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La Repubblica Rassegna Stampa
26.11.2020 Cantante egiziano denunciato per una foto con un musicista israeliano
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 26 novembre 2020
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Cantante egiziano denunciato per una foto con un musicista israeliano»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA online, di oggi 26/11/2020, con il titolo "Cantante egiziano denunciato per una foto con un musicista israeliano" il commento di Sharon Nizza.

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Sharon Nizza

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Mohamed Ramadan

Mai una foto gli era costata così cara. Mohamed Ramadan, 32 anni, attore e cantante egiziano con milioni di follower, noto tra i fan come il “Numero 1”, è sotto attacco per una foto che lo ritrae abbracciato al collega israeliano Omer Adam. Ad immortalare lo scatto, durante una festa tenutasi sabato a Dubai, il giornalista emiratino Hamad Al Mazrouei, che l’ha postata su Instagram con tanto di promettente didascalia: “L'artista più famoso in Egitto con l'artista più famoso in Israele. Dubai ci unisce”. Quando si dice le ultime parole famose. La valanga di insulti e attacchi non si è fatta attendere, sui social come sui media tradizionali: “spia”, “traditore”, “collaborazionista”. “Se questa farsa è vera, Ramadan ha un problema con tutti noi” ha detto il popolare presentatore della tv filo-governativa Ahmed Moussa. E non è bastato: il sindacato degli attori egiziano ha dichiarato che Ramadan è sospeso e quello dei giornalisti che non darà più spazio alle sue attività “fino a che non verrà chiarita la vicenda”. E poi ieri è arrivata anche la denuncia per “vilipendio del popolo egiziano”, con la prima udienza fissata per il 19 dicembre. Nel frattempo, il post è stato eliminato dall’autore – non prima di essere stato ritwittato dal portavoce in arabo dell’esercito israeliano con la scritta “l’arte ci unisce” – e Ramadan ha provato a riparare in corner, caricando sulla sua pagina Facebook una bandiera palestinese e un video, anche questo cancellato in seguito: “Non uso chiedere alla gente con cui mi fotografo da dove viene o di che religione è. Siamo tutti essere umani”. Che Ramadan non sapesse con chi si stava intrattenendo non se l’è bevuta nessuno, in quanto in altri video trapelati dalla festa in questione si intravedono addirittura bandiera israeliana ed emiratina accanto, con il remix della nota melodia ebraica Hava nagila sullo sfondo.

Due mesi di normalizzazione tra Israele ed Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno fatto quello che in 41 anni di pace con l’Egitto non si è riusciti a raggiungere: ancora prima che siano state aperte le ambasciate, è un continuo di delegazioni di ogni genere Tel Aviv-Dubai. Solo per il mese di dicembre 40 mila israeliani hanno acquistato biglietti aerei per gli Emirati. Omer Adam, che è il cantante pop mediterraneo più famoso dello Stato ebraico, ha già un suo seguito negli Emirati, dove si è esibito più volte. Anche l’attore di Fauda Lior Raz si è fatto ritrarre in compagnia di colleghi emiratini sullo sfondo del Burj Khalifa. “Oltre al fatto che con gli Emirati Israele non ha mai avuto un fronte di guerra diretto, la normalizzazione è stata preparata sottobanco per oltre quindici anni” dice a Repubblica Orit Perlov, che per l’Institute for National Security Studies di Tel Aviv ricerca tendenze social nel mondo arabo. “Con l’Egitto ci sono state guerre atroci e poi la pace è venuta quasi subito, non c’è stato un processo graduale di costruzione di rapporti. Ho vissuto molto nel mondo arabo e posso dire, con grande amarezza, che proprio il Paese con cui abbiamo firmato per primi la pace, è quello dove l’odio verso Israele è più radicato”. In Egitto, nelle musalsalat, le popolari telenovele prodotte per il periodo del digiuno del Ramadan, nel mondo rappresentato Israele sparisce. Così è stato per El-Nehaya (La fine), trasmessa ad aprile, in cui si racconta di un 2120 in cui Israele non esiste più. Ali Salem, lo scrittore satirico egiziano mancato nel 2015, fece della normalizzazione con Israele una battaglia vera e propria, pagando un caro prezzo: il viaggio in Israele che intraprese nel 1994, raccontato nel libro My drive to Israel, gli costò l’espulsione dall’associazione degli scrittori e poi il boicottaggio delle sue opere fino alla fine dei suoi giorni. Il libro si concludeva con la speranza che la generazione successiva avrebbe capito che “tra noi e Israele non ci sono campi minati, ma solo quelle strade asfaltate che io ho percorso”.

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Trascorso un quarto di secolo, quelle righe rimangono una chimera. Che il presidente egiziano Al-Sisi sia stato il primo leader arabo a benedire l’accordo di normalizzazione tra Israele ed Emirati, non è servito a cambiare il trend che considera un tabù qualsiasi relazione con la società civile israeliana. “L’establishment egiziano, che intrattiene fittissime relazioni con quello israeliano, non ha nessun interesse a cambiare questo approccio” ci spiega Perlov. “Anzi, è un ottimo diversivo per veicolare la frustrazione della popolazione locale verso l’esterno. Israele soprassiede perché si accontenta della relazione istituzionale, che per noi è fondamentale”. I social media hanno comunque innescato un cambiamento nei confronti della percezione di Israele. “L’interazione non filtrata ha permesso di farci conoscere per aspetti diversi” continua Perlov. “Gli utenti in lingua araba sono un pubblico immenso, forse oggi riusciamo a raggiungerne un 20% e il trend è in ascesa. Ma se il cambiamento non parte dall’alto, con la condanna dell’incitamento e della cultura del boicottaggio nei testi di studio, nell’interazione culturale, la strada sarà ancora molto lunga”. Il dipartimento digitale del ministero degli Esteri israeliano gestisce una serie di canali dedicati in arabo, con un seguito di oltre 3 milioni di follower. Da quando ad agosto è stata annunciata la normalizzazione con gli Emirati, hanno registrato un incremento notevole nell’interazione degli utenti provenienti da Paesi arabi, da 70 a 100 milioni di visualizzazioni mensili. Per ora la star egiziana Ramadan continua a muoversi sui social da vero “Numero 1”, come se nulla fosse successo, in attesa di capire se la polemica si placherà. Il giornalista egiziano Sid Ali ha sintetizzato bene la spinosa questione: “I sindacati egiziani hanno una posizione molto chiara riguardo alla normalizzazione. E nessuno è sopra ai sindacati o sopra le convenzioni accettate nella società egiziana”. Nemmeno se sei il Numero 1.

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