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La Repubblica Rassegna Stampa
25.05.2015 Cinema e Shoah: 'Il figlio di Saul' Gran premio della giuria a Cannes
Maria Pia Fusco intervista il regista László Nemes

Testata: La Repubblica
Data: 25 maggio 2015
Pagina: 45
Autore: Maria Pia Fusco
Titolo: «L'esordiente László Nemes: 'Io, nell'inferno di Auschwitz'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/05/2015, a pag. 45, con il titolo "L'esordiente László Nemes: 'Io, nell'inferno di Auschwitz' ", l'intervista di Maria Pia Fusco a László Nemes.

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László Nemes

«Non ho mai fatto interviste, mi scuso se sono impacciato». L’ungherese László Nemes, Gran premio della giuria alla sua opera prima Il figlio di Saul , ha lo sguardo vivace e innocente da ragazzo che non dimostra i suoi 38 anni. Eppure č con sorprendente sicurezza che parla del film, che uscirŕ nelle sale il 27 gennaio nel Giorno della memoria. «Il cinema sull’Olocausto mi ha sempre frustrato, ho pensato che bisognava riportare l’attenzione sugli esseri umani, lasciando sullo sfondo sia la tragedia che l’orrore, concentrando l’attenzione su un protagonista, vivere con lui la determinazione a seppellire il figlio».

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Una scena del film

Quanta veritŕ c’č nella storia di Saul? «Tutte le parole che si sentono fuori campo vengono da un documento tenuto segreto per anni, Voci sotto la cenere , una raccolta di testimonianze dei Sonderkommando, i prigionieri costretti dai tedeschi a lavorare nelle camere a gas, a condurre i prigionieri verso l’interno, a bruciarne i corpi. Č stata una lettura sconvolgente. Mi ha spinto a fare il film. Durante le riprese mi ha accompagnato la memoria dei racconti che sentivo da bambino a Budapest sulla parte della mia famiglia sterminata ad Auschwitz».

La colonna sonora č come un incubo di rumori, voci, grida. «Ho fatto una lunga ricerca, era esattamente cosě. Anzi ho sottratto molto dei lamenti spaventosi che venivano dall’interno delle camere a gas».

Che significato dŕ al gesto della sepoltura? «L’aspetto religioso, la ritualitŕ, non č la cosa che piů conta. Hanno piů valore gli sforzi di Saul per compiere la sua missione. Ad Auschwitz č pazzesca la precisione con cui era organizzata la fabbrica della morte, il lavoro a catena, la durezza degli ordini, un luogo che cancellava l’umanitŕ: la sepoltura di un corpo significa restituirgli la dignitŕ di essere umano. Non importa che sia davvero il figlio: č un simbolo di tutte le vittime dell’Olocausto».

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