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La Repubblica Rassegna Stampa
04.04.2018 Sulla Repubblica una pagina sui profughi clandestini in Israele e due righe sulle parole fondamentali di MbS
Il pezzo è di Marco Ansaldo

Testata: La Repubblica
Data: 04 aprile 2018
Pagina: 10
Autore: Marco Ansaldo
Titolo: «'Chi si fida più ora?' È il triste risveglio dei profughi d’Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 04/04/2018, a pag. 10, con il titolo "'Chi si fida più ora?' È il triste risveglio dei profughi d’Israele", il commento di Marco Ansaldo.

Il commento di Marco Ansaldo e soprattutto il titolo descrivono Israele come responsabile della situazione di migliaia di profughi sudanesi ed eritrei. Israele, invece, non fa che fronteggiare l'emergenza emigrazione clandestina  come qualsiasi altra democrazia occidentale, cioè cercando un compromesso tra fermezza e accoglienza.

La Repubblica, invece, non dedica neanche un articolo ma solo poche righe alle importanti dichiarazioni di Mohammed bin Salman, riportate da IC oggi in altra pagina, che aprono nuovi scenari in Medio Oriente. Forse perché le parole di MbS avvicinano l'intesa delle forze moderate e pragmatiche in Medio Oriente contro l'espanzionismo iraniano? La risposta è positiva.

Ecco l'articolo:

 

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Marco Ansaldo

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Profughi in Israele

«Bella Italia. Voglio venire » . Nella bettola chiamata “Ristorante sudanese” davanti ai giardini di Neve Shanan, il quartiere più povero a sud di Tel Aviv, gli avventori sono tutti d’accordo. Non ce n’è uno che non sia scappato dal regime del presidente Omar al- Bashir, condannato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Perciò quando l’altra sera la comunità africana si è riunita davanti alla tv per l’annuncio del premier israeliano Benjamin Netanyahu su un accordo con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, avente Roma come destinazione con Berlino e Ottawa, applausi e abbracci si sono sprecati. Il gelo è arrivato ieri mattina, quando nel sedersi a tavola, Alena, fuggita da Khartoum, ha saputo prima della marcia indietro, poi della cancellazione dell’intesa. « Ho ascoltato con attenzione i commenti – guarda ora Netanyahu dire in tv, dove il premier è venuto ad ascoltare nel quartiere accanto i residenti israeliani arrabbiati perché il compromesso prevede che gli oltre 20 mila profughi non compresi dall’intesa rimangano qui – ho riesaminato vantaggi e mancanze, e ho deciso di annullare l’accordo». Alena non sa quasi più che dire. « Chi si fida più ora? Un giorno ti dicono una cosa, il giorno dopo il contrario. Il pensiero di poter ricevere dal governo un permesso di lavoro, un impiego, e potermi così trasferire dalla stanza dove abito con altre due donne, mi attirava. E anche quello di andare in Italia o in Germania. Invece, tutto come prima». Neve Shanan è il quartiere più problematico di Tel Aviv: scritte in lingua tigrina, case spoglie, saracinesche mezzo abbassate. I magazzini abbandonati sono stati convertiti in chiese, frequentate dagli eritrei cristiani. Qui vivono i 15 mila migranti sudanesi ed eritrei che in gran parte avrebbero lasciato Israele per Italia, Germania e Canada, secondo l’incauto annuncio che Netanyahu ha dovuto rimangiarsi nel giro di poche ore, attaccato dalla destra, dalla grande stampa, e travolto dal malcontento dei residenti nei quartieri meridionali. Gli stessi che si è affrettato a incontrare al mattino, rassicurandoli dopo la repentina inversione a U scritta la notte sulla sua pagina Facebook. Ma Nathaniel, migrante eritreo seduto sullo spiazzo davanti alla stazione dei bus, ha un dubbio: «Voglio sapere per iscritto se ci arresteranno o se ci manderanno in Ruanda o Uganda per tornare da chi ci ha cacciato » . Perché l’accordo iniziale – un pasticcio, come ora è evidente – prevedeva che una parte dei profughi fosse riportata in Africa, ma in zone più sicure rispetto ai regimi eritreo e sudanese. Ipotesi a cui si sono ribellati non solo intellettuali come Grossman, Oz e Yehoshua, ma pure i piloti della El Al, rifiutatisi di essere i conduttori di «una deportazione». Michael Teklit, 29 anni, eritreo, è arrivato qui una decina di anni fa. « A febbraio il governo ci ha offerto 3.500 dollari e un biglietto aereo per una destinazione sicura. Poi all’immigrazione ci è stato detto che avremmo dovuto scegliere fra Ruanda o Uganda, oppure essere messi in prigione. Tanta gente ha perso la speranza». Nel vicino quartiere di Florentin, a ridosso di Jaffa, i residenti israeliani si riuniscono dopo le proteste contro il piano organizzate pure a Gerusalemme e a Haifa. Dice Arie, un uomo massiccio i cui genitori venivano dalla Spagna e che si prepara a vedere il match di Champions, Real Madrid- Juventus: « Qui entro cinque anni butteranno giù tutto e saranno tirati su alberghi e nuove case. A Tel Aviv circolano molti soldi, gli affari di giorno, i divertimenti la sera. Niente sarà più come prima, presto anche questa gente non ci sarà più».

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