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La Repubblica Rassegna Stampa
09.11.2020 Joe Biden sarà presidente: le reazioni di Israele e arabi palestinesi
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 09 novembre 2020
Pagina: 1
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Israele, Netanyahu ringrazia Trump e fa gli auguri a Biden. I palestinesi sperano nel dialogo»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA online di oggi, 09/11/2020, con il titolo "Israele, Netanyahu ringrazia Trump e fa gli auguri a Biden. I palestinesi sperano nel dialogo", l'analisi di Sharon Nizza.

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Sharon Nizza

After hours of silence, Netanyahu congratulates Biden, but doesn't say what  for | The Times of Israel
Joe Biden con Benjamin Netanyahu

C’è un aneddoto che circola in Israele quando si parla di elezioni americane: Levi Eskhol, primo ministro durante la Guerra dei Sei Giorni, allertato dell’imminente minaccia di siccità, chiese: “Dove?”. Alla risposta: “In Israele”, tirò un sospiro di sollievo: “Ah! Per un attimo mi sono spaventato, pensavo negli Stati Uniti”. Che la politica israeliana sia legata a doppio filo a quella del suo principale alleato strategico è noto. Dopo quattro anni di luna di miele Trump-Netanyahu, in Israele c’era una chiara preferenza per una rielezione del presidente uscente. Eppure, la partita elettorale che si è appena conclusa è stata definita come una sorta di win-win situation. Nel giorno della proclamazione della vittoria di Joe Biden, i messaggi che arrivano dall’establishment esprimono fiducia in una produttiva collaborazione con la nuova amministrazione democratica. Benjamin Netanyahu ha aspettato un po’ più di altri leader europei, ma questa mattina si è congratulato con Biden e Kamala Harris: “Conosco Biden da quasi quarant’anni ed è un grande amico d’Israele. Sono certo che continueremo a lavorare insieme con entrambi per rafforzare l’alleanza speciale tra Israele e gli Stati Uniti”. Due tweet per due presidenti: parallelamente, Netanyahu ha rilasciato un altro cinguettio in cui ringrazia Trump per “la grande amicizia dimostrata allo Stato d’Israele e a me personalmente”.

Menzionando alcuni degli omaggi dell’amministrazione Trump: dal trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, al riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan, dalla ferma posizione contro il nucleare iraniano, agli storici Accordi di Abramo che in due mesi hanno portato Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan ad allacciare relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. La valutazione in Israele è che Biden non cederà alla frangia più radicale del Partito democratico per quanto riguarda la questione israelo-palestinese (quella che è riuscita a fare spostare solo di pochi punti il voto degli ebrei americani, tradizionalmente democratico, verso il Grand Old Party); anzi, la convinzione – anche tra i palestinesi - è che l’arena mediorientale non sarà predominante nell’agenda del nuovo presidente, concentrato sulle sfide interne. Nei giorni della travagliata attesa dello spoglio elettorale, il primo ministro Mohammad Shtayyeh aveva espresso bene la preoccupazione palestinese rispetto agli esiti: “Che Dio ci aiuti se rivince Trump”. Oggi invece, la leadership palestinese, messa all’angolo dai recenti accordi di normalizzazione tra Israele e mondo arabo, torna a respirare. Abu Mazen si è congratulato con Biden, auspicando che la sua elezione “rafforzi le relazioni palestinesi-americane per ottenere libertà, indipendenza e giustizia per la nostra popolazione”. In molti fanno notare che il sollievo è dato anche dal fatto che l’elezione di Biden potrebbe allontanare la prospettiva di una riconciliazione tra Fatah e Hamas e di elezioni parlamentari e presidenziali. Hany al-Masri, editorialista del quotidiano palestinese Al Quds, scrive che “in assenza di alternative e di fronte alla continua minaccia degli interessi palestinesi posta da Trump, un suo nuovo mandato avrebbe favorito l’unità e le elezioni”. Con Biden invece, l’operazione di difficile riuscita – dal 2007, innumerevoli tentativi di riconciliazione Fatah-Hamas sono falliti uno dietro l’altro - si fa decisamente meno impellente. Kamala Harris – il marito ebreo e il record di votazioni pro-israeliane al Senato non incutono per ora grandi timori nell’establishment israeliano - in un’intervista ad Arab American News la settima scorsa, ha anticipato che l’Amministrazione Biden riaprirà la missione dell’Olp a Washington, ripristinerà i fondi ai palestinesi e aprirà un consolato a Gerusalemme Est (con l’apertura dell’Ambasciata a Gerusalemme, l’ufficio consolare palestinese è stato inglobato nell’ambasciata che si trova a Gerusalemme Ovest). Non sono cambiamenti sostanziali che preoccupano gli israeliani. La sfida che più allarma Gerusalemme riguarda la probabilità che il Presidente eletto possa impegnare nuovamente l’America in un accordo con l’Iran sul nucleare. E lì, come dice Danny Danon, ex ambasciatore israeliano all’Onu appena rientrato in patria, “dovremo capire se ci sarà modo di dialogare con l’amministrazione sui dettagli, oppure se dovremo opporci con tutte le nostre forze, come ha fatto Netanyahu nel 2015”.

Nel 2015, quando Netanyahu parlò davanti al Congresso Usa per scongiurare di non portare avanti l’accordo sul nucleare, l’allora vicepresidente Biden non presenziò intenzionalmente alla seduta. Quel discorso fu un momento chiave nel rafforzamento dei rapporti sottobanco, in chiave anti-iraniana, tra gli Stati arabi sunniti e Israele. E non è un caso che a oggi, dopo ormai svariate ore dalla proclamazione di Biden come 46mo presidente degli Stati Uniti, il grande convitato di pietra nella parata delle congratulazioni sia proprio l’Arabia Saudita: nel 2016 fu tra i primi a congratularsi con Trump, oggi non si esprime su Biden. Seppure Riad non si sia ancora esposta pubblicamente rispetto all’instaurazione di rapporti diplomatici con Israele, con la dipartita dalla Casa Bianca del “padrino” degli Accordi di Abramo, la cooperazione con Gerusalemme potrebbe uscirne rafforzata per fare scudo di fronte a un possibile riavvicinamento Usa-Iran. E c’è chi pensa che un annuncio di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele potrebbe avvenire ancora entro il 20 gennaio – giorno dell’effettivo passaggio di consegne tra Trump e Biden – come omaggio al presidente uscente.

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