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La Repubblica Rassegna Stampa
18.02.2019 La Repubblica dell'era post-Calabresi comincia male: un titolo espressione di giornalismo incompetente e fazioso
E un commento di plauso totale a Federica Mogherini di Roberto Castaldi

Testata: La Repubblica
Data: 18 febbraio 2019
Pagina: 1
Autore: la redazione di Repubblica - Roberto Castaldi
Titolo: «Israele verso il voto e la sfida del generale Benny a Netanyahu - Tutti i meriti di Mogherini»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 18/02/2019, a pag.1 il titolo "Israele verso il voto e la sfida del generale Benny a Netanyahu"; a pag. 24, con il titolo "Tutti i meriti di Mogherini", il commento di Roberto Castaldi.

A destra: il titolo sulla prima pagina di Repubblica

In prima pagina la Repubblica  ha oggi un titolo mal fatto e tendenzioso, espressione di giornalismo incompetente. Nel titolo si fronteggiano Benjamin Gantz e Benjamin Netanyahu: mentre il primo però è nominato con il diminutivo, il secondo è citato con il cognome. In questo modo chi legge entra immediatamente in relazione di maggiore intimità e empatia con Gantz, mentre nei confronti di Netanyahu mantiene le distanze.

Non riprendiamo invece il ritratto di Benny Ganz che segue al titolo.

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Benny Ganz con Bibi Netanyahu

Roberto Castaldi: "Tutti i meriti di Mogherini"

Repubblica  plaude a 360 gradi a Federica Mogherini, sorvolando completamente sulla sua linea sul Medio Oriente, su Israele e soprattutto sull'accordo voluto con l'Iran degli ayatollah, che ha sdoganato un regime criminale e terrorista permettendogli di intensificare la corsa al nucleare. Niente di tutto questo viene citato, mentre viene lodata Mogherini come esempio di "stratega globale". Un encomio fuori posto che non avrebbe bisogno di essere neanche commentato.

Ecco il pezzo:

Immagine correlata
Federica Mogherini

In Italia sono di moda autocommiserazione e atteggiamenti nazionalisti di fronte a critiche del tutto legittime e oblio dei successi colti sul piano europeo: da ultimo Renzi ha attaccato Mogherini che avrebbe fallito come Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza e vicepresidente della Commissione. Così domina una narrazione di un’Europa a guida tedesca, ma sono italiani il presidente della Bce Draghi, del Parlamento europeo Tajani, mentre il presidente del Consiglio europeo è il polacco Tusk, e quello della Commissione il lussemburghese Juncker. Al contrario, Mogherini — a differenza di Lady Ashton prima di lei — ha conseguito importanti successi, su cui nessuno avrebbe scommesso a inizio legislatura, nonostante i propri limitati poteri dato che la politica estera, di sicurezza e di difesa sono ancora essenzialmente nelle mani degli Stati membri. Il più citato è l’accordo sul nucleare iraniano, ma i maggiori successi sono altri, meno attesi. Mogherini è riuscita a far approvare la "Strategia globale", che ha sostituito l’ormai obsoleto documento Solana. La nuova dottrina strategica europea prende atto di un mondo molto più pericoloso e instabile che in passato, in cui l’importanza dell’integrazione in materia di politica estera, di sicurezza e difesa è maggiore. Ha cambiato radicalmente la prospettiva, valorizzando il suo cappello di vicepresidente della Commissione, oltre a quello intergovernativo di Alto Rappresentante. Il suo primo atto fu lo spostamento dell’ufficio dal Palazzo del Servizio per l’Azione esterna, al Berlaymont, la sede della Commissione. Si trattava solo di attraversare una piazza, il rondò Schuman, ma simbolicamente era il Rubicone. Grazie a questo, e sfruttando con coerenza la Global Strategy, Mogherini è riuscita per la prima volta a far giocare un ruolo alla Commissione europea in materia di difesa. Prima con l’invenzione del Fondo europeo per la difesa, con cui per la prima volta dei fondi Ue vengono destinati alla difesa, ed erogati maggiormente ai progetti di collaborazione militare realizzati nel quadro della Cooperazione strutturata permanente sulla difesa (Pesco). Fino ad allora la Pesco, introdotta dal Trattato di Lisbona, era una possibilità giuridica mai utilizzata, e su cui gli Stati membri sembravano aver messo una pietra sopra. Sfruttando la Brexit, che faceva de facto cadere il veto britannico sull’integrazione in materia di difesa, e grazie al Fondo europeo per la difesa, Mogherini è riuscita a far partire la Pesco. Non solo, ma lo ha fatto coinvolgendo 25 Stati membri in 16 diversi progetti comuni (4 dei quali a guida italiana). Sia chiaro, la Pesco non è l’embrione di una difesa o di un esercito europeo, ma è il primo passo concreto in quella direzione dalla caduta del progetto di Comunità europea di difesa, nel 1954. Che un ex presidente del Consiglio non se ne renda conto dice molto della sua reale attenzione ai temi europei, ma anche della scarsa attenzione pubblica verso la politica europea, estera e di difesa, pure usate polemicamente a fini elettorali. Dall’integrazione nella difesa, l’Italia ha tutto da guadagnare. Sarebbe utile esserne consapevoli e metterlo a frutto. Perché la nostra sicurezza passa dall’unità politica dell’Unione e dalla sua capacità di diventare un attore globale.

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