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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/12/2019, a pag.3 con il titolo "La fine di Jeremy l'idealista ostinato che ha commesso troppi errori", l'analisi di Enrico Franceschini. A destra: Jeremy Corbyn "antisemita e razzista" Enrico Franceschini elenca con chiarezza i tre motivi principali dell'inadeguatezza di Jeremy Corbyn: ambiguità sulla Brexit e l'Europa, modello socio-economico ispirato a quello che fu dell'Unione Sovietica, antisemitismo dilagante. Ecco l'articolo:
Goodbye, Jeremy Corbyn. Battuto due volte alle urne in due anni, ieri travolto dalla peggiore sconfitta nella storia del suo partito, adesso il leader laburista non ha altra scelta che dimettersi, scomparire. Il dubbio è se scomparirà anche il corbynismo, la svolta che ha spostato il Labour radicalmente a sinistra. Leader a interim potrebbe diventare il suo vice John McDonnell, che cantava con Corbyn "bandiera rossa" a pugno chiuso. I sindacati e l'organizzazione giovanile Momentum, le fazioni che più lo hanno sostenuto, dicono che la linea politica non cambia. Ma una batosta di queste dimensioni, se confermata dai risultati ufficiali, brucia. Il Labour rischia di restare all'opposizione fino al 2024: 14 anni. Un'eternità. Saranno tre i capi di imputazione nei suoi confronti. Il primo è la posizione pilatesca sulla Brexit: né per l'Europa, né contro l'Europa. Quando i libri di storia elencheranno i responsabili della Brexit, Corbyn non mancherà nell'elenco. Se nel referendum del 2016 si fosse impegnato appena un po', l'esito sarebbe stato differente: non si ricorda un comizio in cui abbia difeso la Ue. Perché, gli domandai in un'intervista, lei è contro l'Europa? «Non sono contro — rispose serio — ma dell'Europa non mi piacciono tante cose». Prigioniero di un'ideologia marxista anni '70, Corbyn vede la Ue come un'associazione di banchieri che speculano sulla pelle dei lavoratori. Ha impiegato tre anni e mezzo a fare parziale retromarcia, pressato da una larga parte del suo partito, fino a promettere un secondo referendum. «Ma resterò neutrale — precisava — pronto ad eseguire qualsiasi decisione presa dal popolo. Perché questo Paese ha bisogno di unirsi». Le urne indicano che ha sbagliato. Avrebbe dovuto provare a unire per prima cosa il proprio partito, quindi il Paese intero, spiegando che la Brexit è un inganno: il tentativo di fare della Ue il capro espiatorio di dieci anni di austerity imposta dal governo conservatore. Non l'ha fatto perché è il primo a diffidare dell'Europa. Prediligeva un altro progetto: costruire "il socialismo in un solo paese", per dirla con il noto slogan. Il suo programma economico, in effetti, suonava come una demolizione, non una riforma, del capitalismo. Un secondo passo falso, dopo Brexit, che ha spaventato il centro moderato, necessario per vincere. E il terzo errore è la tolleranza dell'antisemitismo. Non che Corbyn sia intimamente antisemita: ma la sua visione dell'ebraismo, come quella della Ue, è colorata da un'ideologia obsoleta. Ottusa. «Sono contro ogni forma di discriminazione», ripeteva, incapace di comprendere che l'Olocausto è il male supremo. Ecco perché, con tutti i suoi difetti e le sue bugie, ha prevalso Boris Johnson. Un altro leader laburista, probabilmente, lo avrebbe sconfitto. Ma il premier conservatore aveva un asso nella manica: Jeremy Corbyn. Più che una grande illusione, il corbynismo potrebbe passare alla storia come un'occasione clamorosamente mancata. E rivelarsi una lezione per la sinistra anche altrove, a cominciare dalle presidenziali americane.
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