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La Repubblica Rassegna Stampa
17.06.2016 Abu Mazen il corrotto, i miliardi di euro di aiuti spariscono nel suo clan
Analisi di Fabio Scuto

Testata: La Repubblica
Data: 17 giugno 2016
Pagina: 21
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «'Benzina sigarette appalti e corruzione': le mani su Ramallah del clan Abu Mazen»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/06/2016, a pag. 21, con il titolo " 'Benzina sigarette appalti e corruzione': le mani su Ramallah del clan Abu Mazen", l'analisi di Fabio Scuto.

La corruzione nei territori amministrati dalla ANP è un fatto conclamato. Dal 1995 a oggi, riporta Scuto, i palestinesi hanno ricevuto donazioni 25 volte superiori a quelle concesse con il Piano Marshall all'Europa dopo la Seconda guerra mondiale, con il solo risultato di aumentare il terrorismo e finanziare una enorme mafia burocratica. Una notizia tenuta accuratamente nascosta dai nostri media, vedi un po', avrebbe potuto danneggiare l'immagine dei poveri palestinesi 'occupati' da Israele. Stupisce alquanto la firma di Fabio Scuto, di solito più impegnato a guardare Israele dal buco della serratura. Bene, auguriamoci che continui a interessarsi dei palestinesi, senza i soliti paraocchi.

Ecco l'articolo:

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Fabio Scuto

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Abu Mazen

«La vedi questa sigaretta?», domanda il mio interlocutore mentre soffia via anelli di fumo seduto a un caffè di Piazza Al Manar, «è importata in esclusiva da Falcon, una società che appartiene al figlio del raìs. Anche il cellulare che ho in tasca è di una compagnia di un figlio del raìs, e pure la stazione di servizio dove oggi ho messo la benzina. Ci sono persone che stanno facendo un sacco di soldi con la crisi israelo-palestinese».

Soffocata dalla corruzione, abbandonata a se stessa nelle sue speranze di negoziati, dilaniata dalle divisioni interne, l’Anp affonda rapidamente. Il domani appare assai incerto, al punto da preoccupare seriamente anche i Paesi arabi da sempre vicini ai palestinesi come l’Egitto, l’Arabia saudita, la Giordania. L’ultimo sondaggio in Cisgiordania dice che per 2 palestinesi su 3 Abu Mazen dovrebbe dimettersi, il 95,5% considera l’Amministrazione profondamente corrotta e deve essere mandata a casa. Ma non si vota — per le divisioni fra Gaza amministrata da Hamas e la Cisgiordania gestita da Fatah — non c’è un delfino e il “dopo” sarà una lotta a coltello.

Amici, nemici, veleni, complotti, cordate e dollari. Molte trame si intrecciano a Ramallah, la città è piena di voci, indiscrezioni, sussurri. Che portano tutti nella stessa direzione: è iniziata la fine dell’Era Abu Mazen, le sue 82 primavere e una pericolosa deriva nepotista marcano tristemente “l’autunno del Patriarca”. Con metodo, negli ultimi due anni, Abu Mazen ha allontanato tutti i suoi critici e tutti i suoi possibili successori, governando per decreti (tanto il Parlamento palestinese ha cessato di esistere da anni). In 10 anni al potere Abu Mazen non è riuscito a dare ai palestinesi uno Stato e l’occupazione della Cisgiordania da parte di Israele entra nel suo 50° anno.

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La nuova villa di Abu Mazen a Ramallah

Un’area residenziale fatta di villette con giardini fioriti e ben curati a nord della “capitale de facto” della Palestina, può aiutare a spiegare i motivi per i quali i palestinesi credono che il governo sia profondamente corrotto. Il “Compound diplomatico” sorge su terreni acquistati dall’Anp e concessi a basso costo, progettato per i membri del corpo diplomatico ha poi incluso alti boss della Muqata, ufficiali dei servizi di sicurezza, funzionari di Fatah e qualche privato — ma ricco — cittadino. Milioni di dollari sono usciti dal Fondo nazionale Palestinese — la cassaforte delle donazioni dei Paesi arabi amministrato da Abu Mazen — destinati a questo e altri progetti che premiano con privilegi speciali solo i fedelissimi del raìs.

Hanan Ashrawi, ex ministro e unica donna nel Comitato esecutivo dell’Olp, dice che «la percezione della gente è esagerata e la corruzione non è così elevata». «Certo», conviene però, «il silenzio dei funzionari e l’insoddisfazione diffusa aggravano i problemi di immagine» e la gente guarda la leadership con un occhio molto negativo. «E’ raro trovare qualcuno che ha ottenuto il posto di lavoro sulla base delle qualifiche», dice il giovane Diaa, che una laurea in Economia aziendale ma lavora come cameriere in questo esclusivo ristorante di Ramallah, inaccessibile per la maggior parte degli abitanti della città perché ben pochi possono pagare il conto. Ma se volete pescare, due-tre ministri, qualche capo dipartimento, boss delle agenzie di sicurezza, maggiorenti, amici degli amici, basta venire qui dopo le 22.

Una ricerca di qualche anno fa ha rivelato come dalla firma degli accordi di Oslo (1995) l’Anp abbia ricevuto 25 volte gli aiuti pro-capite che gli europei ricevettero con il Piano Marshall dopo la Seconda Guerra mondiale. Sui fondi destinati all’Anp la Banca mondiale esercita un controllo perché deve certificare i bilanci ma sul Palestinian National Found il potere discrezionale del Presidente è totale. Quando Salam Fayyad era premier — prima che Abu Mazen lo cacciasse perché gli faceva ombra — faceva certificare da Trasparency International anche il Fondo palestinese d’investimento, ma da quando il raìs ne ha assunto il controllo non si è visto più un bilancio. Però nel frattempo si è impennata vertiginosamente la quantità di berline nere Mercedes — è l’auto che fa il boss — in giro a Ramallah. Gli oppositori del presidente sostengono con Repubblica che dal 2012 mancano all’appello 1,3 miliardi di dollari e nessuno sa dove siano finiti. I nemici giurati del presidente come l’ex delfino di Arafat Mohammed Dahlan, che vive negli Emirati dopo che Abu Mazen ha cercato di eliminarlo, punta il dito sulle proprietà private del raìs e della sua famiglia.

Se dovessimo definire l’attuale forma-Stato dell’Anp forse la definizione più calzante sarebbe Cleptocrazia. Per molti, troppi anni, politici e diplomatici non hanno prestato sufficiente attenzione alla corruzione nelle aree palestinesi, alla violazione dei diritti umani. L’occupazione israeliana non può essere sempre una giustificazione per corruzione e malgoverno. E’ stata colpevolmente ignorata la crescente frustrazione nelle strade palestinesi per la cattiva gestione dell’Olp. La rabbia esplosa nei mesi passati in Cisgiordania e a Gerusalemme non era solo contro l’occupazione militare ma anche contro questa Anp senza futuro.

In queste strade dove per mesi sono scesi in piazza gli insegnanti per vedersi elevare lo stipendio da 2.500 shekel (500 euro) a 3.000 (600 euro) mentre gli “amici” si portano a casa 10.000 dollari al mese, è difficile trovare un sostenitore del presidente. Il suo isolamento aumenta: «E’ come un albero nel vento con le foglie che volano dappertutto, lui pensa che la gente lo ascolti, ma nessuno lo ascolta più», spiega a Repubblica un ex aiutante alla Muqata. Gli israeliani sono estremamente preoccupati per quanto accade a Ramallah. «Un’Anp sempre più debole è una seria minaccia alla stabilità», ragiona a voce alta Gilad Erdan, ministro israeliano della Sicurezza Pubblica e degli Affari Strategici. Ma lo sono ancora di più i vicini arabi, temono che un vuoto politico in caso di uscita di scena di Abu Mazen metta il potere nelle mani Hamas. Ecco perché in maniera sempre più palese stanno dando sostegno finanziario agli oppositori del raìs, specie a Mohammed Dahlan.

Si discute anche di una possibile leadership collettiva per gestire il dopo-Abbas con Nasser al Kidwa — nipote del venerato raìs Arafat, ex ministro degli Esteri e ex ambasciatore all’Onu — al fianco di Majid Faraj (capo dei servizi segreti) e l’ex premier Salam Fayyad, molto rispettato in Europa e Usa. Ma circolano anche altri nomi. Marwan Barghouti, il leader in cella da 17 anni con cinque ergastoli, è un candidato di bandiera senza chances. C’è anche Jibril Rajoub — ora capo del comitato olimpico ma ex capo della sicurezza palestinese — che sostiene di avere il sostegno del Qatar. Non sarà un passaggio di potere privo scossoni, sarà un regolamento di conti.

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