima randellata del governo contro i media indipendenti è stata la minaccia di una tassa sugli introiti pubblicitari. Senza contare che, come gli attivisti, sono bombardati di querele: il quotidiano di Adam Michnik ne conta oltre 60. Come ha osservato lo storico Timothy Garton Ash sul Guardian, la Polonia si ispira a una vecchia specialità ungherese. Quella del salame. Sta eliminando le libertà «fetta dopo fetta». E ha già individuato la prossima: l'università. Il ministro della Scienza, Przemyslaw Czarnek, ha minacciato che taglierà i fondi agli atenei critici con il governo. Tra i suoi obiettivi dichiarati c'è quello di «creare almeno un'università pro-polacca». Anche qui, chi non si adeguerà, pagherà un prezzo.

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