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La Repubblica Rassegna Stampa
28.01.2017 Chiedere scusa a George Orwell
Inizia Adam Gopnik, altri lo seguiranno?

Testata: La Repubblica
Data: 28 gennaio 2017
Pagina: 25
Autore: Adam Gopnik
Titolo: «Caro Orwell, adesso ti chiedo scusa»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 28/01/2017, a pag.25, con il titolo "Caro Orwell, adesso ti chiedo scusa " l'articolo di Adam Gopnik.

 

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la copertina             Adam Gopnik

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 George Orwell

George Orwell subì l'ostracismo della cultutua di sinistra europea, anche italiana, negli anni '50 e '60, allora di stretta ubbidienza comunista. Orwell descriveva un futuro dominato da una dittatura, facilmente individuabile in un partito comunista dominatore del mondo. Conosceva bene l'Urss, ma raccontarlo significava essere classificati come fascisti. Un'accusa che gli rimase appiccicata fino alla morte. Ma i lettori erano dalle sua parte, i suoi libri -1984 per primo- erano letti in tutto il 'mondo libero', come usava dire in quegli anni dei paesi non schiavizzati dalle dittature comuniste.
Adam Gopnik lo ricorda a modo suo, ma ciò che importa oggi è il suo 'mea culpa', in quegli anni non era nemmeno nato, l'ideologia marxista lo influenzò in ogni caso anche dopo. Ci saranno altri Gopnik pronti a chiedere scusa ? Vedremo. Intanto 1984 è ancora un best seller e questo consola. Basta sostituire comunismo con islam, per capire quanto sia ancora attuale.

Ecco l'articolo:

Temo di dover fare una confessione terribile: non sono mai stato un grande entusiasta di 1984 di George Orwell. Nelle sue proiezioni dal presente al futuro, mi è sempre sembrato troppo perfetto e studiato, un po’ carente rispetto a quelle rappresentazioni irreali che cerchiamo nella letteratura distopica. Come fece notare tanto tempo fa lo scrittore britannico Anthony Burgess, l’inferno moderno di Orwell in sostanza era una riproduzione della miseria in Gran Bretagna negli anni di razionamento del dopoguerra. Con l’aggiunta di una malvagità da stato di polizia stalinista. L’altro classico che si legge al primo anno delle superiori, Il mondo nuovo di Aldous Huxley — nel quale in una società ferocemente e profondamente non egualitaria persiste un’attività ininterrotta legata al sesso e alle sostanze stupefacenti —, mi sembrava di gran lunga più profetico, come pure ogni opera di Philip K. Dick che proiettava le nostre bizzarre ossessioni americane per l’intrattenimento molto più in là, in un futuro ancora più bestiale, nel quale Ken e Barbie sarebbero stati adorati alla stregua di divinità. Al confronto, quando immaginava il rapporto tra stato autoritario e cittadini indifesi, 1984 sembrava troppo disumano, troppo atavico, troppo limitato. Le scuse affiorano spontanee alle labbra, tenuto conto che il libro di Orwell continua a scalare, come è opportuno che avvenga, le classifiche di Amazon: era di gran lunga meglio e più brillante di quanto i bei tempi in passato ci permettessero di supporre. A farmi cambiare opinione, naturalmente, è stata la presidenza di Donald Trump. E questo perché ciò che in assoluto colpisce di più della sua impareggiabile prima stravagante settimana è quanto primitivo, atavico, esplicitamente brutale si sia rivelato essere l’autoritarismo targato Trump. Per saggiarne la qualità dobbiamo ritornare a 1984 perché, in verità, dobbiamo tornare al 1948. Non vi è nulla di inafferrabile nel comportamento di Trump: egli mente, ripete la balla, e chi l’ascolta o si accuccia spaventato, balbettando incredulo, oppure cerca di capire in che modo ribaltare la menzogna per il proprio tornaconto. Le menzogne di Trump, e il suo impulso a dirle, sono rozzezza da Grande Fratello allo stato puro, a prescindere da quanto siano zoticamente articolate. Non sono trabocchetti e tentazioni post-moderne: sono soltanto primitivi sfottò e sopraffazioni da cortile di scuola. Il cieco e palese disprezzo della verità ci è offerto senza neppure una sottile patina glassata di facciata, senza l’edulcorante di una certa gradevolezza di temperamento o di moderazione o di rappresentanza — non con il bagliore di un consenso arrendevole, ma con il timbro arcaico della rabbia, dell’arroganza, e della rivalsa. Trump è l’essere rabbioso autoritario allo stato puro. Di conseguenza, rileggendo Orwell, ci viene rammentato quello che l’autore aveva correttamente presagito riguardo all’autoritarismo bestiale — in sostanza il fatto che esso si basa su menzogne dette spesso e a tal punto ripetute che combatterle diventa non soltanto più pericoloso, ma addirittura più logorante che ripeterle. Orwell vide, e va a suo merito, che distorcere la realtà è solo in un secondo tempo un modo per cambiarne la percezione: distorcere la realtà è prima di ogni altra cosa un modo per affermare il proprio potere. Quando ripete la ridicola storia dei tre milioni di elettori clandestini — faccenda di cui nessuno è a conoscenza tra chi sa queste cose, e nella quale non credono neppure uno degli impiegati della Casa Bianca e nemmeno uno dei rappresentanti repubblicani al Congresso — , a Trump non interessa affatto se qualcuno ci crede, anche se, a un certo livello di follia, lui ci crede. Più o meno. Non è previsto che la gente debba crederci, ma che ne sia intimidita. La menzogna non è una dichiarazione su fatti specifici; la follia è una sfida deliberata all’idea più generale di sanità mentale stessa. Una volta che una bugia così grossa inizia a circolare, cercare di riportare il dibattito nell’ambito della logica diventa irrealizzabile. Nel frattempo, i repubblicani al Congresso, del tutto intimoriti e in soggezione, con gli occhi che sprizzano lucida paura da un lato e avidità dall’altro, sfrutteranno la “questione” dei brogli elettorali per perseguire politiche che soffochino gli elettori delle minoranze. È risaputo che Caligola, l’imperatore pazzo di Roma, nominò senatore il suo cavallo Incitatus, gesto che da millenni a questa parte è diventato per antonomasia il simbolo di un’azione dispotica da squilibrati. Adesso, però, sappiamo che cosa accadrebbe qualora Caligola nominasse il suo cavallo senatore se al Senato la maggioranza fosse formata dal moderno partito repubblicano: i repubblicani prima direbbero di non aver voluto interferire ed essere coinvolti nelle discussioni sulle scelte personali dell’Imperatore, e in un secondo tempo passerebbero subito a prendere in considerazione in che modo la presenza del cavallo potrebbe aiutarli a legittimare lo smantellamento delle regolamentazioni nel settore dei trasporti con calessi trainati da cavalli. La follia dell’Imperatore e il ladrocinio dei senatori sono un’accoppiata perfetta. A cominciare da questa settimana, dunque, è di vitale importanza che chiunque voglia mantenere la propria salute mentale capisca che le cose stanno così — che si tratta di una falsa credenza che la ragione, come è normalmente intesa, possa influire su questo processo, o che possano farlo le “conseguenze”, così come sono anch’esse normalmente intese. Ogni volta che in un’ideologia irragionevole è radicata una svolta autoritaria, le persone benintenzionate sosterranno che quella situazione non potrà durare a lungo, perché i risultati saranno palesemente negativi per le persone che credono in essa, che si tratti della rivoluzione teocratica in Iran o della prima Amministrazione veramente assolutista in America. È tragico, è terribile, ma non accade mai che le cose vadano così. Dal punto di vista politico, a Trump non costa nulla essere considerato incompetente, impulsivo, superficiale, inconsistente e sdegnoso della verità e della ragione. Sono queste le sue politiche. È così che è arrivato al potere. La sua base ama la sventatezza, l’incompetenza e il disprezzo della ragione perché la sanità di mente, la competenza e la paziente raccolta di prove sono cose che permettono alla gente istruita di fingere di essere superiore. Il risentimento arriva prima della ragione. Ora ci rendiamo conto che gli intellettuali conservatori condividono questi rancori più profondamente di quanto valutino le prassi razionali. E se fossero costretti a scegliere, anteporrebbero sempre il demagogo ai dimostranti. Sul versante positivo, beh, ci sono state le marce delle donne dello scorso fine-settimana, che hanno riempito di speranza il cuore di chiunque abbia un briciolo di senno. Le nostre menti si sentono ispirate da slogan semplici, che non spiegano le cose in modo semplicistico. L’unione è l’unica cura contro la catastrofe. L’azione è l’unico antidoto alla rabbia. Se vi sembrano un po’ simili alle esternazioni sommesse di Winston in 1984 — quando scrive di nascosto, per esempio, che la sanità mentale non è statistica — almeno per il momento si tratta ancora di verità intimamente universali. Preghiamo che così continuino a essere.
(Traduzione di Anna Bissanti)

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