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La Repubblica Rassegna Stampa
27.09.2020 Alcune verità sulla dittatura della Cina
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 27 settembre 2020
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La visita di Pompeo nell’Italia terreno di scontro tra Usa e Cina»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/09/2020, a pag. 1, con il titolo "La visita di Pompeo nell’Italia terreno di scontro tra Usa e Cina", l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

Il nuovo dittatore cinese, Xi Jinping – Orizzonti Politici –

Il duello avviene al riparo dei riflettori ma non potrebbe essere più intenso: l’Italia è oramai terra di scontro aperto fra Cina e Stati Uniti. Il duello nasce dalla volontà di Pechino di insediarsi strategicamente nel nostro Paese, considerato il ventre molle di Unione Europea e Nato, e vede gli Stati Uniti impegnati ad evitarlo facendo leva sui solidi rapporti di alleanza. È questa la cornice dell’imminente visita a Roma del Segretario di Stato, Mike Pompeo, già capo della Cia e più importante consigliere del presidente Donald Trump sui temi della sicurezza nazionale. È proprio l’entità del tradizionale legame fra Roma e Washington a far risaltare la determinazione della sfida cinese che rientra nello sviluppo della Belt and Road Initiative — la Nuova Via della Seta — tesa a integrare l’Europa continentale nel sistema economico e produttivo della Repubblica Popolare di Xi Jinping. l continua a pagina 25 segue dalla prima pagina È un disegno strategico che aveva iniziato a manifestarsi prima della pandemia ed ora torna con rinnovato vigore. A giudicare da quanto sta avvenendo sul terreno nel nostro Paese, Pechino ha identificato due canali di insediamento di lungo termine: le telecomunicazioni e i porti marittimi. Su entrambi i fronti è in corso un duello serrato con Washington che passa attraverso società, leggi e infrastrutture italiane disegnando uno scenario senza precedenti. Dalla fine della Seconda guerra mondiale è la prima volta che un Paese non europeo e non occidentale riesce a conquistare un simile ruolo in Italia. Vediamo di cosa si tratta. Sul fronte delle telecomunicazioni Pechino punta sulla tecnologia del 5G, la più avanzata disponibile nonché destinata a cambiare radicalmente il mercato e sulla quale i cinesi hanno al momento un indubbio vantaggio tecnologico. Le aziende cinesi offrono il 5G a quelle italiane, che finora non lo hanno accettato — ultima Tim sullo sviluppo di una rete nel Nord-Est per la vicinanza con la base di Aviano — e il recente incontro interministeriale svoltosi a Roma fra rappresentanti Pd e M5S ha ribadito la posizione del governo per l’uso del Golden Power contro l’inserimento di tecnologia cinese nel core — il nucleo — della nostra rete di comunicazioni. Al fine di proteggere la sicurezza nazionale dal rischio di infiltrazioni. Ma se queste dichiarazioni descrivono l’attenzione del governo Conte per le osservazioni di Washington — basate sui rischi per la cybersicurezza dovuti alle tecnologie cinesi — vi sono due elementi di vulnerabilità della posizione italiana che sono destinati ad emergere durante gli incontri di Pompeo a Palazzo Chigi ed alla Farnesina. Primo: Washington chiede di proteggere la sicurezza non solo del “nucleo” ma anche della “periferia” dei sistemi di telecomunicazione fino al bando totale della tecnologia cinese Huawei come deciso dalla Gran Bretagna ma l’Italia ritiene che ciò comporterebbe uno smantellamento di infrastrutture già esistenti — ad esempio sul 4G — con costi molto alti da sostenere sul fronte economico. Secondo: sulla base delle normativa vigente il Golden Power deve essere applicato su ogni singolo contratto dal governo e poiché l’offensiva cinese è massiccia, su più fronti e aziende in contemporanea, il rischio che qualche intesa sfugga ai controlli non può essere escluso. Non c’è dubbio che sul terreno delle telecomunicazioni le posizioni di Washington e Roma si sono avvicinate negli ultimi mesi — anche per gli sforzi convergenti in tal senso compiuti dal Pd e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio — ma le tensioni rimangono perché sul tema della “periferia” Berlino e Parigi danno segnali di maggior movimento. Più delicata invece è la questione dei porti marittimi perché proprio le resistenze trovate sulle telecomunicazioni spingono Pechino ad accelerare in questa direzione. Falliti i tentativi di acquistare o investire in infrastrutture strategiche nei porti di Genova e Trieste, Pechino ora punta su Taranto, strategica infrastruttura marittima del Sud. Il primo passo è avvenuto nel 2019 con l’accordo fra la China Ocean Shipping Company (Cosco) e la società turca Yilport, che ha ottenuto dall’Autorità portuale di Taranto la concessione per 49 anni di una banchina lunga 1900 metri. Poiché la società Yildirim — che controlla Yilport — è il tredicesimo operatore al mondo nei terminal e Cosco è il terzo nei container, non è difficile dedurre il valore dell’intesa. A cui bisogna aggiungere l’interesse del Gruppo Ferretti — controllato all’86 per cento dal colosso industriale cinese Weichai — per la costruzione, sempre nel porto di Taranto, di un avveniristico cantiere navale affiancato da un centro di ricerca. Se a ciò aggiungiamo l’opzione cinese per il futuro dell’Ilva è evidente che il porto di Taranto — sede di una importante base navale italiana nonché di infrastrutture di supporto alle forze marittime Nato — è in cima ai progetti di Pechino nel nostro Paese, investendo questioni di rilievo nei legami con Washington. D’altra parte proprio Taranto è — come Genova e Venezia — uno dei sei porti marittimi inclusi nel memorandum di intesa italo-cinese sulla Via della Seta firmato nel marzo 2019. Se a questo aggiungiamo che nella significativa mole di dati sull’Italia raccolti dalla società informatica Zhenhua di Shenzen ve ne sono molti anche sul nostro settore marittimo non è difficile arrivare alla conclusione che i porti sono il secondo tassello della partita fra Cina e Stati Uniti in corso nel nostro Paese. Saranno le prossime settimane a dire come il governo di Conte affronterà il nodo delle “periferie” nelle telecomunicazioni e la questione dei porti marittimi: facendo prevalere l’alleanza con Washington o cercando un percorso di equilibrio con le opportunità offerte dai legami con la Cina. Non è difficile prevedere che di questo si parlerà nel colloquio con Mike Pompeo.

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