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La Repubblica Rassegna Stampa
06.01.2019 Palestina: La Repubblica, la versione attuale dell'Unità di Togliatti
Commento di Gigi Riva

Testata: La Repubblica
Data: 06 gennaio 2019
Pagina: 26
Autore: Gigi Riva
Titolo: «Palestina, il calcio è un viaggio verso la pace»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 06/01/2019, a pag.28 con il titolo "Palestina, il calcio è un viaggio verso la pace" il commento di Gigi Riva

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Come trombettiere delle menzogne palestiniste, Gigi Riva merita un Oscar. Qui non si tratta di ignoranza della Storia, quanto l'uso del tema calcio per diffamare Israele. La Repubblica, anche se in comproprietà, è ancora targata famiglia De Benedetti, è vero che business is business, ma dovrebbe esserci  un limite all'indecenza, oltre a tutto la tiratura cala di giorno in giorno.
L'odio che Riva diffonde con i suoi commenti è evidentemente condiviso dalla proprietà oltre  che dalla direzione.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere a Repubblica la loro opinione, un giornale che sembra ormai la copia aggiornata dell'UNITA' di Togliatti. Torna alla mente la definizione di 'trinariciuti', che si adatta perfettamente a chi legge Repubblica.

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Gigi Riva

Quando, oggi alle 17.30, la Palestina scenderà in campo contro la Siria al Sharjah Stadium, Emirati Arabi Uniti, per la sua prima partita del girone B della Coppa d'Asia di calcio, avrà compiuto la prima parte di un lungo, accidentato e però ostinato cammino. La nazionale dello Stato che non c'è ha dovuto attraversare peripezie di ogni tipo per superare le qualificazioni, presentarsi nel consesso internazionale e sventolare la propria bandiera. E non si tratta di ostacoli sportivi, quelli sono i meno, ma dell'intrinseca difficoltà di fare sport sotto occupazione, ben documentata nel film "YallahlYallah" dei registi argentini Fernando Romanazzo e Cristian Pirovano, presentato per la prima volta in Italia al cinema Beltrade di Milano dopo aver già ricevuto diversi premi internazionali. La pellicola segue sette personaggi palestinesi: calciatori, allenatori e dirigenti che, ogni giorno, devono affrontare i problemi burocratici legati all'occupazione militare per poter esercitare il loro sport. Un'immersione nel football che simboleggia le angustie patite in realtà da tutta la popolazione. Atleti che non possono raggiungere il campo di allenamento perché bloccati con qualche pretesto a un check-point. Alcuni, e tra i meglio dotati, addirittura arrestati a ridosso di partite decisive per i destini sportivi della selezione. Altri impossibilitati a viaggiare da Gaza alla Cisgiordania e viceversa, le due fette di territorio in cui sono divisi i palestinesi. Funzionari perennemente alle prese con i visti che le autorità israeliane concedono a capriccio quando si tratta di andare all'estero per i match. Allenatori bloccati al confine per gli stessi motivi. Il tutto punteggiato dalle immagini eloquenti del pallone che rotola tra i piedi dei ragazzini, a ridosso del muro di separazione, sotto gli occhi di militari con le armi in pugno, nella sintesi metaforicamente potente di un calcio che tanto assomiglia alla guerra. E sopra tutto questo, tuttavia, l'enorme passione impossibile da spegnere che spinge gli atleti a superare tutte le traversie pur di giocare. La gioia genuina dei tifosi sugli spalti dove, come fa notare Fernando Romanazzo, «non esiste astio tra supporter di club rivali ma grande rispetto, cosa impensabile nel mio Paese, l'Argentina». C'è talmente tanta violenza fuori che non entra negli stadi, come se questi fossero stati battezzati come il luogo dove finalmente provare solo gioia. Da tempo i palestinesi hanno compreso che il calcio può essere un potente mezzo massmediatico per propagandare il sogno di un loro Stato. Non per caso dal 2006, l'anno zero del calcio palestinese, il presidente della Federazione è un personaggio politicamente potente come Jibril Rajoub, nome di battaglia Abu Rami, 65 anni e 18 dei quali passati nelle carceri israeliane, già responsabile dei servizi di sicurezza di Yasser Arafat e figura di spicco del movimento da lui fondato, Fatah. Non era un appassionato di calcio. Ha dichiarato: «Quando sono stato eletto ho cominciato a studiare un mondo che non conoscevo. E ho capito che ci può essere molto utile. Il calcio ci può aiutare a esportare la nostra causa e dobbiamo educare i giovani coni valori dello sport. È il modo migliore per lottare contro la più lunga occupazione della storia contemporanea. Attraverso lo sport possiamo gridare: basta guerre e sofferenza per la Palestina».

Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


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