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La Repubblica Rassegna Stampa
16.09.2014 Decapitare l'informazione: la nuova strategia dell'Isis
Analisi di Ahmed Rashid

Testata: La Repubblica
Data: 16 settembre 2014
Pagina: 4
Autore: Ahmed Rashid
Titolo: «Reporter e cooperanti sono i nuovi 'nemici': così il califfo nero spaventa il mondo»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 16/09/2014, a pag. 4, con il titolo "Reporter e cooperanti sono i nuovi 'nemici': così il califfo nero spaventa il mondo", l'analisi di Ahmed Rashid, giornalista e scrittore pachistano autore di numerosi libri su Afghanistan, Pakistan e Medio Oriente.


Ahmed Rashid                  Abu Bakr al-Baghdadi           David Haines


Il terrorista ormai noto come "John il britannico"

Uccidere il messaggero è un antico metodo che usavano i re per sfogare la loro frustrazione per una sconfitta o un insuccesso politico. Ma che succede se il messaggero non serve più e la stampa vecchio stile è una reliquia del passato, come succede adesso con l'Is? Quando Osama Bin Laden voleva inviare un messaggio, convocava un giornalista occidentale o una rete televisiva, e prima dell' 11 settembre organizzava addirittura conferenze stampa. La sua "disponibilità" con i media era una presenza fisica. La gente credeva a quello che diceva perché lo diceva di fronte a giornalisti affidabili. Quando Abu Bakr Al-Baghdadi, il capo dell'Is, vuole inviare un messaggio, lo fa attraverso le molteplici piattaforme di social media, rendendo impossibile per le autorità di tutto il mondo eliminare il messaggio. I social media sono un nuovo modo di comunicare non solo per gli uomini d'affari, ma anche per i terroristi, e non c'è nessun bisogno di avere una presenza fisica per convincere il pubblico che sei reale: il messaggio in sé è sufficiente. Al-Baghdadi ha spinto "l'arte di uccidere il messaggero" molto più in là. I giornalisti — i messaggeri verso il mondo esterno — ormai per lui sono soltanto intrusi da imprigionare, torturare ed eliminare, o da usare come pedine politiche per inviare minacce agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna. Le tragiche decapitazioni dei giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff, prima del cooperante britannico David Haines che collaborava anche con i reporter di guerra, fanno quindi parte del rivoltante nuovo gioco politico che Al Qaeda tentò brevemente nel 2001 con la decapitazione di Daniel Pearl, ma che con l'Is adesso è diventato di rigore. Uccidere i giornalisti è il messaggio che usa l'Is per spingere i governi occidentali a prestargli attenzione. Nessun giornalista in futuro potrà incontrare faccia a faccia Al-Baghdadi, o visitare i suoi accampamenti, o vedere come governa il suo nuovo califfato. Non avremo nessuna reale informazione o notizia con cui convincere le potenziali giovani reclute di quale Stato orrendo stia creando l'Is. Sarà Al-Baghdadi, sui social media, a dominare la scena quando vuole lui. Non più noi, i giornalisti. Non ci sarà più nessuno scoop sull'Is, e pochissime informazioni reali. Pensate che ancora non sappiamo esattamente chi dirige i suoi centri di comando politici e militari. Se ripenso agli anni dopo il 1993, quando scorrazzavo insieme ai Taliban in Afghanistan — erano loro l'orrore, a quel tempo — imparando la loro filosofia, vedendo come governavano e trattavano le persone, che cosa pensavano della geopolitica, studiando le loro tattiche e strategie militari e informando gli altri di quello che avevo scoperto nei miei libri, mi sembra un'altra età, un'altra epoca. I Taliban erano educati, cortesi, non particolarmente comunicativi, pare,— almeno fino a un certo momento, poi anche la loro strategia cambiò drammaticamente — non ti torturavano e non ti appendevano per i piedi, e ti consentivano — con molte restrizioni, per esempio il divieto di fare fotografie — di scrivere quello che vedevi. Ora so che nessun giornalista obbiettivo sarà mai in condizioni di fare la stessa cosa con l'Is. Non conosceremo mai veramente la sua storia interna o i suoi livelli di consenso, se non attraverso informazioni di seconda mano. Il paradosso è che l'Is ha copiato molte delle tattiche e della strategia militare dei Taliban, e sono convinto infatti che debbano esserci Taliban afgani o pachistani che lavorano con il braccio militare dell'organizzazione. Tattiche come gli attentati con veicoli, colpire più obbiettivi nello stesso momento, passare dalla sconfitta su un fronte alla vittoria su un altro fronte, sacrificare soldati in attentati suicidi e attacchi frontali, sono tutti metodi largamente usati dai Taliban negli anni Novanta. La stampa è in crisi perché gli estremisti islamici ora usano le ultime tecnologie, una brillante campagna di manipolazione, il terrore e le decapitazioni per fare in modo che nessun giornalista in futuro abbia il coraggio di avvicinarsi neanche da lontano a un accampamento dell'Is. La cosa che mi fa paura più di tutte in questo momento è che sostenitori dell'Is in tutto il mondo, e di sicuro in Medio Oriente, possano mettersi a rapire giornalisti e consegnarli ad Al-Baghdadi, che li giustizierà ogni volta che avrà bisogno di inviare un altro messaggio a qualcuno. Le prigioni di Al-Baghdadi si riempiranno di giornalisti e operatori umanitari che saranno usati come pedine. E il vero pericolo è che nessuno è più in grado di proteggerci.

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