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La Repubblica Rassegna Stampa
21.03.2021 Polonia liberticida: 'E' la fine della democrazia'
Commento di Tonia Mastrobuoni

Testata: La Repubblica
Data: 21 marzo 2021
Pagina: 16
Autore: Tonia Mastrobuoni
Titolo: «Tra gli attivisti minacciati di morte nella Polonia liberticida: 'La democrazia è finita'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/03/2021, a pag.16, con il titolo "Tra gli attivisti minacciati di morte nella Polonia liberticida: 'La democrazia è finita' " il commento di Tonia Mastrobuoni.

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Tonia Mastrobuoni

Within Poland '' LGBT FREE '' - Pride and More
Una manifestazione Lgbt in Polonia

David Socha ha nascosto i lunghi capelli castani sotto il cappello di lana. Mentre parliamo su una panchina di un parco, il suo sguardo saetta a destra e sinistra, le sue mani gesticolano nervose. «Ho paura», ammette. «Prima o poi mi spaccano la faccia». I neonazisti lo hanno già inseguito mentre stava raccogliendo fondi per un’Ong, gli hanno già riempito la cassetta delle lettere di volantini pieni d’odio: «Gli omosessuali crepano più spesso di Aids», «soffrono più spesso di malattie mentali», «sono pedofili». David spalanca gli occhi: «Sanno dove abito, è solo questione di tempo». Ormai non c’è quasi luogo dove il diciannovenne si senta al sicuro, nella sua Pulawy. Ci sono quartieri che i militanti ultracattolici hanno tappezzato di adesivi omofobi — "distruggi Lgbt", "ferma la perversione sessuale". Quartieri dai quali David si deve tenere lontano. Quando gli chiediamo se ce li può far vedere in macchina, senza scendere, lui scuote lentamente la testa: «Per me è una no-go-zone». Pulawy era una tranquilla cittadina di 50mila abitanti tra Varsavia e Lublino. Ma per David, che c’è nato, che c’è cresciuto, che vuole invecchiare qui, è diventato un girone infernale. Due anni fa Pulawy e un altro centinaio di città polacche hanno adottato una risoluzione per liberarsi dalla presunta "ideologia Lgbt". Una mossa in sintonia con la strategia oltranzista del governo Morawiecki, che dal 2005 conduce una guerra sistematica contro le donne, la comunità Lgbt+ e le minoranze, minando allo stesso tempo l’autonomia della giustizia, occupando manu militari le istituzioni pubbliche e i media. Gli spazi di libertà, nel Paese di Solidarnosc e della prima picconata al Muro di Berlino, si stanno rapidamente restringendo. Le aree "Lgbt-free", ormai un terzo del Paese, diffuse soprattutto nel Sudest, si sono trasformate in zone franche per neonazisti e fanatici cattolici. «Sono stato insultato come "frocio" in mezzo alla strada, una ragazza che conosco è stata molestata perché lesbica», racconta David. Quando la notizia delle cosiddette Lgbt-free-zones fece il giro del mondo, due città gemellate con Pulawy, l’olandese Nieuwegein e la francese Douai, ruppero ogni rapporto con la città polacca. È allora che David si mobilitò: «Incollai adesivi ovunque: "Ci mancherete". Mi intervistò una tv locale. Da allora non vivo più». Il volto di David, stavolta con un’espressione fiera e corrucciata, lo ritroviamo su una foto. Bartosz Staszewski l’ha incorniciata per la sua mostra delle città Lgbt-free, la tiene sul pavimento insieme a quelle di altri attivisti che stanno resistendo al bullismo del governo Morawiecki. Il premier ha accusato Bartosz di aver organizzato una "caccia alle streghe": da anni denuncia le discriminazioni contro la comunità Lgbt+. Siamo andati a trovare il regista nel suo piccolo appartamento di Varsavia, dove si sveglia tutte le mattine con la paura di un’irruzione della polizia. Su una parete c’è una cartina della Polonia piena di bandierine gialle e rosse: «Sono le multe e le cause contro di me. Sono costretto a correre da un tribunale all’altro, in tutto il Paese». È una strategia tipica dell’estrema destra: inondare i nemici di cause, le "Slapp" (Strategic lawsuits against public participation, cause strategiche contro l’impegno pubblico). Le città "Lgbt-free" che Bartosz è andato a fotografare si sono mobilitate contro di lui, appoggiate dall’Ong estremista Lega contro la diffamazione, considerata vicina al governo. Anche Bartosz, in certi giorni, ha paura a uscire di casa. «La tv polacca è totalmente controllata dal governo e racconta montagne di bugie su di me: sarei un agitatore anti-polacco, un pericolo pubblico. Ovvio che mi guardo le spalle, quando esco di casa. Di recente uno per strada mi ha urlato: "Sei un bugiardo di merda". Ricevo continue minacce di morte, vado dalla polizia, e non succede nulla. Quando il mio volto appare troppo in tv, tendo a non uscire di casa. Per giorni. A volte mi chiama mia madre, che vive in campagna e guarda solo la tv pubblica. "Ma che hai combinato?", mi chiede. È una lotta impari».

L’anno scorso Bartosz è riuscito a farsi ricevere dal presidente polacco Andrzej Duda. Gli ha raccontato degli eccessi della polizia alle manifestazioni Lgbt+, del tentato attentato dinamitardo al Pride di Lublino. A un certo punto ha scansato le tazze di caffè e i pasticcini e ha appoggiato sul tavolo le foto di tre bambini: Dominik, Kasper e Milo. «Due si sono impiccati, il terzo, una trans, si è buttato da un ponte, nel centro di Varsavia. Erano disperati per l’odio omofobo che subivano. Gli ho detto: "Caro presidente, loro sono ‘ideologia’?". Durante la campagna elettorale, Duda aveva detto che le persone Lgbt+ "cercano di farci credere che siano degli esseri umani, ma sono soltanto un’ideologia"». In Polonia, come nella propaganda della destra italiana, "gender" è diventato un insulto: «Con la foglia di fico della protezione della famiglia alimentano l’odio contro il diverso e legittimano la persecuzione dell’estrema destra», spiega Bartosz. Quando ha visto le foto dei bambini suicidi, Duda ha esitato, poi ha risposto che quei bambini non hanno bisogno di eguali diritti, ma "di uno psicologo". Bartosz si è abbottonato la giacca e ha lasciato la stanza, senza dire una parola. Anche Elzbieta Podlesna, Anna Prus e Joanna Gzyra-Iskandar, le tre attiviste della cosiddetta "Madonna arcobaleno" subiscono intimidazioni continue. A Pasqua del 2019, quando un prete di Plock costruì nella Chiesa di San Domenico una tomba di Cristo con i peccati capitali, infilò tra "lussuria" o "superbia" anche la "deviazione omosessuale" e il "gender". Raggiunta al telefono, Anna Prus, l’attivista che si era inventata già l’anno prima una Madonna di Czestochowa con l’aureola arcobaleno, ci racconta cos’è successo dopo. «Andammo a protestare a Plock, attaccando ovunque adesivi con la "Madonna arcobaleno". Tempo dopo suonarono alla porta di Elzbieta. Sette poliziotti entrarono in casa e sequestrarono tutto. Quando lei volle sapere perché, dissero che volevano il disegno originale della "Madonna arcobaleno"». Come se non fosse possibile farlo con photoshop in una manciata di minuti».

Le tre attiviste sono accusate di blasfemia, legge che in Polonia prevede sanzioni penali. Sono state assolte perché i giudici hanno ritenuto che offendessero un oggetto di culto, ma che avessero soltanto voluto mostrare la loro solidarietà alla comunità Lgbt+. Ma la cosa inquietante è che mentre i poliziotti trascinavano Elzbieta in carcere, il ministro dell’Interno, Joachim Brudzinski, twittava soddisfatto: «Hanno trovato la persona responsabile dei fatti di Plock». Per Anna è chiaro che «stanno cercando di spaventarci. In una democrazia non si dovrebbe andare in carcere per un adesivo». Contro gli eccessi omofobi della Polonia, il Parlamento Ue ha approvato due settimane fa una risoluzione. Chioma argentata e sguardo duro, Marta Lempart si fa scura in volto. «La Ue non fa abbastanza. La Commissione Ue considera il bando dell’aborto, la persecuzione delle persone Lgbt+, l’assalto allo stato di diritto e all’indipendenza della giustizia come cose separate. Invece sono tutte legate e segnalano la fine della democrazia in Polonia». Marta ha traslocato: si è ritrovata degli striscioni con minacce di morte davanti a casa. «Un giorno un buontempone mi ha anche ordinato una pizza», ridacchia. Ma c’è poco da ridere, per lei e l’ associazione "Sciopero delle donne": per andarle a trovare al centro di Varsavia, siamo passati davanti a telecamere e agenti di sicurezza. Bollata dalla tv pubblica come "nemico di Stato", Marta rischia otto anni di carcere per "insulto a pubblico ufficiale" e per aver organizzato durante la pandemia alcune delle più imponenti manifestazioni che si siano viste negli ultimi anni. Centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il bando dell’aborto, la depenalizzazione delle violenze contro le donne e la minaccia del governo Morawiecki di uscire dalla Convenzione di Istanbul. Marta è cofondatrice della "Protesta nera" e ha animato gli "Scioperi delle donne".

Da 6 anni lotta contro il giro di vite del governo a guida Pis (Diritto e Giustizia). Le proteste nascono da una legge che punta a vietare quasi del tutto l’aborto, scritta da una fondazione ultracattolica, Ordo Iuris, che dall’arrivo al governo del partito di Jaroslaw Kaczynski è riuscita a infiltrare Parlamento, ministeri, tribunali, corti supreme. Le proteste hanno scongiurato sulle prime il bando, ma nel 2020, complice la pandemia, la legge è passata e la Corte costituzionale ha messo a ottobre il sigillo su una norma che vieta alle donne di abortire anche nel caso di gravi malformazioni del feto. Le leggi da sempre restrittive contro l’aborto costringevano ogni anno circa 100mila donne ad andare all’estero, a farsi curare nelle cliniche clandestine, a mettersi nelle mani delle mammane. Ma ora anche quei 2mila aborti ancora consentiti saranno banditi al 98%. Anche Marta è stata in carcere e denuncia «il tentativo del governo e della destra cattolica di alzare il tiro: ormai fioccano le denunce penali». Lei stessa ha 65 processi pendenti. «Lo schema è lo stesso del sindaco di Danzica, Pawel Adamowicz. Diffamarti e perseguitarti, finché qualcuno non ne trae le conseguenze». Adamowicz, liberale e anti-nazionalista, si era impegnato per i diritti Lgbt+ e i profughi. È stato accoltellato il 14 gennaio del 2019. Al funerale il prete gridò che bisognava smetterla con l’odio. Ma l’odio, in Polonia, non fa che aumentare.

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