giovedi` 25 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
20.10.2014 Fabio Scuto condanna Israele per le esecuzioni in strada di Hamas
Troppo facile pensare che sia un credulone

Testata: La Repubblica
Data: 20 ottobre 2014
Pagina: 28
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «Le vite rubate della Striscia, così a Gaza si muore da spia»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/10/2014, a pag.28, con il titolo "Le vite rubate della Striscia, così a Gaza si muore da spia" l'articolo di Fabio Scuto.

cattura ed esecuzione in strada a Gaza di presunte spie

Questa volta Scuto si trasforma in detective per dimostrare che le esecuzioni in strada delle presunte spie di Israele a Gaza non sono da attribuire al 'sistema giuridico' di Hamas, che non conosce evidentemente l'esistenza dei tribunali, preferendo le esecuzioni sommarie, ma a Israele. Scuto intervista due parenti dei defunti, prende tutto per buono e la condanna a Israele la firma lui.
Un articolo ridicolo se non fosse tragico. Ribadiamo i giudizi su Scuto espressi ieri http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=55706
Invitiamo i nostri lettori a protestare con Ezio Mauro, direttore di Repubblica.


Fabio Scuto

Il sole d'autunno illumina un cimitero di campagna compresso tra una fattoria e una fabbrica di salsa di pomodori, non distante da Khan Younis. Scavata nella sabbia c'è una fila di tombe senza lapidi. Un letto di cemento grezzo anonimo di due metri per uno, senza un nome, senza una data. Sono le tombe dei rinnegati, delle presunte spie giustiziate per strada dai miliziani di Ezzedin al Qassam alla fine della guerra dei 50 giorni che questa estate ha devastato la Striscia. Ventidue palestinesi sospettati di aver passato informazioni sono stati uccisi davanti alla gente per la strada. Li hanno seppelliti in queste tombe senza nome perché le famiglie, per vergogna, non hanno chiesto indietro i corpi. Dal 2007, quando comanda Hamas nella Striscia, sono 57 le presunte spie palestinesi giustiziate per strada. Israele ha sempre fatto affidamento sui "collaboratori" per colpire i miliziani palestinesi. Interi apparati dell'intelligence dell'Esercito israeliano, come l'Unità 8200, sono votati solo a questa missione: raccogliere informazioni, frugare nelle vite della gente di Gaza. Una ricerca finisce per coinvolgere la vita persone innocenti, che nulla hanno a che vedere con il terrorismo di Hamas, ma che vengono schedate per preferenze sessuali, lo stato di salute e quello finanziario. Informazioni utili solo per estorcere altre informazioni e arruolare collaboratori. Perché non ci sono volontari in questo mondo di spie. Il fenomeno è carsico ma molto più numeroso di quel che si pensi, si stima che siano diecimila fra Gaza e la Cisgiordania. Un "modus operandi" denunciato con una lettera pubblica lo scorso mese 43 ufficiali e soldati dell'Unità 8200 stanchi di «rubare le vite degli altri». La storia di Fadi Qatshan, 26 anni, la racconta suo padre Ali seduto sulla sua carrozzella elettrica sull'uscio di casa, un antro di cemento grigio nel campo profughi di Nusseirat dove abita con la famiglia. Ali ripercorre il periplo del figlio, le sue ansie, le sue paure, la sua scelta e infine la sua morte. Fadi era malato di cuore e in un lungo giro per ospedali palestinesi a Gaza e in Cisgiordania i medici possono solo constatare che ha bisogno di un'angioplastica ma non hanno strutture per quel tipo di intervento. Fadi approda cosi per motivi umanitari nel maggio 2013 al Tel Hashomer, una delle eccellenze del sistema sanitario israeliano a Tel Aviv. Subisce un doppio intervento che riapre le sue arterie e resta ricoverato per 45 giorni. «Alla dimissione», racconta il padre Ali, «gli hanno dato una lettera dell'ospedale che attestava il fatto che avesse bisogno di un altro intervento al cuore dopo un mese, è il requisito per ottenere il visto di uscita da Gaza». Dopo una settimana dal ritorno a casa riceve una telefonata da un cellulare israeliano, la voce al telefono si qualifica come un ufficiale dell'intelligence dell'Idf e dice: se vuoi tornare in ospedale devi lavorare per noi, pensaci, basta che richiami questo numero. Fadi chiude terrorizzato la conversazione e racconta tutto al padre. Il 2 luglio 2013 chiede attraverso il Liaison Office israeliano il permesso di uscita allegando la richiesta dell'ospedale, richiesta respinta. Una nuova richiesta viene presentata il 27 agosto 2013 e il 9 novembre, respinte. L' attestazione dell'ospedale scade, e la famiglia via fax ne ottiene un'altra che fissa la data di ricovero per il 6 gennaio 2014. Ma Fadi Qatshan, il ragazzo di Nusseirat che non voleva diventare una spia, viene dichiarato morto per arresto cardiaco il 16 novembre 2013 all'ospedale di Deir Al Balah. «Se avesse detto si forse sarebbe ancora vivo», dice Ali mostrando il fascio di carte che documenta questa tragedia, «ma noi saremmo vissuti nel terrore, nella paura e anche nella vergogna».
La chiameremo Suad perché non vuole dire il suo vero nome. Cinquant'anni mal portati, volto scavato e scarno, occhi grandi mai fissi su un punto, mani con un leggero tremolio. L'odore della paura nelle vesti modeste. Suo marito era uno dei sei "collaborazionisti" uccisi da Harnas per strada nel dicembre dei 2012. Lei stessa, madre di sette figli, è stata arrestata per favoreggiamento e incarcerata. Condannata a sette anni è stata "graziata" lo scorso dicembre, i giudici di Hamas sono stati clementi solo per la sua prole. «Lui — racconta a proposito del marito — era già nelle mani degli israeliani prima del 2005, prima del loro ritiro. Aveva il permesso di lavoro in  Israele e passava regolarmente per il valico di Erez, ma poi gli venne revocato». Spinto per necessità economica a tradire le confessò: «Non faccio del male a nessuno, passo qualche numero di telefono, un nome o un'informazione su un tunnel». Nel 2008 anche Suad diventa una "informatrice", quando per la malattia grave di uno dei figli ottiene il permessodi andare in un ospedale israeliano. Descrive questi anni come un inferno, di paura, rabbia e impotenza. Al marito nel 2011 venne descritta un'auto e la targa: doveva chiamare "un certo numero" quando l'auto sarebbe passata nella strada principale. Guidare l'eliminazione di due boss locali di Hamas in quell'auto fu l'inizio della fine, Suad e il marito furono arrestati qualche mese dopo. «Ci hanno rubato la vita — dice adesso la donna — mio marito è stato costretto, non avrebbe mai fatto del male a nessuno».

Per inviare la propria opinione a Repubblica, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT