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La Repubblica Rassegna Stampa
13.12.2020 Israele-Arabia Saudita: Joe Biden sarà in grado di continuare il grande lavoro di Trump? di mezzo c'è Obama
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 13 dicembre 2020
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il fattore saudita nella strategia di Biden»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/12/2020, a pag. 1, con il titolo "Il fattore saudita nella strategia di Biden", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Biden Needs to Understand and Avoid Obama's Failures in 2009
a destra, il suggeritore

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Maurizio Molinari

Israel and Saudi Arabia's will-they-won't-they whiplash - The Jerusalem Post
Benjamin Netanyahu, Mohammed Bin Salman

Con quattro accordi di pace in meno di tre mesi l’ultracentenario conflitto arabo-israeliano si sta trasformando in un volano di importanti novità politiche ed economiche dal Nordafrica al Golfo Persico ma il tassello che manca è quello più strategico: si tratta dell’Arabia Saudita, che può portare sul tavolo della riconciliazione con lo Stato ebraico non solo l’autorità che le viene dall’essere Custode dei luoghi sacri dell’Islam e leader degli arabi sunniti ma anche dalla possibilità di facilitare una soluzione della crisi israelo-palestinese. È quanto trapela dal team di Joe Biden, impegnato nella transizione dei poteri a Washington, a descrivere l’importanza del “fattore saudita”. Il presidente eletto degli Stati Uniti ha già reso pubblico il suo sostegno per gli Accordi di Abramo realizzati dal predecessore Donald Trump.

Israel-Saudi Arabia Relations in Focus | HonestReporting

In questa maniera Biden ha mostrato consapevolezza per il valore di lungo termine delle scelte compiute da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco di unirsi ad Egitto e Giordania nel riconoscimento di Israele perché ciò coincide con l’interesse americano di una maggiore stabilità e prosperità regionale. Ma il team Biden è ben consapevole che il tassello più importante di questi accordi è quello mancante ovvero i sauditi. Nel recente vertice di Neom il principe ereditario di Riad, Mohammed bin Salman, ha infatti detto al premier israeliano Benjamin Netanyahu ed al Segretario di Stato americano Mike Pompeo di «non poter ancora firmare» per l’opposizione del re Salman. «Con questa mossa Bin Salman ha fatto capire a Israele di voler aspettare l’insediamento di Biden» spiega da Washington Martin Indyk, veterano Usa dei negoziati in Medio Oriente, ex Assistente Segretario di Stato con Bill Clinton, ex consigliere di Barack Obama ed oggi considerato assai vicino al presidente eletto. «Ogni Paese arabo sa che per ottenere qualcosa da Washington deve avvicinarsi a Israele — aggiunge Indyk — e dunque i sauditi si accingono a giocare questa partita». La monarchia wahabita ha più fronti aperti con i leader democratici Usa: dalla guerra in Yemen all’assassinio di Jamal Khashoggi fino alla carenza di rispetto dei diritti umani, inclusa l’incarcerazione di 13 attiviste donne. Ovvero, siamo all’inizio di una complessa partita politico-strategica fra Washington e Riad dove la nuova amministrazione Biden ha interesse a incassare il più importante degli Accordi di Abramo e la monarchia saudita cerca invece un solido accordo politico che archivi i profondi disaccordi esistenti.

È un percorso disseminato di incognite che ripropone il legame cruciale Washington-Riad in Medio Oriente — che risale all’inizio degli anni Trenta — e crea anche lo spazio politico per un ritorno dei palestinesi al negoziato con Israele. Per rendersene conto basta guardare alle mosse compiute dal presidente Mohammed Abbas dopo la vittoria di Biden: prima ha ripreso la cooperazione con Israele sulla sicurezza, poi si è detto pronto a riprendere il dialogo con Washington e quindi ha moderato il tono delle critiche ai Paesi arabi che hanno scelto il riconoscimento dello Stato ebraico. «Abbas ha capito che il negoziato saudita con Biden è forse l’ultima opportunità per i palestinesi di ottenere ciò che vogliono» spiega Indyk, sottolineando come «per centrare l’obiettivo Abbas però deve decidere le sue priorità ed affidarle a Riad». È una strada che può portare re Salman a siglare la pace con Israele nella cornice di un’intesa che include un accordo anche sui due Stati con l’Autorità palestinese. D’altra parte Riad è titolare dell’Iniziativa di pace araba del 2002 che si proponeva proprio di offrire ad Israele la completa riconciliazione in cambio della fine del contenzioso territoriale con i palestinesi.

La recente scelta di Turki al-Faisal, ex ministro dell’Intelligence saudita, di sfruttare il podio del “Manama Dialogue” per lanciare un duro attacco a Israele sulle «violazioni dei diritti dei palestinesi» — sotto gli occhi del ministro degli Esteri di Gerusalemme, Gabi Ashkenazi — conferma proprio la volontà di Riad di farsi portavoce delle istanze di Ramallah. Saranno le prossime settimane a dire quale sentiero prenderà il dialogo Usa-Arabia Saudita ma possono esserci pochi dubbi sul fatto che dopo l’inaugurazione di Biden, il prossimo 20 gennaio, sarà uno dei temi in cima all’agenda di politica estera della nuova amministrazione. Anche per le sue molteplici ramificazioni: dall’interesse di re Salman a mantenere le pressioni internazionali sull’Iran per il nucleare all’interesse di Biden a ridimensionare il ruolo della Russia di Vladimir Putin nel Golfo. È il grande gioco del Medio Oriente che si rimette in movimento anche se questa volta la novità viene dall’insolita spinta: un possibile accordo di pace fra Riad e Gerusalemme capace di avere un impatto ben oltre i confini della regione. Per l’Europa spettatrice passiva degli Accordi di Abramo finora siglati può essere l’opportunità per assumere un’iniziativa capace di affiancarsi agli sforzi in atto al fine di trasformare la pace arabo-israeliana in un generatore di crescita economica e tecnologica in grado di far diventare lo scacchiere fra Mediterraneo e Golfo Persico un hub dello sviluppo globale nel XXI secolo.

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