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La Repubblica Rassegna Stampa
18.05.2020 Israele, ecco il governo: due premier e con cambio a metà legislatura
Commento di Sharon Nizza

Testata: La Repubblica
Data: 18 maggio 2020
Pagina: 22
Autore: Sharon Nizza
Titolo: «Due premier e 34 ministri è il governo più affollato di Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/05/2019, a pag.22, con il titolo "Due premier e 34 ministri è il governo più affollato di Israele", il commento di Sharon Nizza.

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Sharon Nizza

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Dry Bones, di Yaakov Kirshen:
Il governo israeliano pieno di ministri, imperfetto, razzaffonato si prepara a fronteggiare il Coronavirus, sconfiggere i nostri numerosi nemici, rimettere in sesto l'economia e affrontare le sorprese... speriamo in bene!

Tre round elettorali inconcludenti e 508 giorni di stallo politico hanno portato ieri alla nascita in Israele di un governo di unità nazionale, con 73 voti a favore e 46 contrari. Sarà il quinto esecutivo per Benjamin Netanyahu, che questa volta dovrà condividere la poltrona con l’ex rivale Benny Gantz, per il quale scatterà la rotazione il 17 novembre 2021, ma che già ieri ha prestato giuramento nella sua funzione di “Primo Ministro alternativo” oltre che Ministro della Difesa. Sostenuto da 8 partiti, alcuni dei quali frutto di secessioni dell’ultima ora, è il governo più nutrito della storia del Paese: 34 ministri e 16 viceministri. «Ci sono più ministri e viceministri che persone ricoverate in terapia intensiva per il Coronavirus» — effettivamente 50 contro 48 — ha attaccato Yair Lapid in un passaggio del durissimo discorso durante la cerimonia di insediamento, in cui ha accusato il suo ex alleato Gantz di aver tradito il proprio elettorato e «di essersi venduto per le poltrone». Dopo la scissione del suo partito “Yesh Atid” dall’alleanza Blu e Bianco, Lapid diventerà ora capo dell’opposizione. Netanyahu ha dovuto rinviare il giuramento da giovedì a domenica e fino all’ultimo ha lavorato per sblogliare l’intricata matassa delle nomine, cercando di accontare i numerosi alleati politici e soprattutto i suoi ministri uscenti. Sono stati suddivisi ministeri: Energia e Risorde idriche, Intelligence e Affari Strategici, d’ora in avanti saranno quattro dicasteri diversi; ne sono stati creati nuovi di zecca: uno dei più discussi, il “Ministero per il Rafforzamento Comunitario”, affidato a Orly Levy, che ha rotto un’alleanza con il partito di sinistra Meretz e con i laburisti il giorno dopo le elezioni e che andava quindi ricompensata; seguita poco più tardi anche dai due soli superstiti dello storico Partito Laburista — quello dei fondatori della patria — che pure sono venuti meno alla promessa elettorale «di non sedersi mai con un premier accusato di corruzione» e si sono aggiudicati i Ministeri dell’Economia e del Welfare. Altro ministero controverso, ideato in extremis pochi minuti prima del discorso di Netanyahu alla Knesset, quello per “gli insediamenti”, affidato alla già viceministra degli esteri Tzipi Hotoveli.


Benny Gantz, Benjamin Netanyahu

Difendendosi dalle accuse sullo sperpero di soldi pubblici durante la peggiore crisi economica che il Paese abbia mai affrontato, con la disoccupazione in impennata dal 3,6% al 27%, Netanyahu ha affermato che il costo di questo governo (85 millioni di shekel all’anno) è comunque inferiore a quello di nuove elezioni (2 miliardi di shekel). Sono diversi i nodi che il nuovo governo dovrà affrontare nel brevissimo raggio e che potrebbero mettere a rischio il delicato equilibrio tra le anime che lo formano. Tra questi, la possibile estensione della sovranità israeliana a parti della Cisgiordania, come previsto dal Piano di Trump. Netanyahu ha affermato nel suo discorso di insediamento che «è giunto il momento di procedere», ma Blu e Bianco contesta l’eventuale unilateralità della mossa. E soprattutto, il processo di Netanyahu, la cui prima udienza è prevista per il 24 maggio. Nonostante la Corte Suprema si sia pronunciata a favore della possibilità di un premier inquisito di governare fino a sentenza passata in giudicato, ci sono nuovi ricorsi in vista che potrebbero fare saltare l’accordo di governo.

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