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La Repubblica Rassegna Stampa
25.10.2019 Kurdi sotto attacco
Servizi di Giampaolo Cadalanu, Gabriella Colarusso

Testata: La Repubblica
Data: 25 ottobre 2019
Pagina: 14
Autore: Giampaolo Cadalanu - Gabriella Colarusso
Titolo: «I curdi abbandonati - 'Trattativa disperata per salvare il Rojava. Non ci arrendiamo'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/10/2019, a pag.13, con il titolo "I curdi abbandonati", la cronaca di Giampaolo Cadalanu; a pag. 14, con il titolo  'Trattativa disperata per salvare il Rojava. Non ci arrendiamo', il commento di Gabriella Colarusso.

Ecco gli articoli:


Peshmerga kurdi

Giampaolo Cadalanu: "I curdi abbandonati"

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Giampaolo Cadalanu

Il ritiro dei miliziani dalla "fascia di sicurezza" voluta da Erdogan è praticamente completo, ma basta il tono pacato, quasi rassegnato dei commenti per capire quale bilancio i curdi facciano dell’accordo fra Ankara e Mosca. «Il memorandum di intesa non è concordato con noi. Siamo d’accordo su alcune cose, su altre no. Ne discuteremo, perché riguardano il destino della nostra gente», dice Mazloum Abdi, comandante in capo delle Forze democratiche siriane, dopo aver ringraziato Stati Uniti e Russia per l’impegno a fermare la guerra. La sconfitta del Rojava La strada per la comunità curda sembra segnata: dovrà reinserirsi nella Siria di Bashar al Assad, con un’autonomia da definire, che sarà costruita attorno alla città di Qamishli. Il sogno di indipendenza sembra svanito. Poco più di un secolo dopo, l’impegno di Woodrow Wilson non è mantenuto. Fra le condizioni per riconoscere la sovranità della Turchia, il presidente americano aveva raccomandato: «Alle nazionalità che sono sotto il governo turco deve essere garantita l’assoluta sicurezza di vita e l’indiscussa opportunità di sviluppo autonomo ». Centotré anni dopo, un altro presidente ha abbandonato gli ex alleati al loro destino. E i curdi non nascondono la delusione. «Che cosa le fa pensare di avere il diritto di spostare milioni di curdi e trasferirli altrove, signor presidente? Questa non è pulizia etnica?», si lamenta Mustafa Bali, portavoce delle Sdf. La zona di sicurezza Una fascia di centoventi chilometri di lunghezza per trentadue di profondità sarà sotto il controllo turco: a Est e a Ovest il confine sarà presidiato dalle truppe di Damasco, con 15 posti di controllo istituiti con l’assistenza delle forze di Mosca. La zona occupata dai turchi sarà sgomberata totalmente da forze curde, mentre i soldati Usa manterranno soltantoo un piccolo contingente. L’esercito di Assad ritorna nelle città abbandonate fra 2011 e 2012: Kobane, Manbij, Tal Amir, Ayn Issa e Tabka. I miliziani Ypg potrebbero essere inseriti nell’esercito siriano governativo, oppure trasformati in una polizia territoriale con la responsabilità dei territori curdi, senza armamenti pesanti. La Turchia Erdogan può considerare un successo completo l’operazione Fonte di pace, al di là dell’obiettivo rivendicato, che era quello di mettere la guerriglia curda in condizioni di non nuocere. Grazie alla guerra ha ricompattato dietro la sua guida un Paese che era diviso in due, ha consolidato i rapporti con Mosca, si è visto riconoscere un ruolo più importante anche dagli Usa, che subito hanno levato le sanzioni. E può tranquillamente fare la voce grossa con l’Europa, annunciando che presto "aprirà i cancelli" per inondare di profughi il Vecchio continente che lo critica. Gli Usa Il voltafaccia verso i curdi doveva servire a proclamare in campagna elettorale che l’amministrazione Trump "riporta a casa i ragazzi". Ma la manovra è servita solo in parte, le Forze armate registrano irritazione e mal sopportano l’umiliazione di dover scappare sotto le minacce turche. Anche l’elettorato di destra vede male la perdita di credibilità degli Usa. La Russia Vladimir Putin è l’altro grande vincitore. Consolida l’alleanza con Assad, irrobustisce la comunicazione con Erdogan, ma soprattutto vede la Nato sull’orlo di una crisi profondissima, con la Turchia ormai lontana da ogni logica di schieramento, e vede l’influenza russa in Medio Oriente molto più consistente. L’Europa Ha ottenuto quella che appare una sanzione definitiva della sua inesistenza nella politica internazionale. Ha dovuto chinare il capo al ricatto di Erdogan, che minaccia di dare via libera ai profughi, e persino in queste giornate di scontro ha stanziato un pagamento per Ankara. La Germania, per voce di Annegret Kramp-Karrenbauer, sta cercando di salvare il salvabile con la proposta di una forza multinazionale di interposizione: l’idea piace ai curdi, ma gli Usa non sono disposti a mandare truppe di terra, e potrebbero garantire soltanto l’appoggio dell’aeronautica. L’Italia Simbolico ma ormai fuori tempo massimo l’annuncio del ritiro dalla Turchia della batteria antimissile Samp-T che era schierata a Kahramanmaras, paradossalmente in funzione difensiva da possibili attacchi siriani.

Gabriella Colarusso: 'Trattativa disperata per salvare il Rojava. Non ci arrendiamo'

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Gabriella Colarusso

A tre giorni dall’accordo di Sochi con cui il presidente russo Vladimir Putin e il turco Erdogan hanno ridisegnato la mappa della Siria nordorientale - di fatto spartendo la zona di confine tra le milizie sostenute dalla Turchia e i militari dell’esercito di Assad appoggiati da Mosca - i comandi militari e la diplomazia delle Sdf, le forze democratiche siriane a guida curda, provano a trattare sul destino incerto dei curdi. «L’accordo tra Russia e Turchia non è nell’interesse della nostra gente. Ci sono delle condizioni che accetteremo e altre che non possiamo accettare », ha detto ieri da Qamishli Mazloum Kobani Abdi, il comandante delle Sdf che in questi anni ha guidato le operazioni contro lo Stato Islamico a fianco degli Stati Uniti e che ora chiede a Mosca e Washington di farsi garanti del cessate il fuoco. «La Turchia non sta rispettando la tregua». Fonti curde delle Sdf spiegano a Repubblica che i canali di dialogo sono aperti sia con «i russi che con gli americani. La situazione è molto poco chiara, non condividiamo tutti i tredici punti dell’accordo di Sochi, ci aspettiamo dagli Stati Uniti alcune garanzie». Sul Mar Nero, Putin ha promesso a Erdogan un contingente di soldati russi a sostegno dei militari di Assad per presidiare l’area al di fuori di quella sotto il controllo turco - la "safe zone" compresa tra le città di Tel Abyad e Ras al Ayn, 120 chilometri di estensione e 32 di profondità. I curdi dovranno tenersi a Sud di quella fascia. Le unità di protezione popolare, le milizie Ypg, dovranno smobilitare, ed è possibile che intavolino delle trattative col governo di Assad: secondo l’agenzia di stampa Reuters, che cita fonti curde, potrebbero finire nell’esercito di Damasco, ma a certe condizioni. E il resto della popolazione? Il sogno di costruire una amministrazione e un governo locale autonomi, l’utopia del Rojava, sembra ormai morto, l’opzione del resto non era nemmeno contemplata negli accordi di Ankara con Mosca. Ma in gioco ora c’è sul rischio di una "pulizia etnica" da parte turca, dicono i curdi, e di uno spostamento di massa della popolazione civile. Per questo nonostante il voltafaccia amerciano, la leadership curda continua a insistere sul dialogo con Washington. Ieri Trump, in un altro giro di volta della sua politica in Siria via Twitter, ha detto che i curdi potrebbero spostarsi nelle zone dove ci sono i pozzi di petrolio, più a Sud. «Mi è piaciuta molto la conversazione che ho avuto con il generale Mazloum Abdi. Apprezza quello che abbiamo fatto e io apprezzo quello che i curdi hanno fatto. Forse è tempo per i curdi di iniziare a spostarsi verso la Regione del Petrolio! », ha twittato il presidente americano, anche se non è chiaro a cosa alludesse. I campi petroliferi nell’Est della Siria, Al Omar, Conoco e Al Tanak, sono già sotto il controllo delle Sdf insieme alla truppe americane. Altra cosa è pensare invece di far trasferire la popolazione curda in una zona abitata da arabi in cui non ha mai vissuto. Mentre i comandi militari dialogano con la Casa Bianca, la diplomazia politica curda prova a fare pressioni sul Congresso, già molto critico con Trump per la scelta di ritirare i soldati dalla Siria. Tre giorni fa a Washington è atterrata Ilham Ahmed, co-presidente dell consiglio democratico siriano, l’organo politico delle Sdf. «Combattiamo da anni, continuiamo a inseguire il nostro sogno di una terra unita, dove arabi, cristiani curdi, yazidi possano vivere insieme», ha detto rivolgendosi ai deputati americani. «Ringraziamo le forze americane per aver combattuto con noi contro l’Isis, ma la Turchia sta uccidendo tutto quello per cui abbiamo lottato. Non lasciateci soli».

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