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La Repubblica Rassegna Stampa
04.01.2021 Usa, Georgia al ballottaggio per il Senato
Cronaca di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 04 gennaio 2021
Pagina: 18
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Trump scuote il test Georgia. Minacce per ribaltare il voto»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/01/2021, a pag.18, con il titolo "Trump scuote il test Georgia. Minacce per ribaltare il voto", il commento di Federico Rampini.

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Federico Rampini

Live updates from Trump, Biden town halls | 11alive.com

Donald Trump punta sulla Georgia per il suo ultimo tentativo di stravolgere l’elezione presidenziale calpestando il verdetto degli elettori. Telefona al segretario di Stato della Georgia, la più alta autorità locale deputata a certificare il risultato del voto, per convincerlo a cambiare il conteggio e a ribaltare l’esito, a quattro giorni dalla seduta solenne del Congresso che a Washington ratificherà la conta del collegio elettorale. Il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, è un repubblicano. Nella registrazione della lunga telefonata – un’ora intera – avvenuta sabato e pubblicata ieri sul sito del Washington Post , Trump alterna lusinghe e minacce, evoca perfino la possibilità di un’azione penale contro Raffensperger. «Devi solo trovarmi 11.780 voti, perché la Georgia l’ho vinta io», dice il presidente al ministro locale. Quest’ultimo, nonostante l’inaudita pressione, non si lascia intimidire: «Signor presidente, i suoi conti non tornano». Ancora una volta l’offensiva del presidente uscente viene respinta, anche dalle autorità repubblicane che localmente hanno garantito la regolarità dell’elezione, e che rifiutano le accuse di “frodi e brogli”. L’estremo tentativo di Trump colpisce per la sua gravità e aggiunge alla tensione già altissima che circonda due scadenze di questa settimana: il voto per due seggi di senatori proprio qui in Georgia domani, a cui segue mercoledì la riunione del Congresso a Washington per ufficializzare il risultato. Non sembrano esserci i numeri per un ribaltone parlamentare che rovesci il risultato del voto, ma il clima drammatizza la contesa della Georgia. La sua capitale, Atlanta, diventa per 48 ore il centro su cui converge l’attenzione di tutta l’America. La posta in gioco è immensa: l’agibilità di Joe Biden passa da qui. Atlanta si considera la capitale economica e morale del Sud. È la sede di grandi multinazionali – Coca Cola, Cnn, Delta Airlines – e un laboratorio di start-up tecnologiche che vuole competere con la Silicon Valley. È la città di Martin Luther King, il leader storico delle battaglie per i diritti civili; dietro di lui una borghesia afroamericana colta e benestante ha formato politici di statura nazionale come John Lewis e Andrew Young (primo nero nominato ambasciatore Usa all’Onu, da Jimmy Carter nel 1977). Dal novembre 2020 Atlanta esibisce un’altra prodezza: ha contribuito alla vittoria di Biden, ribaltando la tradizione repubblicana della Georgia, sia pure col margine risicato di 12.000 voti. Atlanta è stata decisiva: la sua area metropolitana concentra sei milioni di abitanti sui dieci milioni di tutta la Georgia. Ora è qui che i democratici sperano in un secondo exploit politico a due mesi di distanza dall’elezione presidenziale. Domani la Georgia torna alle urne per eleggere i due senatori che la rappresenteranno a Washington. La votazione di novembre non bastò: vinsero i due repubblicani di stretta misura ma senza raggiungere la soglia del 50%, e in base alle regole locali questo costringe a ripetere il voto. L’aritmetica nazionale dei risultati ha regalato alla Georgia un ruolo da arbitro supremo. I repubblicani possono conservare la maggioranza al Senato se conquistano almeno uno di questi due seggi. Se dovessero perderli tutti e due, il Senato passerebbe ai democratici.

Di colpo questo cambierebbe lo scenario per Joe Biden, dandogli un sostegno legislativo (sia pure esile) che oggi non ha. Perciò domani in Georgia si gioca una sorta di rivincita dell’Election Day di novembre, con una posta in gioco altissima. L’attenzione e le risorse di tutta l’America convergono qui. Le donazioni elettorali hanno battuto ogni record per i candidati senatori, così come il volontariato: ci sono democratici di New York e della California che donano ore del loro tempo per telefonare a liste di elettori georgiani e mobilitarli. La grande incognita è l’effetto- Trump sull’affluenza alle urne. Tradizionalmente, al di fuori delle presidenziali l’elettorato repubblicano è il più disciplinato, e questo è uno Stato che pende a destra; ma un presidente uscente che denuncia brogli e frodi potrebbe aver scoraggiato la sua stessa base? I democratici sanno che possono vincere solo se ripetono una performance eccezionale di mobilitazione della loro base, soprattutto nella comunità Black. I quattro candidati che si affrontano domani offrono una rappresentazione estrema delle differenze tra i due partiti. Tra i repubblicani il senatore anziano, David Perdue, è un businessman con una carriera brillante alle spalle (in multinazionali come Reebok e Sara Lee) ma qualche scheletro nell’armadio: ha delocalizzato attività in Cina, distruggendo posti di lavoro americani. Fa campagna invocando «resistenza al socialismo di Biden, che aumenterà le tasse e impedirà la ripresa». L’altra senatrice repubblicana, Kelly Loeffler, è anche lei una esponente dell’élite del denaro. Il suo slogan: «Sono l’unica al Senato ad aver votato il 100% delle volte a favore di Trump».

Così il voto diventa anche un test sul futuro del trumpismo. I due sfidanti da sinistra non potrebbero essere più diversi. Uno, il reverendo Raphael Warnock, è un sacerdote protestante afroamericano che rappresenta l’eredità di Martin Luther King: ne ha ereditato il pulpito, nella stessa chiesa battista Ebenezer di Atlanta. Warnock fa parte di una tradizione robusta, il protestantesimo sociale delle chiese nere, che traduce i Vangeli in impegno politico. Denuncia i suoi avversari come dei razzisti: «Ci sarà una ragione – dice Warnock – se tra gli amici della senatrice Loeffler ci sono i suprematisti bianchi, gli ex seguaci del Ku Klux Klan, i complottisti di Qanon». L’altro candidato della sinistra è un enfant prodige. A soli 33 anni Jon Ossoff ha battuto tutti i record di raccolta fondi per un singolo seggio senatoriale (oltre cento milioni). A 26 anni aveva già un incarico da chief executive in una società inglese produttrice di documentari di giornalismo investigativo. In politica Ossoff ha esordito nella squadra di John Lewis, il leader afroamericano scomparso pochi mesi fa, già compagno di Luther King nelle battaglie per i diritti civili. «Io sono la prova di quanto è cambiata la Georgia – dice Ossoff – visto che a rappresentare il partito democratico qui siamo un predicatore nero e il giovane figlio d’immigrati ebrei».

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