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La Repubblica Rassegna Stampa
09.06.2019 Trump convince il Messico senza l'uso della forza
Ma a Federico Rampini non basta, Trump non ha mai ragione

Testata: La Repubblica
Data: 09 giugno 2019
Pagina: 13
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Trump piega il Messico, stop ai dazi, ma militari al confine»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/06/2019, a pag.13 con il titolo "Trump piega il Messico, stop ai dazi, ma militari al confine" il commento di Federico Rampini

Trump non ha mai ragione, Rampini non fa eccezione. Mai che gli venga in mente di ricordare che è proprio dal confine con il Messico che entra negli Stato Uniti il 90% della droga. Fermare quel mercato non è un fattore secondario rispetto all'entrata dei migranti clandestini. La previsione dei militari che all'ordine di Trump avrebbero sparato contro i 'pacifici invasori' - così annunciavano i media- si è ancora una volta rivelata una bufala. Se c'è un capo di stato a cui non piace la guerra - anche quando si rendesse necessaria- è proprio Trump. Meglio ignorarlo, vero Rampini?

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Dopo tre anni di prese in giro di Trump per i suoi capelli,
neanche una riga per la 'permanente' di Rampini?

«I dazi contro il Messico che dovevano entrare in vigore da questo lunedì sono sospesi a tempo indeterminato. In cambio il Messico accetta di prendere misure forti per fermare la marea di migranti verso il nostro confine meridionale». Il tweet di Donald Trump annuncia che la guerra commerciale col vicino del Sud è rientrata. È anche un proclama di vittoria, che viene confermato dalle autorità messicane. Non scatta quell'escalation di dazi che dovevano cominciare dal 5% e arrivare fino al 25%, per "punire" il mancato controllo dei flussi migratori. In cambio il presidente di sinistra Andres Manuel López Obrador (abbreviato in Amlo) fa concessioni sostanziali. Aralo mobilita la sua Guardia Nazionale al confine col Guatemala per bloccare gli ingressi di chi vuole raggiungere gli Stati Uniti. Inoltre accetta di rafforzare un piano chiamato Migrant Protection Protocol: questo consente agli Stati Uniti di ri-trasferire sul territorio messicano una parte dei richiedenti asilo che ne provengono; può significare che decine di migliaia di migranti verranno "parcheggiati" in Messico anziché rimanere nei centri di detenzione Usa. Trump canta vittoria perché la sua minaccia sembra avere funzionato, anche se i metodi usati gli hanno attirato critiche negli Stati Uniti. Molte aziende americane erano in allarme, poiché parte delle loro produzioni sono delocalizzate a Sud del Rio Grande-Rio Bravo, da quando il Messico è entrato a far parte del mercato unico nordamericano (col Trattato Nafta firmato 25 anni fa da Bill Clinton). L'allarme per il rischio di una guerra commerciale aveva provocato anche una fronda in seno al partito repubblicano, dove diversi parlamentari si opponevano alla ratifica dei dazi annunciati da Trump. Non ce n'è stato bisogno. Tuttavia la minaccia è soltanto sospesa. Il presidente americano infatti ha precisato che i dazi potrebbero scattare in futuro, qualora il Messico non mantenga le promesse. L'accordo annunciato fra Trump e Aralo arriva al termine di quella che la Casa Bianca ha definito una «emergenza al confine». Anche se il flusso di richiedenti asilo e migranti economici fu molto più elevato durante gli otto anni di George W. Bush, è vero che negli ultimi due mesi c'è stata un'impennata nei numeri di attraversamenti al confine (circa centomila al mese). La stragrande maggioranza non sono messicani bensì provengono da Guatemala, Honduras, El Salvador. Il Messico dunque si ritrova in una posizione paragonabile a quella della Turchia in Europa. Ciò che Trump chiede al suo omologo è simile a quanto l'Unione europea ha concordato con Erdogan: bloccare il transito. Se tra Ue e Turchia è stato concordato un pagamento, l'accordo Usa-Messico viene dopo una minaccia di sanzio *** ni. Funzionerà? Non mancano gli scettici, i quali ricordano che in passato la mobilitazione della Guardia Nazionale messicana ebbe effetti limitati sui flussi migratori (anche per la diffusa corruzione). Un altro dubbio riguarda le condizioni dei Paesi di partenza. Ai tempi di Bush la maggioranza dei migranti erano messicani; quell'esodo si è quasi estinto grazie al miglioramento della situazione economica in Messico. In Guatemala, Honduras, El Salvador, non ci sono segnali di uno sviluppo economico analogo a quello messicano. Trump rischia di peggiorare la situazione visto che di recente ha tagliato gli aiuti a quei Paesi. L'accordo con Amlo può servire comunque a Trump per cantare vittoria, almeno momentaneamente. Distoglie l'attenzione dal fatto che si è arenata l'altra misura su cui il presidente Usa aveva giocato la sua immagine: la costruzione (o meglio il prolungamento) del Muro al confine Sud. Su quel fronte è quasi tutto fermo. La Camera dei deputati, controllata da una maggioranza democratica, ha negato alla Casa Bianca i fondi per il Muro. Trump ha aggirato l'ostacolo dichiarando uno stato di emergenza al confine in modo da poter attingere da altre partite del bilancio federale. Ma anche quella manovra è stata bloccata, per adesso, da una serie di ricorsi presso la magistratura (è probabile che la questione arrivi alla Corte suprema). Nell'immediato il cessato allarme sui dazi sgombra il campo da una preoccupazione economica seria. Il Messico rischiava di essere tassato su 350 miliardi di dollari annui di esportazioni, con conseguenze pesanti sia sulla sua economia sia sulle tante imprese nordamericane (nonché europee, giapponesi, coreane, cinesi) che assemblano prodotti nelle maquiladoras vicine al confine, per poi venderli sul mercato Usa. La prospettiva di un nuovo fronte protezionista — in aggiunta al braccio di ferro con la Cina — si aggiungeva ad altri segnali preoccupanti: venerdì è uscito un dato deludente sulla creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti.

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