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La Repubblica Rassegna Stampa
10.02.2021 La Corte penale internazionale dell'Aja contro Israele e la risposta di Benjamin Netanyahu
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 10 febbraio 2021
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Israele condanna la decisione dell'Aia di estendere la giurisdizione ai Territori palestinesi»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 10/02/2021, il commento di Sharon Nizza dal titolo "Israele condanna la decisione dell'Aia di estendere la giurisdizione ai Territori palestinesi".

Ecco il video con le parole di Benjamin Netanyahu, sottotitolato in italiano a cura di Giorgio Pavoncello, un contributo da diffondere tra amici che informa su Israele nella maniera migliore:
http://www.informazionecorretta.com/video/netanyahu090221.mp4

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Sharon Nizza

La decisione della Corte Penale Internazionale dell’Aia (Cpi) di riconoscere la propria giurisdizione su Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est per investigare possibili crimini di guerra di israeliani e palestinesi, ha creato grande sconcerto in Israele, pur essendo prevista da mesi. La Camera preliminare della Cpi ha stabilito venerdì, a maggioranza di 2 contro 1, che la procuratrice capo, Fatou Bensouda, ha facoltà di aprire un'indagine su potenziali crimini di guerra a partire dall’operazione Margine Protettivo del 2014 a Gaza. Il parere dei giudici era stato richiesto da Bensouda nel dicembre 2019, e già allora si erano accesi i campanelli d’allarme tra le autorità israeliane. Il procuratore di Stato Avichai Mandelblit aveva pubblicato un proprio parere legale in cui si sosteneva che “i palestinesi, rivolgendosi alla Cpi, tentano di violare il quadro concordato dalle parti e di spingere la Corte a determinare questioni politiche che dovrebbero essere risolte mediante negoziati e non mediante procedimenti penali”. E questo è lo spirito delle reazioni dei principali attori della politica israeliana che, in un momento di grande tensione politica nel Paese con le quarte elezioni in meno di due anni previste per il 23 marzo, hanno dimostrato un raro fronte unitario di condanna. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato un senso dell’allarme commentando la decisione della Cpi già venerdì sera, violando il protocollo secondo cui durante lo shabbat non si rilasciano dichiarazioni ufficiali.

Risultato immagini per netanyahu aja cpi

"La Corte dimostra di essere un'istanza politica e non giudiziaria” e mette a rischio “il diritto dei Paesi democratici di difendersi dal terrorismo". Benny Gantz, ministro della Sicurezza, nonché ministro della Giustizia, ha criticato il tentativo di delegittimare il sistema giudiziario israeliano “solido e indipendente, riconosciuto a livello internazionale, che ha dimostrato più volte di essere in grado di affrontare le violazioni della legge”. Gantz ha dato istruzione di istituire un comitato di esperti sotto l’egida dell’esercito. “Se la Cpi sta stilando una lista di cosiddetti sospetti israeliani, chiedo di essere inserito in cima alla lista”, ha detto il leader del partito nazionalista religioso Yemina, Naftali Bennett, che, in quanto ex ministro della Sicurezza, potrebbe essere effettivamente perseguito nel caso dell’apertura di un’indagine, insieme a buona parte dell’attuale leadership israeliana. Anche l’opposizione centrista di Yair Lapid ha bollato la decisione dell’Aia come “vergognosa” e Merav Michaeli, la neo eletta leader laburista, esponente dell’ala più progressista del partito, ha parlato di una “decisione problematica e politica, che non avanza una risoluzione del conflitto israelo-palestinese”. Ha però ricordato come rappresenti un forte richiamo alla realtà “per chiunque pensava che gli accordi di normalizzazione avrebbero fatto svanire il conflitto israelo-palestinese”.

Grande soddisfazione invece tra la leadership palestinese. Il primo ministro Muhammad Shtayyeh ha detto che la sentenza rappresenta “una vittoria per la giustizia e l’umanità” invitando ora la Cpi a procedere speditamente con le procedure giudiziarie. Anche Hamas, in un comunicato ufficiale, plaude alla decisione, “un passo importante per ottenere giustizia per le vittime palestinesi dell'occupazione israeliana”. Questo, nonostante la procuratrice Bensouda abbia espressamente parlato della possibilità di perseguire non solo autorità israeliane, ma anche “Hamas e altri gruppi armati palestinesi”. I palestinesi avevano avviato le procedure che hanno portato alla decisione attuale già nel 2012, quando l’Assemblea Generale dell’Onu riconobbe alla Palestina lo status di osservatore, come Stato non membro, rendendo possibile l’adesione al Trattato di Roma, istitutivo della Cpi. La posizione di minoranza del giudice Peter Kovacs, il presidente della Camera preliminare della Cpi, espressa in un documento di 163 pagine, si basa tra le altre cose su questa decisione nel respingere la giurisdizione della Corte sui Territori palestinesi, sostenendo che il riconoscimento dell’Assemblea Generale non è vincolante, non ha la validità legale che gli viene attribuita e, definendo i confini su cui ricade la giurisdizione, la Corte esprime un parere politico e non legale. Cosa succederà ora? Per arrivare all’apertura di un’indagine, a incriminazioni ed eventuale emissione di mandati di arresto internazionali, la strada sembra ancora lunga. La procuratrice Bensouda termina il suo incarico a giugno e la valutazione è che lascerà la decisione sull’eventuale apertura di un’indagine al suo successore, che deve ancora essere individuato.

Secondo la valutazione preliminare di Bensouda, nel caso di apertura di un’indagine verranno presi in esame potenziali crimini di guerra commessi da entrambe le parti durante l’operazione Margine Protettivo del 2014, la reazione israeliana alle “marce della rabbia” palestinesi del 2018 al confine della Striscia di Gaza e la politica degli insediamenti israeliani. Per gli esperti di diritto internazionale, nei primi due casi Israele potrebbe contare sul principio di complementarietà, secondo cui la Cpi può intervenire esclusivamente quando gli Stati non vogliano o siano incapaci di investigare e istituire azioni penali autonomamente. Israele, che ha aperto numerose inchieste sulle presunte violazioni di soldati, senza tuttavia emettere finora condanne, avrà dalla sua un precedente importante del dicembre scorso, quando Bensouda ha deciso di chiudere un caso di presunti crimini di guerra commessi da soldati inglesi in Iraq, considerando soddisfacenti le indagini svolte dal tribunale britannico, anche se non aveva proceduto con nessun rinvio a giudizio. Su questo punto Israele può contare anche sul sostegno degli Stati Uniti, che hanno condannato la decisione della Cpi – sebbene tra gli analisti c’è chi teme che l’Amministrazione Biden potrebbe ora utilizzare questa carta come materia di trattativa con Gerusalemme su altri dossier fondamentali, in primis il nucleare iraniano – nonché su diversi Paesi che hanno testimoniato a suo favore durante le audizioni della Camera preliminare, tra cui Australia, Germania e Austria. Molto più problematica invece sarebbe un’eventuale inchiesta sulla legittimità degli insediamenti israeliani. Secondo Yael Vias Gvirsman, esperta di diritto internazionale dell’Università IDC di Herzelyia che ha rappresentato diversi casi alla Corte dell’Aia, su questo punto il dibattito verterà da un lato sull’interpretazione della Convenzione di Ginevra, secondo cui “La potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”, dall’altro sulla validità degli Accordi di Oslo, secondo cui Israele ha giurisdizione completa sui Territori definiti “Area C”, dove si trovano a oggi tutti gli insediamenti israeliani. Tuttavia su questo punto potrebbe avere un impatto determinante la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza Onu del dicembre 2016, che ha stabilito l’illegalità degli insediamenti israeliani.

Luis Moreno Ocampo, il procuratore della Cpi dal 2003 al 2012, in un’intervista al quotidiano Israel Hayom ha affermato che, anche durante il suo mandato, i palestinesi avevano cercato di ottenere uno status all’interno della Corte. “Abbiamo dibattuto in merito per tre anni, ma allora non vi era ancora stata la dichiarazione dell’Assemblea Generale, la situazione era diversa”. Secondo Ocampo, un’indagine potrebbe durare un anno e mezzo, un lasso di tempo in cui le parti dovrebbero “sfruttare questa diatriba e trasformarla in un’occasione positiva”, alludendo all’eventualità di una ripresa dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi sotto l’amministrazione Biden. Israele, che non ha mai ratificato il Trattato di Roma, dovrà ora valutare se adottare un atteggiamento cooperativo con la Corte o confermare invece la mancanza di riconoscimento della giurisdizione dell’Aia sul proprio sistema legale.

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