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La Repubblica Rassegna Stampa
28.08.2014 La minaccia jihadista in Italia
Cronaca di Giuliano Foschini, Fabio Tonacci. Intervista di Daniele Mastrogiacomo a Marco Minniti

Testata: La Repubblica
Data: 28 agosto 2014
Pagina: 12
Autore: Giuliano Foschini - Fabio Tonacci - Daniele Mastrogiacomo
Titolo: «Cinque jihadisti indagati in Veneto. Ecco la rete dell'eversione islamica - 'Nel cuore dell'Europa migliaia di combattenti pronti a entrare in azione'»
Riprendiamo da REPUBBLICA, a pagg. 12-13, con il titolo "Cinque jihadisti indagati in Veneto. Ecco la rete dell'eversione islamica", l'articolo di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci, e a pag. 13, con il titolo "Nel cuore dell'Europa migliaia di combattenti pronti a entrare in azione", l'intervista di Daniele Mastrogiacomo a Marco Minniti, delegato ai servizi segreti.


Jihadisti europei

Di seguito l'articolo di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci:

Giuliano Foschini, Fabio Tonacci

C’è qualcosa che cova sotto la cenere, nella vasta comunità islamica italiana. In quell’area grigia dove la fede può scivolare nell’estremismo. Decine le procure che hanno indagini aperte su presunti terroristi. In Veneto c’è un’inchiesta dei Carabineri del Ros che ruota attorno a un imbianchino bosniaco di 37 anni, Ismar Mesinovic, partito dall’Italia con suo figlio di due anni per combattere contro il regime di Assad e morto il 6 gennaio scorso ad Aleppo. In Lombardia l’attenzione è concentrata sul gruppo di quattro siriani legati a Haisam Sakhanh, più conosciuto come Abu Omar: ha vissuto per dieci anni tra Milano e Cologno Monzese, prima di abbracciare nel 2012 la guerra santa, anche
lui in Siria. Storie nuove e storie vecchie che ritornano.
Di certezze, nei rapporti della nostra intelligence e nelle informative di polizia, ce ne sono poche. Si sa però che c’è una lista di una quarantina di persone sotto controllo, partite per Siria ed Iraq. Di queste almeno otto sarebbero ancora all’estero. Sono quasi tutti immigrati, di prima e di seconda generazione. Come era appunto l’imbianchino bosniaco Ismar Mesinovic. Arrivato nel bellunese nel 2009 dalla Germania, si era stabilito con la moglie cubana Lidia Solano Herrera a Longarone, ai piedi del Vajont. Qui ha frequentato spesso il centro culturale Assalam di Ponte nelle Alpi. Chi lo conosce lo ricorda come persona mite, almeno fino a quando ha assunto modi e idee da fanatico. Avrebbe pure picchiato la moglie perché non si voleva convertire all’Islam.
L’inchiesta della procura distrettuale di Venezia, coordinata dal pm Walter Ignazitto e condotta dai carabinieri del Ros del ge- nerale Mario Parente, è partita quando a dicembre Mesinovic ha preso il figlio di due anni ed è andato in Siria, passando dai Balcani. Gli investigatori hanno seguito i suoi spostamenti e intercettato i telefoni della sua “rete” di amicizie prima della sua morte, dedotta da alcune foto pubblicate su quotidiani bosniaci in cui si vede a terra, apparentemente senza vita. Sono almeno cinque gli iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di associazione eversiva. Tutti di provenienza balcanica e attivisti islamici: vivono tra Belluno, Treviso e Pordenone. Gli investigatori sono interessati a capire se siano stati loro ad averlo convinto a unirsi ai fondamentalisti dell’Is.
Nell’inchiesta c’è pure Bilal Bosnic, l’imam 41enne, anch’esso bosniaco, convinto sostenitore dello Stato islamico e considerato una personalità tra i wahabiti nonché sospettato di essere coinvolto nell’attentato all’ambasciata di Sarajevo nel 2011. Bosnic ha fatto diverse tappe nel Nord Italia, a Bergamo, Pordenone, Cremona, per invitare i giovani ad unirsi alla jihad. In almeno una di queste occasioni si sarebbe incontrato con il suo connazionale. L’inchiesta è delicatissima perché di mezzo c’è un bambino, Ismail Davud, il figlio che Mesinovic si è portato dietro. Forse è ad Aleppo e i carabinieri stanno lavorando per riportarlo a casa. In Siria è finito anche Haisam Sakhanh, ex animatore del Coordinamento siriani liberi di Milano, come proverebbe un video pubblicato dal New York Times un anno fa in cui Repubblica aveva identificato la sua sagoma tra il gruppo di sicari che hanno ucciso con un colpo alla nuca sette soldati lealisti presi prigionieri.

Di seguito l'intervista di Daniele Mastrogiacomo a Marco Minniti:

     
Daniele Mastrogiacomo


Marco Minniti

Si è molto sottovalutato l’Is. Poi, davanti alla decapitazione di James Foley, c’è stata l’ondata di orrore.
«L’Is rappresenta una minaccia senza precedenti per almeno due motivi: è un vero esercito con armi tradizionali impegnato in una guerra simmetrica. Ma è in grado anche di agire con azioni terroristiche, come si è visto, quindi in una guerra tipicamente asimmetrica, difficile da contrastare. Dovremo fare i conti con questi combattenti almeno per i prossimi dieci anni».
Perché?
“Perché l’Is ha dimostrato di poter costruire uno Stato, di conquistare e amministrare un territorio vastissimo. Perché controlla una quindicina di pozzi e di raffinerie petrolifere con i quali incassa ogni giorno due milioni di dollari. Quando hanno conquistato Mosul, i combattenti hanno svuotato i caveau delle banche e si sono trovati in mano 500 milioni di dollari in contanti».
Si stima che siano meno di 50 i jihadisti italiani impegnati nella guerra in Siria e Iraq.
Sappiamo chi sono?
«Li conosciamo. Ma sono gli altri, quelli con passaporti europei, che ci preoccupano. Sono migliaia. Solo della metà sappiamo l’identità e i movimenti. Provengono dal nord Europa ma anche dai Balcani. Sono proprio questi che allarmano di più la nostra intelligence».
L’estate scorsa si discuteva se bombardare o meno la Siria di Assad. Un anno dopo si prepara il terreno per colpire i nemici del rais di Damasco.
«Lo scenario è cambiato così in fretta da capovolgere la strategia. Ma è anche il sintomo che l’Occidente e l’Europa, ancora una volta, non hanno capito cosa stava accadendo in quell’area».
Molti paesi in Medio Oriente stanno reagendo. Eppure sono gli stessi che hanno sostenuto e fomentato il jihadismo.
«La Turchia svolge un ruolo importante nell’area. Eppure fa parte della Nato. Al vertice di settembre chiederemo che prenda una posizione chiara e netta».
Lo scontro è più militare o ideologico?
«Militare sul terreno ma ideologico nel suo complesso. L’attrazione per la jihad nasce anche dal fallimento espresso dal modello europeo e occidentale. Di fronte a questa spaventosa crisi mondiale, l’Europa è stata capace di rinviare di un mese la formazione del nuovo governo. Appare stanca, con le sue radici inaridite. Ha bisogno di ripensare ai suoi valori, di rifondarli. Oggi rincorriamo i cessate- il-fuoco, le tregue. Abbiamo rinunciato alla parola pace».

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