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La Repubblica Rassegna Stampa
25.08.2016 Da oggi nei cinema il film 'Il diritto di uccidere' con Helen Mirren
Lo recensisce solo Repubblica, non starà su molto, da non perdere

Testata: La Repubblica
Data: 25 agosto 2016
Pagina: 48
Autore: Paolo D'Agostini
Titolo: «L'occhio del drone s'impiglia in un conflitto etico»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/08/2016, a pag.48, con il titolo "L'occhio del drone s'impiglia in un conflitto etico", la recensione di Paolo D'Agostino del film "Il diritto di uccidere" di Gavin Hood.

Giovedì è il giorno dedicato da tutti quotidiani alle recensioni dei film in uscita nelle sale. Siamo stati facili profeti nel prevedere la massima disattenzione al film "Il diritto di uccidere" - da oggi nei cinema-  ecco la pagina di IC del 21.8. scorso:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=63502
Solo REPUBBLICA ha capito limportanza del film, tutti gli altri l'hanno ignorato, soprattutto i giornaloni. L'argomento è politicamente scorretto,  anche per questo il film, del 2015, esce soltanto adesso e d'estate.
Andatelo a vedere, non vi chiederete più perchè la poltica occidentale è caduta così in basso. Ma affrettatevi, prima che lo tolgano dalla circolazione.

 Il film del sudafricano Gavin Hood si destreggia benissimo nell’evitare il rischio che può correre un racconto che parla di guerra attuale, terrorismo, tecnologia militare e bellica. Il punto narrativo, e di necessaria ricaduta anche etico, ruota intorno all’uso dei droni e dunque intorno allo stridente contrasto tra l’illusione di poter condurre una guerra “pulita”, “chirurgica” e “intelligente” e la sua traduzione in termini concreti che ovviamente contraddicono quella pretesa dimostrando che la guerra non può che essere crudele, cieca, sporca, e imprevedibile malgrado i più sofisticati sistemi. Ma la conduzione del film sa evitare l’ovvietà della conclusione. Un po’ meno un certo moralismo – un colpo al cerchio e uno alla botte: peraltro consueto nell’autorappresentazione americana (qui in realtà anglo- americana) – nel preservare bontà, commozione, lacrime e lacerazione interiore in chi preme il fatale bottone. Il dilemma invece, o più precisamente la manifestazione esteriore di esso, non riguarda la protagonista. Una come al solito maestosa Helen Mirren nei panni d’acciaio dell’alto ufficiale britannico chiamato – anche dalla pusillanimità degli esponenti politici che dovrebbero corresponsabilizzarsi e invece vengono inchiodati impietosamente al loro scaricabarile – a dare l’ultima parola. Si tratta di concludere con successo un’operazione di accerchiamento e neutralizzazione, dopo lunghissima marcia di avvicinamento, di una cellula terroristica annidata in un certo edificio di Nairobi, Kenya. Nessuno sul campo. Se si eccettua, unico a contatto ravvicinato, un collaboratore locale che sfidando un rischio elevatissimo manovra un minidrone-spia munito di telecamera e microfono che s’infila dentro la casa e dentro la stanza del covo dove sono riuniti i soggetti da colpire. Il resto dell’operazione è condotta a enorme distanza, tra le stanze ministeriali londinesi e una base militare in territorio statunitense. Con qualche puntata extra di collegamento telefonico con i vertici dei due paesi sparsi per il mondo. A un ritmo che è poco definire incalzante. Il grosso problema, e dunque il rallentamento dell’operazione, lo crea una bambina figlia di povera gente (che peraltro fa il possibile per sottrarsi ai condizionamenti poliziesco-fanatici degli islamisti locali) che si piazza proprio dove non dovrebbe, mettendosi in sicuro pericolo. Verrà risparmiata, verrà sacrificata? Le trattative corrono velocissime, sempre più tese, sempre più nervose. Non si confrontano tanto un sì e un no all’opportunità di salvare un piccolo essere umano, a fronte del “vantaggio”, del bilancio positivo che quel “piccolo” sacrificio produrrebbe (anche questo, in effetti). Soprattutto viene messo a nudo il conflitto tra coloro (in particolare politici) che rimandano ogni decisione alle istanze superiori (e queste a quelle ancora più superiori) nel terrore di compiere gesti che si possano ritorcere contro il consenso raccolto e la carriera. E coloro (in particolare militari) che al contrario sanno prendersi le proprie responsabilità e rifiutano l’ipocrisia. Materia e faccenda quanto mai discutibile. Ma il film la sa mettere in scena in modo convincente oltre che coinvolgente.

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