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La Repubblica Rassegna Stampa
05.11.2020 Usa, il giorno dopo le elezioni mentre si contano ancora i voti
Cronaca di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 05 novembre 2020
Pagina: 2
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Biden a un passo dalla Casa Bianca, Trump non ci sta»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/11/2020, a pag.2, con il titolo "Biden a un passo dalla Casa Bianca, Trump non ci sta", il commento di Federico Rampini.

Come riporta la Stampa online, lo staff di Joe Biden ha dichiarato che si opporrà a qualunque controllo dei voti, cosa che invece è normale in democrazia per chiarire chi ha vinto le elezioni. La più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti, non fa eccezione, qualunque cosa pensino i rappresentanti di Biden.

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Federico Rampini

Casa Bianca - Wikipedia
La Casa Bianca

The Day After: due candidati che si auto-proclamano vincitori nella corsa alla Casa Bianca; Joe Biden in netto vantaggio e ormai vicinissimo alla fatidica soglia dei 270 voti; la prospettiva di una battaglia giudiziaria sui conteggi delle schede. Dopo la formidabile affluenza di massa, dopo lo spettacolo di partecipazione democratica, nonostante l’assenza di scontri o provocazioni, gli Stati Uniti scivolano tuttavia verso uno scenario caotico, rissoso e instabile. Anche se Biden finisse per prevalere, la delusione in campo democratico è grande: nessuna Onda Blu, il Senato resta in mano ai repubblicani (con conseguenze pesanti sul futuro governo), alla Camera i democratici conservano la maggioranza ma perdono seggi. E prima bisogna comunque uscire dal pantano. La notte tra martedì e mercoledì ha offerto un’anteprima del periodo turbolento che si apre. Da una parte Donald Trump ha cantato vittoria e ha denunciato «stanno cercando di rubare l’elezione», una menzogna che ha costretto Twitter a censurarlo. Dall’altra Biden ha esortato i suoi in vista di una gara prolungata ai tempi supplementari: «Abbiate pazienza. Ogni scheda va contata, fino all’ultimo. La vittoria è alla nostra portata». I numeri propendono decisamente in favore di Biden dopo l’assegnazione del Wisconsin e del Michigan al candidato democratico: due Stati del Midwest industriale che furono decisivi per consegnare la Casa Bianca a Trump nel 2016. È importante anche la conquista democratica dell’Arizona, quella che fu la roccaforte dell’unico implacabile avversario repubblicano di Trump, il senatore John McCain scomparso nel 2018. Ancora in bilico la Pennsylvania, altro Stato conteso del Midwest dove la legge considera valide le schede consegnate dalla posta fino a domani. Ma è proprio in quei “battleground”, i terreni di battaglia dove forse Biden è riuscito a ricostruire un Muro Blu in difesa di una maggioranza del collegio elettorale, che si scatena l’offensiva legale di Trump. Nel Wisconsin il presidente chiede che siano ri-conteggiate tutte le schede elettorali. Lì il margine di vantaggio di Biden è esiguo: lo 0,6% dei voti. In Pennsylvania Trump si spinge ben oltre, chiede che sia la Corte Suprema degli Stati Uniti a fermare lo spoglio delle schede del voto per corrispondenza consegnate dopo l’Election Day di martedì. Michigan e altri Stati saranno oggetto di ricorsi. Si apre un nuovo capitolo, una prolunga dell’elezione, con molte incognite. In prima istanza a pronunciarsi saranno dei tribunali locali, salvo salire di ricorso in ricorso fino alla Corte Suprema. Quest’ultima è saldamente in mano alla destra, grazie a Trump che ha realizzato ben tre nomine di giudici nel suo primo mandato. Ora nel massimo tribunale costituzionale siedono sei repubblicani contro tre democratici. Riaffiora lo spettro del 2000, l’anno in cui una contestazione sulle schede in Florida fu arbitrata dalla Corte suprema assegnando la Casa Bianca al repubblicano George Bush, benché il democratico Al Gore avesse la maggioranza del voto popolare. C’è un paradosso che può aiutare i democratici. La destra costituzionale è molto legata alla tradizione federalista, tende a rispettare le prerogative degli Stati, e le leggi elettorali sono decise dai singoli Stati. Un altro rischio però è che a dirimere le battaglie giudiziarie siano le assemblee legislative locali: in Wisconsin, M ichigan e Pennsylvania hanno tutte delle maggioranze repubblicane. Un dato fondamentale di questa tornata elettorale riguarda il Senato, rimasto in mano a una maggioranza repubblicana. Il Senato, come la Camera, ha voce in capitolo sull’attività legislativa; inoltre ha un potere speciale di conferma delle nomine presidenziali. Questo significa che anche in caso di vittoria finale di Biden, il presidente dovrà continuamente negoziare dei compromessi con l’opposizione di destra per far passare i suoi progetti di riforma, per varare manovre economiche, e per riempire gli alti ranghi dell’Amministrazione, le cariche giudiziarie, le sedi diplomatiche. Un Senato repubblicano può costringere un presidente democratico in una situazione più simile a quella di un “governo di coalizione” nei sistemi politici europei. Per Biden c’è un rovescio positivo di questa sconfitta. Essendo un moderato, Biden potrebbe usare questo equilibrio per governare al centro, “sterilizzando” l’ala radicale dei vari Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Alexandria Ocasio-Cortez. La sinistra del partito democratico fa parte del lungo elenco degli sconfitti. È su quel versante più radicale che si erano alimentati negli ultimi mesi dei veri e propri miti. Per esempio l’idea di un’Onda Blu che avrebbe strappato ai repubblicani perfino una roccaforte come il Texas, e avrebbe messo in pensione il loro capogruppo al Senato Mitch Mc-Connell. Nulla si è avverato. Tantomeno si è verificata quella svolta culturale e valoriale che doveva venire dalle proteste anti-razzismo, dopo la morte di George Floyd. E’ avvenuto il contrario: le posizioni estremiste del movimento Black Lives Matter hanno regalato a Trump successi inaspettati tra gli afroamericani e gli ispanici, dove la piccola borghesia ha temuto le violenze e i saccheggi di una piazza dominata dalle frange radicali. Nell’elenco degli sconfitti un posto d’onore spetta ai sondaggi, protagonisti di una nuova débacle paragonabile a quella del 2016: con l’aggravante di aver perseverato nell’errore. Una responsabilità spetta anche ai media progressisti che dominano la scena, dalla Cnn al New York Times, dalla Msnbc al Washington Post . Hanno descritto per quattro anni un’America disgustata da Trump, sempre sull’orlo di una crisi di rigetto. Hanno previsto che il presidente sarebbe stato disarcionato prima dall’impeachment, poi dagli scandali fiscali, dal coronavirus, dalla crisi economica. Alla fine il voto ha fotografato dei rapporti di forze abbastanza simili al 2016. Biden ha operato una riconquista di voti operai, ma solo parziale: nell’Ohio, rimasto a Trump, il 56% degli operai iscritti al sindacato hanno votato per il presidente.

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