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La Repubblica Rassegna Stampa
14.09.2020 Usa verso il voto: le opinioni dei cittadini negli Stati chiave
Commento di Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 14 settembre 2020
Pagina: 18
Autore: Federico Rampini
Titolo: «'Votiamo chi dà lavoro'. Nelle fabbriche Usa con gli ultimi indecisi»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/09/2020, a pag.18, con il titolo " 'Votiamo chi dà lavoro'. Nelle fabbriche Usa con gli ultimi indecisi", il commento di Federico Rampini.

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Federico Rampini


Donald Trump, Joe Biden

«Sono cresciuto in una famiglia di operai democratici e iscritti al sindacato, ho votato due volte per Barack Obama, ma nel 2016 ho scelto Donald Trump. Non penso che questo 3 novembre tornerò indietro». Nelson Westrick, 55 anni, operaio della Ford, mi parla in un collegio elettorale che quattro anni fa si rivelò decisivo: Macomb County, periferia nord-orientale di Detroit, metà industriale e metà area residenziale per colletti blu, è una delle circoscrizioni che fecero da ago della bilancia nel 2016. Obama aveva vinto con 9 punti di vantaggio, Trump conquistò Macomb County dando 12 punti di distacco a Hillary Clinton. Il Michigan fu uno degli Stati della Rust Belt — la cintura della ruggine, così chiamata per il declino delle fabbriche — che crearono il terremoto elettorale. Con appena 11.000 voti Trump conquistò i 16 "voti di collegio" di questo Stato. Anche quest’anno il Michigan è uno dei battle-ground, gli Stati contesi, quelli dove si deciderà il verdetto, magari con un margine esiguo come l’ultima volta. Nel corso degli ultimi tre giorni lo hanno visitato sia il democratico Joe Biden sia il presidente, con due comizi nell’area metropolitana di Detroit. I sondaggi vedono Biden in vantaggio nello Stato del Midwest con una media di 4 punti, 47,8% contro il 43,6% del presidente uscente. Ma uno scarto di quattro punti equivale al margine di errore statistico. Il direttore della campagna repubblicana in Michigan, Chris Carr, è convinto che i numeri siano sbagliati: «I sondaggi continuano a usare dei campioni squilibrati in favore dell’elettorato democratico. Non tengono conto dell’affluenza reale alle urne, che ci premia. E comunque nel 2016 davano un margine ancora superiore a Hillary, le assegnavano fino a 10 punti di vantaggio. Abbiamo visto com’è andata». Il nucleo di colletti blu che si spostò verso il partito repubblicano a Macomb County sembra resistere secondo Brian Pannebecker, 61 anni, anche lui operaio alla Ford. Lo intervisto al ritorno da due comizi: quello di Trump in un hangar di aeroporto vicino a Flint, poi una cerimonia di commemorazione dell’11 settembre. «Sono andato con mia sorella e il cognato — dice Pannebecker — eravamo in cinquemila, abbiamo sentito un’energia straordinaria ». I due colleghi Brian e Nelson sono d’accordo sulla posta in gioco: l’economia, la ripresa, il lavoro e la sicurezza del salario, ma anche la sicurezza tout court. «Questa sinistra — dice Westrick — è prigioniera di un’ala radicale, politically correct, che esaspera le identità etniche, soffia sul fuoco degli scontri di piazza. Ho tanti amici italo-americani in fabbrica che la pensano come me, appoggiano le forze dell’ordine». Culla storica dell’industria automobilistica, sede delle "tre sorelle" Gm Ford Fca, il Michigan è una delle ultime roccaforti sindacali, il sindacato metalmeccanico United Auto Workers (Uaw) è ancora una potenza. I leader sindacali hanno dato il loro endorsement a Biden. Ma fecero lo stesso quattro anni fa in favore della Clinton. «Questi capi sindacali — dice Pannebecker — non ci rappresentano nelle scelte politiche. L’Uaw è nel mezzo di uno scandalo di peculato e corruzione con alcuni dirigenti incriminati. La base non li segue, tantomeno se danno indicazione di votare per Biden che in passato approvò trattati di libero scambio deleteri, la causa di tante delocalizzazioni di fabbriche verso il Messico o la Cina». Gli operai della Ford mi descrivono una fabbrica in netta ripresa, con turni di lavoro a pieno regime, «nonostante che ci abbiano lasciati a casa per nove settimane, a causa di un lockdown troppo rigido deciso dalla governatrice democratica, Gretchen Whitmer». Il negazionismo o "riduzionismo" di Trump riecheggia in una parte della base operaia: convinta che il lockdown abbia fatto più danni del coronavirus, e che le regole di sicurezza sanitaria andrebbero «lasciate all’autonomia e alla responsabilità di noi lavoratori e del management, non calate dall’alto». Conquista il Michigan chi ha la ricetta giusta per la ripresa economica: ne sono convinti i due duellanti. Sia Trump che Biden sono venuti a parlare di questo. Trump ha vantato il suo bilancio dei primi tre anni, «prima del virus cinese », cioè «una crescita record, un boom di occupazione nell’industria, tante fabbriche riaperte, il pieno impiego». Come sempre ha una tendenza a massaggiare i numeri: in realtà di nuove fabbriche in quest’area c’è solo quella annunciata dalla Jeep mentre la Ford annuncia tre chiusure di stabilimenti. L’occupazione nell’automobile era salita fino a un milione di posti nel 2018, ma poi in Michigan aveva cominciato a calare (meno 2.400 posti) prima ancora della pandemia. Una ripresa è innegabile, il tasso di disoccupazione era balzato al 24% in aprile, ora è ridisceso all’8%, ma è pur sempre raddoppiato da febbraio. Biden viene bombardato di una campagna negativa, con il documentario tv intitolato "Cavalcando il dragone: i segreti cinesi dei Biden". Dove si accusa il figlio del candidato, Hunter Biden, di aver intascato milioni in affari cinesi quando il padre era il vice di Barack Obama. Il contrattacco di Biden nel Michigan è arrivato a Warren, sempre nell’area di Detroit, con la presentazione di un nuovo piano economico. Per scrollarsi di dosso l’accusa delle delocalizzazioni, il democratico promette una sovrattassa del 10% sui profitti realizzati da multinazionali Usa nelle loro fabbriche estere, e un credito fiscale del 10% sugli investimenti fatti sul territorio nazionale. «Fabbricate nel Michigan, fabbricate in America », dice Biden. Il suo nuovo slogan è Buy American, comprate americano, non molto diverso dal Make America Great Again del suo avversario. Sull’economia finora Trump conserva un leggero vantaggio — è l’unico terreno nel quale una sottile maggioranza di elettori lo giudica più competente — però è andato riducendosi. Sul rettifilo finale degli ultimi 50 giorni i due messaggi convergono: nella Rust Belt il nazionalismo economico è vincente.

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