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La Repubblica Rassegna Stampa
08.07.2020 Annessione: e adesso che cosa succede?
Cronaca parziale di Enrico Franceschini

Testata: La Repubblica
Data: 08 luglio 2020
Pagina: 28
Autore: Enrico Franceschini
Titolo: «Cisgiordania, il freno di Gantz»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 08/07/2020, a pag.28 con il titolo "Cisgiordania, il freno di Gantz" il commento di Enrico Franceschini.

Il tono e la scelta degli argomenti da parte di Franceschini sono critici verso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Franceschini, invece di spiegare le misure prese tempestivamente dal governo di Gerusalemme per contenere la seconda ondata del virus, ripete ancora una volta le accuse rivolte a Netanyahu.

Ecco l'articolo:

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Enrico Franceschini

Netanyahu Archivi - Cultura a Colori
Benjamin Netanyahu

Se chiudi due israeliani in una stanza, fondano tre partiti. La vecchia battuta sulla complessità politica della Stato ebraico aiuta a comprendere quello che accade in questi giorni sul tema dell’annessione degli insediamenti in Cisgiordania, questione che minaccia di fare esplodere una nuova crisi in Medio Oriente e nei rapporti fra Israele e l’Occidente. Dopo avere promesso per mesi, con l’apparente benedizione di Donald Trump, che a partire dal primo luglio gli insediamenti ebraici nei Territori Palestinesi sarebbero diventati legalmente parte di Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu l’ha rinviata e ora non è chiaro se, quando o come compirà un passo così azzardato. Perché? Che cosa ha spinto o costretto il leader del Likud, storico partito della destra israeliana, a una perlomeno temporanea marcia indietro? Due sono le motivazioni principali. La prima è che Bibi, come lo chiamano tutti in Israele, ha bisogno di rimanere al potere per meglio difendersi dalle accuse di corruzione che lo inseguono da anni e potrebbero farlo finire in carcere. Il suo partner nella coalizione faticosamente nata dopo tre elezioni consecutive concluse con un sostanziale pareggio, l’ex-generale Benny Gantz, capo del partito di centro Blu e Bianco, vicepremier e ministro della Difesa, che nel quadro dell’accordo di governo dovrebbe scambiare tra due anni e mezzo la sua poltrona con Netanyahu, è contrario all’annessione unilaterale, pur rimanendo teoricamente favorevole al progetto a patto di coordinarlo con la comunità internazionale. Se il premier andasse avanti, probabilmente la coalizione cadrebbe e si andrebbe a nuove elezioni, che lui rischierebbe di perdere. Il secondo motivo che lo spinge al rinvio è che l’ambasciatore americano a Gerusalemme, consultato Trump, gli ha comunicato l’opposizione della Casa Bianca. Il presidente degli Stati Uniti, dopo avere dato luce verde all’iniziativa, ci ha ripensato: alle prese con la pandemia da Covid 19 e la rivolta contro il razzismo, sembra ritenere che una deflagrazione mediorientale non aumenterebbe le sue chances alle elezioni di novembre. In più, suo genero Jared Kushner teme che l’annessione comprometta definitivamente il piano di pace di cui è autore. Senza lo sponsor americano, difficilmente Bibi può muoversi. Ciò non gli impedisce di continuare a promettere l’annessione almeno parziale degli insediamenti ebraici, ma anche questo ha una logica nel puzzle dell’arena politica israeliana. Formando la coalizione con il centrista Gantz, Netanyahu ha voltato le spalle ai partiti della destra legata al movimento degli insediamenti in Cisgiordania, che era al governo con lui in passato. Poiché l’alleanza fra i due Benjamin rimane fragile, il primo ministro vuole tenersi buoni i vecchi sostenitori nell’eventualità, da non escludere, di un ritorno alle urne per la quarta volta nel prossimo futuro. È con slalom di questo genere che è diventato il leader più longevo nella storia del suo Paese: premier complessivamente da oltre 14 anni, più dei 13 di David Ben Gurion, il fondatore di Israele. Incriminato per frode e abuso d’ufficio (vizio diffuso tra i politici israeliani: il suo predecessore Ehud Olmert ha trascorso 8 mesi in prigione), percepito come l’affossatore del processo di pace con i palestinesi (ma sempre attento a non entrare in guerra), il 70enne Benjamin Netanyahu è un leader spregiudicato, pragmatico e imprevedibile, pronto a contraddire qualunque impegno pur di proteggere il bene a cui tiene di più: la salvaguardia dei propri interessi.

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