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La Repubblica Rassegna Stampa
11.07.2020 La rinascita dello Stato islamico in Iraq
Cronaca di Pietro Del Re

Testata: La Repubblica
Data: 11 luglio 2020
Pagina: 17
Autore: Pietro Del Re
Titolo: «Furti e attentati, la rinascita dell’Isis nell’Iraq finito in bancarotta»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/07/2020, a pag. 17, con il titolo "Furti e attentati, la rinascita dell’Isis nell’Iraq finito in bancarotta", la cronaca di Pietro Del Re.

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Pietro Del Re

IRAQ Kirkuk, nell'emergenza Covid-19, l'Isis sferra nuovi attacchi

«Dopo avermi bastonato a sangue, i briganti vestiti di nero hanno scaricato le merci che avevo sul camion e se le sono portate via sui loro pick-up», dice Meriwan Perwer che raggiungiamo al telefono all’ospedale di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, dov’è ancora ricoverato con fratture multiple. I briganti di cui parla questo camionista curdo trovato mezzo morto sull’autostrada verso Kirkuk sono i miliziani del rinato Stato islamico che in Iraq ha riorganizzato le sue brigate con cui è tornato a terrorizzare la popolazione locale. Infatti, tra il Tigri e l’Eufrate, coloro che nel marzo 2018 riuscirono a dileguarsi nel deserto dopo aver perso la loro ultima roccaforte di Baghouz hanno oggi ripreso a compiere furti e stragi in cinque province a nord e a ovest di Bagdad, trasformate in campi di battaglia dove si affrontano quotidianamente con l’esercito iracheno.

Come accadeva fino a tre anni fa, ad al-Anbar, Ninive, Salah al-Din, Kirkuk e Diyala, i sopravvissuti dell’Isis commettono attentati suicidi, sequestrano persone, scassinano banche e attaccano l’esercito e le istituzioni statali. I jihadisti approfittano di un Iraq ormai in bancarotta, senza più i mezzi per arginare la crisi sociale e quella politica che lo funestano, con una società spaccata sia sul piano etnico sia su quello confessionale e con una coalizione internazionale pronta al disimpegno. È in questo contesto che l’Isis ha scovato la linfa necessaria per rinascere dalle ceneri, soprattutto nei piccoli villaggi sunniti dove i suoi leader avevano trovato rifugio prima di cominciare a ricostruire una rete di bande militari per coordinarle tra loro con una strategia comune. Era il 9 dicembre 2017, quando l’allora primo ministro Haider al-Abadi dichiarò che le forze irachene controllavano «la frontiera tra l’Iraq e la Siria», annunciando di fatto «la fine della guerra contro l’Isis». Ma il 2 maggio scorso, gli stessi islamisti hanno compiuto una serie di attacchi simultanei in diverse città e villaggi del Paese. D’ora in poi, per assestare il colpo di grazia al già moribondo Stato iracheno, l’Isis combatterà una "guerra d’usura". Se tra il 2014 e il 2017, grazie alla cooperazione tra Bagdad e Washington, le città irachene finite nelle mani islamiste furono tutte riconquistate, l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump ha cambiato i rapporti di forza. Il presidente americano ha deciso di adottare la strategia del disengagement in tutto il Medio Oriente e, come ha dichiarato l’11 giugno scorso a Washington, gli Stati Uniti «ridurranno la presenza militare in Iraq».

Ad agevolare indirettamente gli islamisti c’è poi la grave crisi economica che colpisce in particolare le aeree sunnite da dove, secondo il ministro della Difesa iracheno Jouma Innad, proviene oggi l’80% dei combattenti dell’Isis. Lì, soprattutto per i giovani, arruolarsi nelle sue milizie è ancora la sola possibilità per scampare alla miseria. Secondo il sociologo Adel Bakawan dell’Università curda di Soran «è impensabile voler eliminare il terrorismo in Iraq in assenza di un progetto d’inclusione sociale ed economica della comunità sunnita». Finché non lo capiranno i leader politici, la minaccia jihadista continuerà a minare la stabilità del Paese e soprattutto a impedire la necessaria riconciliazione nazionale tra curdi, sunniti e sciiti. Fatto sta che dall’inizio dell’anno i jihadisti hanno intensificato i loro attacchi su più fronti. La settimana scorsa le forze armate irachene e le milizie filo-iraniane hanno lanciato un’operazione anti Isis nelle regioni a nord della capitale. La zona interessata riguarda il cosiddetto quadrilatero dell’insurrezione jihadista che sconvolse il Paese tra il 2013 e il 2017, quando i tagliagole dello Stato islamico arrivarono alle porte di Bagdad e di Erbil. Allora furono fermati dai caccia americani. Stavolta invece a combatterli saranno i soldati sottopagati dell’esercito lealista e quei miliziani sciiti abituati a sparare razzi contro le basi statunitensi e a depredare impunemente la popolazione irachena. Per i terroristi redivivi saranno facili prede sia i soldati sia i miliziani.

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