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La Repubblica Rassegna Stampa
23.09.2020 La Cina alla conquista dell'Onu, ma Trump accusa Xi mentre le democrazie tacciono
Cronaca di Filippo Santelli, commento di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 23 settembre 2020
Pagina: 19
Autore: Filippo Santelli - Federico Rampini
Titolo: «Soldi e multilateralismo la strategia di Pechino per conquistare l’Onu - Botta e risposta Usa-Cina sul virus. Trump: 'Avete infettato il mondo'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/09/2020, a pag. 19, con il titolo "Soldi e multilateralismo la strategia di Pechino per conquistare l’Onu", la cronaca di Filippo Santelli; con il titolo "Botta e risposta Usa-Cina sul virus. Trump: 'Avete infettato il mondo' ", il commento di Federico Rampini.

Segnaliamo il pezzo di Federico Rampini, l'unico a riportare le coraggiose dichiarazioni di Trump sulle tragiche responsabilità della Cina, sia per la diffusione mondiale del Coronavirus che per la crisi economica non solo in Usa ma anche in tutte le democrazie europee. La Cina è un tirannico impero, non esistono né diritti umani e civili, né tutele di nessun genere per i lavoratori, ecco riassunto in poche parole il predominio economico cinese. Come sempre l'Occidente tace. Trump è l'unico ad avere il coraggio di affermare la verità, il che lo rende antipatico alle anime belle -non solo a sinistra- ma anche a chi si definisce 'liberale', per via della sua supposta grossolanità, ha un brutto modo di parlare, si pettina male ecc. un virus che ha infettato anche i discendenti di La Malfa e Malagodi. Riflettano questi amici, Trump è l'unico in grado di venire in soccorso delle nostre povere democrazie.

Ecco gli articoli:

Filippo Santelli: "Soldi e multilateralismo la strategia di Pechino per conquistare l’Onu"

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Filippo Santelli


Il nuovo dittatore cinese, Xi Jinping – Orizzonti Politici –

La scontro tra Stati Uniti e Cina arriva al Palazzo di Vetro, guastando il compleanno dell’Onu. Ma nella zuffa in videomessaggio le due superpotenze non appaiono uguali, e la differenza di argomenti spiega come e perché Pechino stia conquistando un ruolo sempre più centrale all’interno delle Nazioni Unite. Trump usa il suo intervento per ribadire "America First", il principio che lo ha portato a ritirare gli Stati Uniti da vari fori multilaterali, dall’intesa sul clima di Parigi all’Organizzazione mondiale della Sanità. Mezz’oretta dopo Xi Jinping si lancia nell’ennesima difesa a tutto campo della cooperazione internazionale: «L’unilateralismo è un vicolo cieco», dice il presidente che vuole costruire un «futuro condiviso per l’umanità», formula magica della nuova globalizzazione con caratteristiche cinesi. A questo multilateralismo di Xi le democrazie liberali hanno ormai fatto il callo. L’America egemone lo considera, a torto o a ragione, nient’altro che un tentativo mascherato di strapparle il primato. Ma anche l’Europa ha capito che i suoi principi, come la non ingerenza o la subordinazione dei diritti umani allo sviluppo, sono incompatibili con quelli occidentali. La stretta su Hong Kong, la rieducazione forzata delle minoranze musulmane, il rispetto selettivo delle regole di mercato sono esempi lampanti. Eppure, rileggendo oggi il discorso tenuto cinque anni fa all’Onu dal presidente Xi, il suo primo, bisogna riconoscere la coerenza con cui la Cina ha portato avanti un’agenda globale. C’è la battaglia di narrazioni, un estenuante lavorio per introdurre il proprio lessico nei documenti ufficiali. Poche ore fa un blocco di Paesi occidentali, più l’India, ha respinto una versione della risoluzione finale di questa plenaria che sembrava scritta da Xi in persona, uno dei tanti trappoloni che gli sherpa cinesi seminano durante i lavori. Oltre alle parole la Cina ci mette anche soldi e impegno: cinque anni fa Xi usò il palco per annunciare che Pechino avrebbe finanziato un fondo Onu da un miliardo «per la pace e lo sviluppo » e dedicato un contingente da 8mila soldati alle missioni di pace con i Caschi blu, esaltate dai media e dalla cinematografia di regime. Così la Cina si è conquistata una posizione di rilievo, sul campo e nei corridoi delle Nazioni Unite, prima raccogliendo l’invito di Obama a partecipare alla governance globale, un’illusione di "G2", poi occupando gli spazi liberati dagli Stati Uniti in ritirata. Nel Consiglio di sicurezza vota spesso insieme alla Russia, per esempio sulla Siria, ma resta distante dal revisionismo militare e corsaro di Putin. Oggi Pechino è il secondo contributore al bilancio Onu, con il 12% del totale, dietro agli Usa (22%). I suoi funzionari guidano quattro delle 15 agenzie specializzate, tra cui la Fao, l’organismo che definisce gli standard delle telecomunicazioni e quello che controlla il traffico aereo civile. E se il «futuro condiviso» della Cina insospettisce l’Occidente, non è necessariamente sgradito ai Paesi in via di sviluppo, più o meno autocratici, di cui la Cina s i presenta come capofila e che spesso votano con lei: sanno che l’obiettivo di Xi è la rinascita del Dragone, ma almeno qualcuno li coinvolge in una narrazione globale. Pechino non ha creato il sistema, ma prova a correggerlo a propria immagine e secondo i propri (enormi) interessi, per esempio depotenziando le critiche sui diritti umani e assicurandosi che Taiwan non venga riconosciuta. Di recente si è vista una reazione: il suo candidato alla presidenza dell’agenzia Onu sulla proprietà intellettuale ha perso la corsa, sconfitto da quello appoggiato da America ed Europa. Eppure ieri a New York il copione è stato simile all’ultima Assemblea mondiale della sanità, quando gli Stati Uniti hanno annunciato l’uscita dall’Oms e Xi invece ha promesso più fondi e un vaccino condiviso contro Covid. «La paura che la Cina stia cambiando l’Onu dall’interno è prematura — scrivono gli analisti di Brookings — alle Nazioni Unite gli Stati Uniti giocano ancora in casa», ma resterà così «solo se Washington competerà per l’influenza. Lasciare il campo aiuterà la Cina a fare un passo avanti, e colmare il vuoto».

Federico Rampini: "Botta e risposta Usa-Cina sul virus. Trump: 'Avete infettato il mondo' "

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Federico Rampini

Donald Trump e Xi Jinping trasformano l’assemblea Onu nel teatro della loro guerra fredda. Trump accusa: «Il governo cinese e l’Organizzazione mondiale della sanità controllata da Pechino, hanno infettato il mondo sul coronavirus. Le Nazioni Unite devono chiedergliene conto». Xi Jinping reagisce: «Va respinto il tentativo di politicizzare la pandemia». Il leader cinese usa il linguaggio della colomba, assicurando che Pechino «non ha l’intenzione di combattere guerre, fredde o calde, con altre nazioni». Sottrae a Trump il manto del difensore dell’ambiente, annunciando che la Cina raggiungerà l’obiettivo di «zero emissioni carboniche nette» nel 2060. La tensione dello scontro fra le due superpotenze eclissa altri conflitti come il duello Usa-Iran. Non è smorzata dal fatto che tutti hanno inviato messaggi videoregistrati: il Palazzo di Vetro quest’anno è stato disertato dai potenti della terra. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel celebrare il 75esimo anniversario dell’organizzazione indica proprio la rivalità tra Cina e America come un grande pericolo per il mondo intero. Il video-duello a distanza fra Trump e Xi ha avuto destinatari diversi. Il presidente americano, a 40 giorni dall’elezione, ha usato anche l’assemblea Onu come un’opportunità di campagna elettorale: parlando ai suoi concittadini più ancora che al resto del mondo. Al contrario Xi ha sfoderato un’offensiva diplomatica su misura per un’audience straniera, con toni moderati e obiettivi ambientalisti seducenti. Indirettamente Trump ha preso di mira la retorica del suo omologo. Non solo ha descritto il «virus cinese» come un flagello i cui danni sono stati amplificati dalla mancanza di trasparenza; inoltre ha ricordato che la Cina è la potenza più distruttrice dell’ambiente, ha l’economia che genera il massimo volume di emissioni carboniche. L’attacco alla Cina è uno dei temi su cui Trump cerca di recuperare terreno sul suo rivale Joe Biden: il presidente rinfaccia al candidato democratico di aver appoggiato in passato tutti gli accordi di libero scambio, contribuendo così alla crisi dell’industria americana impoverita dalla concorrenza sleale cinese. Trump ha negato che l’America sia venuta meno all’impegno per l’ambiente, sostenendo che ha fatto di più per ridurre l’inquinamento da quando è uscita dagli accordi di Parigi. L’affermazione, contestata da molti scienziati, può risultare veritiera se s’include l’impatto della recessione da coronavirus, che durante i lockdown ha fatto crollare l’attività industriale e il traffico, riducendo le emissioni di CO2. Inoltre la deregulation di Trump a favore dell’energia fossile non è bastata a contrastare la tendenza degli stessi attori economici ad abbandonare il carbone. Sullo stesso fronte gli esperti non prendono a scatola chiusa le affermazioni di Xi. L’impegno proclamato dal presidente cinese parla di ridurre le emissioni a partire dal 2030 il che significa che continueranno ad aumentare ancora per un decennio. La Cina rimane la più grossa consumatrice di carbone, pur essendo al tempo stesso leader mondiale nelle energie rinnovabili (eolico e solare) nonché nella produzione di auto elettriche. Trump ha allargato i suoi attacchi anche ai diritti umani, incalzando l’Onu perché si occupi «dei veri problemi mondiali, tra cui l’oppressione delle donne, i lavori forzati, la persecuzione delle minoranze etniche e religiose »: un’allusione alla sorte degli uiguri musulmani, vittime di abusi da parte del governo di Pechino.

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