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La Repubblica Rassegna Stampa
29.05.2015 Le matite di Charlie: la sfida difficile dei sopravvissuti
L'ultima lettera del direttore Charb, commento di Anais Ginori

Testata: La Repubblica
Data: 29 maggio 2015
Pagina: 36
Autore: Charb - Anais Ginori
Titolo: «Le matite di Charlie contro l'intolleranza, ecco l'ultima lettera del direttore Charb - Eredità del passato e incognite del futuro, la sfida difficile dei sopravvissuti»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/05/2015, a pag. 36, con il titolo "Le matite di Charlie contro l'intolleranza, ecco l'ultima lettera del direttore Charb", la lettera di Charb; con il titolo "Eredità del passato e incognite del futuro, la sfida difficile dei sopravvissuti", il commento di Anais Ginori.

Ecco gli articoli:


Se Maometto tornasse...(uscita prima della strage)

Charb: "Le matite di Charlie contro l'intolleranza, ecco l'ultima lettera del direttore Charb"

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Charb

Charlie Hebdo ha pubblicato caricature di Maometto ben prima della clamorosa vicenda delle vignette del giornale danese. Teniamo presente che i disegnatori di Charlie Hebdo , prima del cosiddetto caso delle “caricature di Maometto”, erano definiti e si definivano “disegnatori della carta stampata”. Da quel momento in poi sono stati presentati quasi sempre come vignettisti. Non si vuole negare il ricorso alla vignetta per commentare l’attualità, ma la vignetta è solo una componente del disegno. Non c’è niente di cui vergognarsi, ma è un dettaglio che rivela fino a che punto il caso delle caricature di Maometto abbia influenzato il modo in cui il grande pubblico vede ormai il lavoro dei disegnatori di Charlie Hebdo.

Il Profeta dei musulmani quindi è apparso nei disegni di Charlie Hebdo ben prima di questo caso. E nessuno, nè associazioni nè giornalisti, è sembrato inorridire di fronte a queste immagini. Capitava che qualcuno esprimesse la propria disapprovazione per lettera, ma niente di più: niente manifestazioni, niente minacce di morte, niente attentati. È stato solo dopo la denuncia e la strumentalizzazione delle caricature danesi da parte di un gruppo di estremisti musulmani che fare caricature del Profeta dei credenti è diventato un tema capace di rendere isterici sia i media sia gli islamici.

Per primi i media, e poi gli islamici. Quando, nel 2006, Charlie Hebdo ha riaffermato il diritto di un disegnatore di fare satira sul terrorismo religioso ripubblicando le caricature danesi di Maometto, i mezzi d’informazione hanno puntato i riflettori sul giornale satirico. Charlie Hebdo diventava a sua volta un bersaglio potenziale della vendetta dei pazzi di Dio. Intorno alla pubblicazione di questi disegni si è scatenato un can can mediatico delirante, non perchè fossero particolarmente scioccanti, ma perchè dovevano per forza essere scioccanti, tenuto conto di quello che la strumentalizzazione che ne era stata fatta aveva provocato all’estero. Quello che è rimasto più celebre è un disegno che raffigurava Maometto con un turbante a forma di bomba. Se non è stato capito da tutti allo stesso modo, tutti per contro hanno potuto leggerlo, perché non era accompagnato da nessun testo o didascalia.

I suoi detrattori hanno scelto di vedervi un insulto nei confronti dei musulmani in generale: mettere una bomba sulla testa del Profeta dei credenti era come suggerire che tutti i suoi fedeli fossero terroristi. C’era anche un’altra interpretazione possibile, ma era meno interessante per i media, dal momento che non era polemica e quindi non faceva vendere. Maometto con una bomba sulla testa poteva essere un modo per denunciare la strumentalizzazione della religione da parte dei terroristi. Diceva il disegno: ecco cosa ne fanno dell’Islam i terroristi, ecco come vedono il Profeta i terroristi che a lui si richiamano. È perchè i media hanno deciso che ripubblicare le caricature di Maometto non poteva che scatenare il furore dei musulmani che la ripubblicazione ha provo- cato la collera di qualche organizzazione musulmana. Una collera di facciata, per qualcuno. Dal momento che i rappresentanti di queste organizzazioni si ritrovavano circondati da microfoni e telecamere e i giornalisti insistevano perchè si pronunciassero sul carattere sacrilego dei disegni, bisognava pure che i loro portavoce reagissero. Dovevano ben dimostrare ai fedeli più irritati di essere veri difensori della fede. (…)

Ma perchè i disegnatori di Charlie Hebdo , che sanno che i loro disegni potranno essere strumentalizzati dai media, dai bottegai dell’islamofobia, dall’estrema destra musulmana o da quella nazionalista, si intestardiscono a fare caricature di Maometto o a riprodurre nelle loro vignette i simboli “sacri” dell’Islam? È semplice: perchè le caricature di Charlie Hebdo non prendono di mira l’insieme dei musulmani. E se succede che grazie all’eccesso di esposizione mediatica l’insieme dei musulmani abbia accesso a questi disegni? I disegnatori di Charlie Hebdo ritengono che i musulmani siano perfettamente in grado di non prendere tutto alla lettera. In virtù di quale contorta teoria l’umorismo dovrebbe essere meno compatibile con l’Islam, rispetto a qualunque altra religione?

Dire che l’Islam è incompatibile con l’umorismo è altrettanto assurdo che sostenere che l’Islam è incompatibile con la democrazia, o con la laicità... Se lasciamo intendere che si possa ridere di tutto tranne che di certi aspetti dell’Islam perchè i musulmani sono molto più suscettibili del resto della popolazione, non li stiamo forse discriminando? La seconda religione al mondo, la presunta seconda religione in Francia, non dovrebbe essere trattata come la prima?

Anais Ginori:  "Eredità del passato e incognite del futuro, la sfida difficile dei sopravvissuti"

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Anais Ginori

Il 5 gennaio il direttore di Charlie Hebdo aveva appena finito di scrivere il suo nuovo libro. Charb voleva rispondere a tutti quelli che da tempo accusavano il giornale di alimentare il razzismo nei confronti dei musulmani attraverso una satira che ridicolizza l’Islam. Il manoscritto di «Lettera ai truffatori dell’islamofobia » è stato chiuso due giorni prima dell’attentato, quando i fratelli Kouachi sono entrati nella redazione con i loro kalashnikov urlando «Dov’è Charb? Dov’è Charb?». Insieme al quarantenne Stéphane Charbonnier, il vero nome del giornalista disegnatore, sono morte altre 11 persone.

Il libro postumo del direttore del giornale è uscito in Francia qualche settimana dopo la sua morte. La traduzione italiana pubblicata da Piemme Edizioni, che Repubblica anticipa, permette di capire quale fosse la posizione di Charb rispetto alle tante polemiche e persino minacce che il giornale ha dovuto affrontare. Il quarantenne direttore contesta il termine di “islamofobia” usato dai suoi detrattori, denunciando l’ “ipocrisia” di parte della classe politica e intellettuale — anche a sinistra — che negli anni ha pericolosamente isolato il giornale. Charbonnier era entrato a Charlie Hebdo nel 1992 e dirigeva il giornale da 9 anni, nel periodo più difficile per la testata dopo la pubblicazione delle vignette danesi su Maometto. Un incendio doloso è scoppiato nella redazione nel 2011 e Charb viveva costantemente sotto scorta. La linea di Charlie Hebdo , spiega il pamphlet, è sempre stata di ridere di «preti, rabbini e imam».

Incominciare a fare una differenza tra una religione piuttosto che l’altra sarebbe, spiega Charb, «fare il gioco dei razzisti». E’ una strenua difesa della laicità come valore fondante della République . Il nuovo direttore di Charlie Hebdo, il disegnatore Riss, ferito al braccio durante l’attentato, deve far fronte a molte polemiche. Il vignettista Luz ha annunciato che lascerà il giornale a settembre, mentre 15 dipendenti sui 19 hanno chiesto una nuova governance, con lo status di «dipendenti azionisti alla pari ». Charlie Hebdo è controllato al 40% dai genitori di Charb, al 40% da Riss e al 20% dal direttore generale, Eric Portheault. Un altro nodo è quello sull’utilizzo dei fondi raccolti da gennaio: circa 4,3 milioni di euro in donazioni.

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