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La Repubblica Rassegna Stampa
18.06.2019 L'Iran minaccia il mondo con il nucleare: ultimatum di 10 giorni
La disinformazione di Bernardo Valli & rassegna di titoli

Testata: La Repubblica
Data: 18 giugno 2019
Pagina: 1
Autore: Bernardo Valli
Titolo: «L’ultimatum dell’Iran 10 giorni per evitare un nuovo conflitto»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/06/2019, a pag. 1-11, con il titolo "L’ultimatum dell’Iran 10 giorni per evitare un nuovo conflitto", il commento di Bernardo Valli.

A destra: Iran nucleare, lavori in corso

Il CORRIERE della SERA titola, a pag. 12, "Dieci giorni: l'ultimatum dell'Iran alla Ue". Il FATTO QUOTIDIANO fa peggio, titolando a pag. 20, "Iran: il sogno atomico. Nucleare, dieci giorni per evitare il disastro". In questo modo il Fatto spinge per trovare un accordo che salvi le buone relazioni e gli scambi dell'Europa con il regime degli ayatollah. Anche il SOLE24ORE partecipa al festival dei titoli fuorvianti, a pag. 25, con "L'Iran aumenta la pressione: pronti a violare i limiti sulle riserve di uranio". Più che di "aumento della pressione" si dovrebbe scrivere di manovra criminosa di Teheran per ottenere in breve tempo armi nucleari e continuare le guerre di conquista che già conduce - attraverso il sostegno a gruppi terroristi dallo Yemen a Gaza, dal Libano alla Siria - in tutto il Medio Oriente.

AVVENIRE titola invece correttamente, a pag. 17: "L'Iran riaccende la minaccia nucleare", riconoscendo nel regime sciita l'aggressore.

Bernardo Valli si scatena oggi contro gli Stati Uniti e prende le difese del sanguinario regime degli ayatollah. L'intera responsabilità della tensione degli ultimi giorni viene attribuita alla più grande democrazia del mondo, mentre l'Iran viene fatto passare per una vittima innocente. Valli scrive di "decisione americana di rompere l’accordo"e di "voltafaccia di Trump", ignorando che fin dal primo giorno dopo gli accordi del 2015 sul nucleare l'Iran non ha rispettato gli impegni presi. Un articolo di completa disinformazione in stile "Pravda", in italiano si legge "Repubblica"

Ecco il pezzo di Bernardo Valli:

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Bernardo Valli

In fatto di guerre il Medio Oriente è un terreno fertile. Al punto che una crisi politica in quella regione può essere letta, sia pur con una punta di pessimismo, come il possibile preludio a un nuovo conflitto. Un conflitto vero. Lo fa pensare la tensione tra l’Iran e gli Stati Uniti che si è aggravata nelle ultime ore. Il portavoce degli ayatollah, Behruz Kamalvandi, ha lanciato un vero ultimatum. Ha annunciato che Teheran non ridurrà il suo programma nucleare, come previsto dall’accordo di Vienna del luglio 2015, se i paesi firmatari non daranno «segnali positivi per la sua applicazione». È un appello rivolto agli europei sottoscrittori di quel patto affinché dissineschino l’ostilità di Trump nei confronti di Teheran. Il portavoce iraniano ha altresi precisato che le riserve di uranio arricchito supereranno i limiti fissati dall’intesa di quattro anni fa, vale a dire i trecento chili, se entro dieci giorni, prima del 27 giugno, le richieste iraniane non saranno accolte. Si tratta appunto di un ultimatum autentico. Gli ayatollah l’avevano già lanciato l’8 maggio e l’avevano indirizzato ai governi che (oltre a quello degli Stati Uniti) figurano tra i partecipanti all’accordo del 2015. In sostanza chiedevano e chiedono ancora a Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania (membri del gruppo 5+1) di aiutarli ad annullare le sanzioni ristabilite da Washington dopo la decisione americana di non rispettare il patto. Ma cinesi, russi ed europei non hanno raccolto finora quegli inviti seriamente. Hanno lasciato che la tensione diventasse una crisi cronica.

 

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In seguito alla decisione americana di rompere l’accordo, non condivisa dai paesi europei, né dalla Cina né dalla Russia, Teheran aveva subito deciso, nel caso fossero mantenute le sanzioni ripristinate da Trump, di non assolvere due impegni presi nel 2015: quelli che dovrebbero limitare le sue riserve d’uranio arricchito a trecento chili ed anche quelle d’acqua pesante a centotrenta tonnellate. Rinnegando l’accordo il presidente americano ha interrotto, per quanto riguarda gli Stati Uniti, un meccanismo che prevedeva da un lato il controllo del programma nucleare iraniano e dall’altro il progressivo ritiro delle sanzioni economiche. Questo ha consentito di mettere fine ad anni di isolamento del regime degli ayatollah. I quali hanno accettato in cambio di limitare drasticamente il loro programma nucleare che avrebbe dovuto dotare il paese dell’arma atomica. L’ultimatum di dieci giorni lanciato da Teheran è adesso la chiara risposta al voltafaccia di Trump. Ma esso è rivolto anche agli europei, invitati a intervenire per convincere gli americani a ritirare le sanzioni economiche. Mohammad Javad Zarif, il ministro degli esteri iraniano, ha alzato di recente il tono quando ha avvertito gli Stati Uniti che la loro sicurezza nella regione non era garantita se imponevano «una guerra economica» alla Repubblica islamica. E ha comunque escluso un dialogo con gli americani prima che Washington faccia delle concessioni, vale a dire che rinunci alle sanzioni. La crisi coinvolge i principali paesi del Medio Oriente e impegna anche quelli europei firmatari dell’accordo del 2015. Contro l’Iran sciita si è formata un’alleanza di fatto tra i paesi sunniti. Non tutti. La Turchia si tiene in disparte. L’Egitto ha i suoi problemi interni. Quella sunnita è un’alleanza disordinata, inquinata da innumerevoli discordie, che gli Stati Uniti di Trump cercano di tenere insieme e di renderla operativa. La Siria, dove a Damasco governa l’alawita Assad, parente degli sciiti, è stata a lungo, ed è ancora in parte, il terreno di scontro. E Israele è un importante alleato di fatto del fronte sunnita, in funzione anti-iraniana. Il recente riconoscimento americano dell’annessione israeliana delle alture del Golan, occupate durante la guerra del ’67, è stato considerato come un regalo di Trump a Israele e un’umiliazione inflitta alla Siria. L’avvenimento avrebbe provocato un tempo la collera araba per la cessione di un territorio arabo allo Stato ebraico. Oggi le passioni sono mutate: prevale lo scontro sciiti—sunniti. Per riconoscenza il primo ministro Netanyahu ha dedicato una località del Golan all’amico Trump. Nello Yemen imperversa già una guerra. L’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, e in buoni, interessati rapporti con Israele, è impegnata in un conflitto contro comunità (degli Houthi) sostenute dagli iraniani. Le vittime si contano a centinaia di migliaia. Spesso si tratta di bambini sorpresi nei villaggi da bombardamenti aerei. L’esercito saudita è sostenuto da un’aviazione in larga parte americana. Anche se non mancano apparecchi forniti dall’industria aerea francese. Nicholas Kristof si chiede, sul New York Times , se gli Stati Uniti stiano andando verso una guerra con l’Iran.

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