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La Repubblica Rassegna Stampa
19.09.2019 Israele dopo il voto: la disinformazione di Bernardo Valli
che descrive Netanyahu come 'estremista'

Testata: La Repubblica
Data: 19 settembre 2019
Pagina: 1
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «Israele, il passato sulle spalle»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 19/09/2019, a pag.1-34, con il titolo "Israele, il passato sulle spalle" il commento di Bernardo Valli.

Bernardo Valli non si smentisce e descrive Netanyahu come "estremista". Questo consente a Repubblica di tacciare di "estremismo" l'intera Israele. Valli inoltre allude all'assenza di uno stato arabo palestinese, ma non fa cenno al terrorismo e al costante rifiuto di ogni accordo da parte della leadership araba. Il suo commento è perciò un tipico esempio di disinformazione.

Ecco l'articolo:

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Bernado Valli

Gli israeliani hanno espresso con una precisione matematica la loro perplessità. Gli elettori dei due campi a confronto hanno messo nelle urne, il 17 settembre, un identico se non proprio uguale numero di voti per i rispettivi partiti. Non è la prima volta. l continua a pagina 34 l servizi alle pagine 12 e 13 segue dalla prima pagina V otare in certe situazioni non è soltanto scegliere - già di per sé non semplice - un governo di questo o quel colore politico. In un Paese come Israele equivale spesso a puntare sul futuro, in tutte le sue dimensioni, di spazio e di tempo. Quando è in gioco il futuro, una società ebraica sente il passato sulle spalle, e reagisce sotto quel peso, anche se le nuove generazioni non sono sempre, per le loro diverse origini, perfettamente coscienti della storia. Per la seconda volta in cinque mesi Benjamin Netanyahu e Benny Gantz si sono affrontati nelle urne, trascinandosi dietro ognuno un cospicuo pezzo del Paese, e per la seconda volta hanno ottenuto quasi lo stesso risultato. Netanyahu non ha vinto la partita. Questa volta non ha conquistato i seggi indispensabili per restare con certezza primo ministro. La sconfitta gli è più vicina del solito. I trentacinque seggi d’aprile si sono ridotti a trentuno martedì scorso; Gantz dei trentacinque d’aprile ne ha conservati trentadue. Nelle stesse elezioni. Quasi due pareggi che hanno messo entrambi nella posizione di essere incaricati di formare un governo, se hanno gli alleati necessari per arrivare alla maggioranza assoluta in Parlamento. Il presidente Reuven Revlin ha scelto in aprile Netanyahu, che sembrava in quelle condizioni. Dopo qualche settimana l’incaricato ha gettato la spugna, ha sciolto la Knesset e rimandato il Paese alle elezioni. Netanyahu è un giocatore. Questa volta potrebbe avere perso la partita. N etanyahu è stato capo del governo per la prima volta nel 1996. È un veterano del potere. Dopo essere stato un bravo generale, in politica Gantz è invece una recluta. Gli elettori di Netanyahu sono vicini ai partiti di destra, come il suo, il Likud, oppure sono di estrema destra. I coloni israeliani di Cisgiordania sono suoi elettori fedeli. Come i religiosi dei partiti ortodossi. Benny Gantz viene definito invece un uomo di centro e raccoglie molti voti degli elettori di sinistra rimasti orfani dei partiti come il Labour decaduti negli ultimi anni. Non senza una visibile reticenza hanno votato per Gantz anche non pochi arabi israeliani. Il generale ha formato un fronte anti Netanyahu. Prima del voto ha detto: «Noi agiremo per formare un ampio governo d’unione, epressione della volontà popolare». Non ha mai detto che al suo fianco ci saranno ministri arabi. Anche se gli elettori arabi erano stati invitati a votare per il Blu e Bianco, il suo partito. Su questo terreno Netanyahu si è scatenato: il suo obiettivo, ha dichiarato più volte, è creare un governo “sionista forte”. In piedi su una cassa rovesciata nella stazione degli autobus di Gerusalemme, durante un comizio improvvisato, ha scandito: «Non faremo mai un governo con arabi antisionisti che negano perfino l’esistenza di Israele in quanto paese ebreo e democratico». Era un’accusa implicita all’avversario, anche se Gantz si è ben guardato dall’esporre un progetto del genere. Il leader del partito laico che raccoglie molti ebrei russi, Avigdor Lieberman, un vecchio alleato di Netanyahu trasformatosi in un suo avversario, avrà un ruolo importante nella formazione del nuovo governo. Ha conquistato nella recente elezione una decina di deputati, il doppio di quelli che aveva. Gli saranno preziosi per contribuire alla maggioranza. Egli punta a un governo di unione nazionale, del quale dovrebbero far parte il Blu e Bianco del generale Gantz, il russo-laico di Lieberman e il Likud di Benjamin Netanyahu. Ma soltanto il Likud, il partito, non lui, Netanyahu. Al quale non dovrebbe essere affidato neppure un modesto ministero. Nei prossimi giorni, o settimane, le trattative per il nuovo governo potrebbero diventare una consultazione per estromettere Netanyahu dal governo. E dalla vita politica poiché la giustizia indaga su di luie potrebbe incriminarlo per frode, corruzione e abuso di potere. Netanyahu ha lanciato molte iniziative durante la campagna elettorale, giudicata una delle più violente dalla nascita dello Stato di Israele. In particolare ha annunciato la sua intenzione di annettere la Valle del Giordano e tanti altri luoghi della Palestina (ha parlato anche di Hebron), senza consultare le autorità palestinesi di Ramallah. A parte questi importanti annunci Netanyahu non ha parlato del destino della Cisgiordania, dove vivono due milioni di palestinesi e circa mezzo di coloni israeliani. Non ne ha parlato neppure il generale Gantz, limitandosi a promettere che ne manterrà il controllo. Nessuno parla più di Palestina come futura nazione. È diventata un’ombra.

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